Francesco Elios Coviello (1994) è nato a Bari e vive attualmente a Foggia. Ha pubblicato la raccolta L’oltranza (RP Libri – Il nastro di Möbius, 2022), finalista premio Camaiore Proposta. Nel 2023 vince il secondo posto per la poesia inedita al Premio Umbertide XXV Aprile. Alcuni suoi scritti e inediti sono stati pubblicati su riviste di settore.
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Cercare un’anima, trovarla nel folto
del primo serale o dopo le dodici.
Provare a conoscere, spostare l’ariete
del voler amare più dentro, nel grembo
abbuiato di un secolo o quasi, di un mondo
che non è, di un salto che non vede
di un sole che non spegne ma riesce
a dorare una muta di latta, un esoscheletro
biondo aurora infine pianta stradale,
massa di stelle interrate, vagoni madornali
similitudini, paragoni umidi, cose che
nulla hanno di fuori ma tutto dentro.
Tutto è una strada, l’ho letto invece di
cercarlo in fondo a un occhiale. Ha adesso
un foglio e un dirupo il mio brancolare.
*
Il tendine di plastica e non riuscire a uscire
dal dolore greve che chiude il moto, l’essere
canne vecchie improvvisamente, lanciare tra i passi
una fitta e non sapere dove riparare, dove
citofonare, se salire, poi farlo e scoprire che è uguale
restare a pregare in polvere umida, la fronte a terra
il sudore che germina come un casolare, un usato
caseggiato nel blu della neve, negli sterpi dell’ego
liquefatto anch’esso, deragliato in un bosco di anfore.
Tendine, tessuto inutile, piega in superficie e stecca
nel profondo, dura foglia nella terra, strumento
staccato nella cassa stoviglia tra le gambe,
parete senza davanzali né spigoli e in là, a filo
col cuore c’è un vecchio attaccapanni, ruggine e oro.
*
Ancora pioggia, ancora firmamenti, ancora andirivieni
nella sera dei pini, nella schiava del sale. Solitari
ammaraggi sulla schiena, decriptati solletichi al sotto-
-cute in cerniere e lombrichi e tu che li segui e nuda
li annodi in vestaglie di paglia e di seta. Nella scia
interna del tuo stile intestino ho foglie e frassini
su cui camminare. L’ostacolo osceno dell’antiparassita
rio di vita, Marte di latte, fonte segreta di fame
e le estati che han lo stesso colore del greto del buio
costato; corifica il pane, trascolora la pura distesa
del pianto la lenza lontana del canto che fumiga.
*
Sia benedetto il silenzio di questa notte
bambina, sia prometeo il fuoco di questa
lampada da comodino, il sudicio cuscino
sull’ecografia, la stanza segreta, la camera rosa
i denti stretti della tapparella, lo sbadiglio
eroso dalla calura, la cosa bianca che vorrei nutrire
in fondo al cuore. Cresce il disamore
e si spegne, muore il fine delle cose, è tutto-alba
se ha già albeggiato, il tappeto è fatto di strali
di carta. Allora è presto, allora è prima, allora
è fitta la preghiera del mattino, che tutto sia
presente, un palmo svettato tra i banchi, un crisma
un salto prima della corsa, un nottolino.
*
Mirto è un franco sapore che brucia al
netto dei giorni asfalti nella selva
di macchia, al pascolo digiuno delle
ore che porti al polso o al volante.
Sono schiacciato al fondo dell’unica
opera che fa le nubi le braci
e le assembla le compone, le disin-
nesca nel frutto frondoso del sole.
Cos’hai scelto per nome? Un colore?
Uno scambio di grida, a coperta
del mattino, il cammino di boschive
storture di caviglie, mammiferi
e aculei, dove sono i sospiri,
le maglie a righe di allora? Torture.
*
Ancora lucertole ancora
passaggi indovini serrande
e poi le stelle sbroccano in divisa.
Ah, se avessi la rotta, l’ancora
storta che storta si vale
se prendessi inutili gozzi
le cicale sotterra, di ruggine
avrei gli stinchi come piacciono
grosse vanghe di rovere
appunti, lo scrivi e tieni
tienilo stretto, sulle ore.
© Fotografia di Giulia De Troia