di Alfonso Guida
APPUNTI SU PIETRA LAVICA (Aragno, 2016)
Iannone parla di un uccello che salva tutti col suo canto. Il canto è un mantello che getta i compagni sotto una campana. Iannone dice che questo uccello si chiama ziz. Paul Celan cita in una sua poesia la parola Ziv, che nella simbologia del mondo ebraico è la sillaba stretta di una luce eterna e minuscola in fondo al buio, alla morte.
La visionarietà, diceva la Rosselli, è la Visione della realtà portata a compimento. Iannone esercita un potere educativo su sé stesso, un potere della mente e del suo limite, che deve far guardia su forze naturali brutali. Da qui l’espressionismo linguistico, il linguaggio pastoso come una lana di montagna e desideroso di leggerezza come la sapienza che insegue nei punti in cui il fraseggio si fa gnomico e i versi si spezzano. Le chiuse di Iannone sono riesumazioni di guerre profonde che avvengono lungo tutto il testo. Il linguaggio si accentra nei pronomi. C’è l’io dirompente di Testori che aspira forse ad essere l’io un po’ in disparte di Ted Hughes. Iannone citando questi nomi e poi Rosselli e Rebora non fa che mostrare il suo tentativo. Iannone scrivendo tenta la via dell’intero, della completezza. Non è un poeta dei cieli. È un poeta che si aggira, tenero e insospettito, sulla terra. Sembra cerchi un calore, il nido pascoliano o l’oggetto del calore insieme al suo soggetto, parafrasando Kokoshka.
La morte e la solitudine, immense, hanno corrispettivi agresti, agricoli : cavolfiori, piantagioni in crescita, fiori a rievocare un infanzia creduta paurosamente sospesa. In questi versi, la mistica ha le sue appariscenti vesti. Edith Stein, Teresa D’Avila. E tutto, ancora, riporta alla vexata quaestio del corpo, della materia. Rappresentazione di sangue e pane, questa poesia che non dimentica il mare delle origini. E il mare, a tratti, si fa custode di una pace prenatale, come in quel verso dove una vita nasce da un grembiule. Il poeta abbisogna di una memoria. Ma quella di Iannone non è minerale né roccia. È memoria di acquario. È conservazione di sé nelle parti meno oscure del Tirreno, l’oscuro dei vortici evidenziati da un blu più profondo sulle cartine geografiche. I moli, le anguille, l’indistinto della distesa d’acqua è il controcampo di altre immagini più feroci perché più terrestri. Una poesia della terribilità che intravede un possibile arresto dell’incubo, una sedia in mezzo al labirinto.