Nata a San Giovanni Valdarno (Arezzo) nel 1966, Cristina Simoncini è rimasta a lungo solo lettrice prima di cominciare a scrivere. Ha pubblicato poesie su riviste cartacee (Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria, Nova Rivista d’arte e di scienza), su alcune antologie e su molti spazi virtuali (fra i quali Avamposto, Limina Mundi, La rosa in più, Circolare poesia eccetera). Sta lavorando alla sua prima opera poetica.
* * *
Un giorno tornerò a dondolarmi
sul cancello elettrico – mentre si chiude
dietro tuo padre di ritorno dal cantiere
col pulmino, ormai senza gli operai –
ad afferrarmi con le mani alle sbarre
fino a quando si completa il cigolio e scatta
la cerniera. Rimarrò fuori a osservarvi
mentre andate a cena, tutti insieme
– i piedi piccoli incastrati
nel meccanismo spietato della sera.
*
La donna sta di schiena, alza il bicchiere,
una lateralità la minaccia,
l’uomo ha sorriso al suo riflesso sul vetro,
è una scommessa,
una deviazione dal tragitto.
Lei è un contatto di occhi – istantanea
di doppi – la pulsazione segreta
nell’interregno metropolitano
in cui gente smarrita di noia
osserva il vuoto sospeso tra le cose.
Tutto è stato deciso in precedenza
la geometria di linee che si incrociano
e divergono, il mandala dove
l’uomo aspetta lo sguardo del fantasma
che lo orienta, il disincontro,
il gemello a cui affidare il gioco.
*
Quando l’ha visto entrare in casa
senza i jeans strappati e lo spolvero
di calce nei capelli non l’ha riconosciuto,
il muratore che l’ha ripresa al volo
dalla bici in fuga senza freni, dall’imprudenza.
Suo padre e sua madre lo hanno accolto
offrendogli da bere, sorrisi, un sacco di attenzioni.
Bello, ricci scuri. L’epilogo festoso di una fiction.
La bambina sapeva, ha chiesto all’amico
di tenerla, da dietro – la sequenza
di scusanti – una distrazione poteva
trasformarsi in disgrazia, ma qualcuno
dall’alto. No, dal basso, dal cantiere
un balzo e l’ha afferrata per i fianchi
con la prontezza dell’età, abbracciata stretta
niente più le pesava, in quel momento,
nemmeno la discesa senza fine.
Persino il vento aveva smesso di inseguirla.
Adesso piega il mento, frastornata.
*
Scrivere di lui vuol dire sondare
il mio silenzio, ascoltarlo dal fondo
di un pozzo in cui ristagna una pellicola
bagnata col suo volto,
lasciare che rimbombi
il trauma, la trama di paura
di cui sono fatta.
Le notti che hai passato in cucina
ad ascoltare la sua resa
vorrei averle adesso, sfogliarle
– togliere i residui di imbarazzo,
cercare lungo il perimetro del fondo
in cui si sta abbandonando
la corda salda e la premura adulta,
mai essere distratta, o giudicante.
* * *
© Fotografia di proprietà dell’autrice.