Francesco Monticini è nato a Siena, dove ha compiuto tutto il suo percorso universitario, laureandosi in Lettere Classiche. Dopo la laurea magistrale ha concluso un dottorato di ricerca in cotutela tra l’Università degli Studi di Roma Tre e l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, specializzandosi in civiltà bizantina. Ha partecipato ad alcuni convegni in Italia e all’estero, pubblicando in varie riviste specializzate. Collabora con “La Repubblica”.
Francesco Monticini
Tre inediti
*
Non amo che le cose che potevano.
Eppure,
mentre piangi al cimitero,
mi accorgo
che ogni mio desiderio adesso
è per te.
Poi, ricomposto il trucco ed il sorriso,
poco più tardi, al bar,
nei miei occhi,
ti tramuti in tazzina, nel giornale
che qualcuno ha già letto e mi divieni
vento.
Avrei voluto parlarti, spiegarti
i miei ricordi, ozioso, ditirambico,
ampolloso, faceto, inavvertito.
Ma più di ogni altra cosa io vorrei
adesso
poterti leggere, per poi capire
come in te, nella forma che tu sei
di femminilità, ma ancora prima
di essere vivente, si declini,
si contragga, riassuma e ricomponga
la parola.
*
Ti penso.
E questo tir, saranno otto chilometri
di curve, e non c’è modo di passarlo.
Mi sa tanto che si mette
a piovere.
Ti penso anch’io.
Sfaccendata
a letto,
distesa ad osservare un raggio
di sole.
Microscopico.
Intermittente; luce accesa, luce
spenta: mette la freccia finalmente.
Ho dovuto accostare.
Il confine
dell’universo
proprio
qui:
l’attimo, luce accesa,
luce
spenta.
Minuscola.
Figlia
di
concause casuali.
Un granello di polvere.
Che senso ha amare proprio me?
Guarda
come danzano i granelli
nella luce…
Mi paiono galassie e pianetini
rotanti.
Piccole gocce
sul parabrezza.
Non ce la faccio a ripartire.
Pensavo
ad arcieri
e a costellazioni lontanissime.
Invece,
qui.
Con quest’odore intenso della polvere
che è sopra
il cruscotto.
Quando
mi hai baciata non c’era la luce.
Non c’era
rumore.
Come due feti, come immersi
in un liquido oscuro.
Ma sentivo comunque, di lontano,
un rimbombo,
un’eco… L’esplosione
di
una
supernova
a miliardi
di anni
luce.
*
Ottoni. Una musica che pare
quasi festa. Il grigio è della pietra,
negli ottoni.
Alzo la mano, a parare: la pioggia,
il ponte Carlo, le luci, l’ingorgo.
Suoni di clacson, sotto lo stridio
degli ottoni.
Qualcheduno si affaccia alla finestra.
E poi passa la bara, in quel lunghissimo
carro funebre. Penso che non penso,
e dove sono? Che cosa mi aspetto?
Non so neppure chi diavolo sia
il defunto.
Gli ombrelli, neri, ed io che l’ho lasciato
a casa, come sempre, a prender posto
sotto ai cappotti. Le gocce, finissime,
sugli occhiali.
Fotografia proprietà dell’autore.