Cinzia Demi, La causa dei giorni – Anteprima editoriale (InternoLibri, pref. di G. Rosadini)

Cinzia Demi, Laurea Magistrale in Italianistica, nata a Piombino vive a Bologna. Dirige con G. Pontiggia la collana Cleide (Minerva), cura la rubrica Missione Poesia, Altritaliani. Ha pubblicato con: Pendragon, Minerva, Prova d’Autore, Raffaelli, Puntoacapo, Fara, Il Foglio, Carteggi Letterari, InternoLibri. Pubblicazioni Poesia: Incontriamoci all’Inferno; Il tratto che ci unisce; Incontri e Incantamenti; Ero Maddalena; Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri; Nel nome del mare. La causa dei giorni (in uscita); Caterina Sforza. Una forza della natura fra mito e poesia. Saggistica e Antologie: Ersilia Bronzini Majno. Immaginario biografico di un’italiana fra ruolo pubblico e privato; Tra Genova e Livorno: il poeta delle due città. Omaggio a Giorgio Caproni; Amori d’Amare; Ritratti di poeta. Narrativa: Voci Prime. È tradotta in inglese, francese, romeno, ungherese, arabo, spagnolo, è traduttrice per la Puntoacapo. Tra gli eventi: Un thè con la poesia, Bologna; Festival Piombino in Arte. Tra i riconoscimenti: 2019, Académie Mihai Eminescu Craiova: Médaille pour ses mérites dans la diffusion de la culture universelle e Prix Special pour l’excellence de sa création; 2020, Nomina a membro titolare de l’Académie Tomitane di Costanza; 2021, Premio Inter.le Camaiore a Corpo impossibile di Attila F. Balás, da lei tradotto; 2021, Premio Narrativa INPS per Voci Prime e video su Rai Cultura Letteratura.

*

bisognerà capire cosa ci porta
a credere nei grani a farne
sabbia di clessidra tra le mani
a non rompere i cristalli dorati
a tornare là dove siamo nati

nella casa con le pareti bianche
dove ogni cosa ha un nome
che chiamiamo ogni confine
è un richiamo che rapido svalica
si espande nel mondo

in un sussulto di folate tra
bacche d’acacia e lino chiaro
nella luce obliqua delle persiane
nel sacramento giurato sul
simulacro trasparente del mare

bisognerà capire cosa ci resta
della pazzia della festa del
calore di fiamma che ancora
difende la giovinezza
dei nostri corpi abbracciati

nell’alba tra i vapori, mentre
sprofonda l’ombra delle sagome
che ci furono accanto e d’un
tratto la memoria è un male
stordente l’umanità affonda

nella ragione oscura
i papaveri stentano a fiorire
e un tempo immobile non
spiega non glorifica ma non
rinnega la causa dei giorni

*

aspetti sempre che qualcosa succeda
mentre alzi gli occhi
agli alberi che temono l’autunno
la strada si è fatta più lunga e
quel cartellone ieri non c’era

è una milizia certa quella del tempo
da assoldare nell’esercito mercenario
per le guerre sull’altare di pietra
nella chiesetta – frontiera del Golfo
contro il pallore del mare d’ottobre

pagarlo e lasciarlo libero di fermarsi
un poco a riposare senza fretta
provare a bagnarsi le mani
dove scorre la sabbia di ematite
raccogliere una scheggia di bucchero

e costruirci un bicchiere
bere un sorso di maestrale
da quella breccia che ingrossa
l’aria di sale antico e tamerici
magari è così che si cresce

dopo il pane con zucchero e vino
dopo le vendemmie e le rose
quando tutte le cose sfumano
in un sentire lontano e dici
è così che si cresce per le croci

da cui siamo fuggiti
per quell’aria soffocante di casa
dove l’orizzonte era solo una linea
magari è così che s’incontrano teatri
con le quinte a colori vivaci

rammendate che non importa quanto
è così che si consumano chilometri
si stringono corpi si gettano paramenti
argenti s’indossano senza più valore
senza l’ardore che ci fece scuola

e aspettando ancora si torna all’inizio
si alzano gli occhi
agli alberi che sono già primavera
la strada è più corta ora
e di quel cartellone lo scritto è sbiadito

*

lassù al castello le mura sono di pietra
come le strade dentro la porta
rinascono ogni giorno
come scorta arroventata
da un sole di storia

sulla vetta di quercia alla notte
è il canto della civetta
che entra a ghiacciare
di paura il cuore delle case
nell’aria ferma di fine estate

ed è nell’azzurro del canale
che gialleggiano le ginestre
odorose di forme e poesia
col prugnolo che si sporge
nella via infestata dai corbezzoli

è nella piana bagnata
dall’umido del mare
che stanno le siepi di more
i ciuffi di capperi a cascata
le viole immerse nel muschio

è nel roseo guscio dei ciclamini
nei pini contorti dal vento
all’incrocio col piccolo cimitero
che trovi le anime del posto
vegliate dagli etruschi corredi

è lì che si piange per il loro restare
il loro sapersi abbandonare
sul cancello battuto dal vento
allo sbocco del viale
nel sereno d’un mattino d’ottobre

quando vedi il buio diradarsi
e senti vicino quell’orizzonte
di un comune cammino
è lì che si piange per gli occhi
azzurri di una fotografia

per il bambino che non è mi nato
per il vecchio che ha troppo vissuto
le sue guerre per la donna che è
cresciuta lontano che stringe
la sua terra con la mano