Carlo di Francescantonio
(inediti)
*
mi piace guardarti avvolta da cloruro di polivinile,
con stivali così alti, verticali di desiderio,
impalcatura per le gambe, armadi aperti.
Tutto per accendere un noi così intimo
da diventare infinito
è che siamo costellazioni di nuvole,
tridimensionali dentro esperimenti da piccoli umani,
facciamo dei corpi battaglia,
passa il tempo e miglioriamo:
sempre meno sconosciuti, l’uno all’altra.
Intanto, intorno:
un outlet di coppie stanche.
Allora ti vesti, così si gioca da adulti,
prove di bende sugli occhi,
nel buio creato i passi dei tacchi.
Iniziamo, perché alla normalità sessuale
di Marlon Brando e Maria Schneider
preferisco la pianista Isabelle Huppert.
Così siamo corrente elettrica,
costrizioni, fisica quantistica
sul pavimento della camera da letto
dove cammino in ginocchio
altro dal porno,
lontano il disgusto per i corpi sudati,
sbattuti come carne da cannone,
senza donne intese come tre buchi da
*
con i morsi della fame,
sono inciampato nel tuo spazio
e abbiamo affrontato cadute,
riprese, poi cose che
fino a poco prima
guardavo nelle distanze
di una connessione Internet.
Lo schermo del PC,
deriva delle persone sole,
mentre io, distante
dalle tette strette dentro magliette bagnate,
dai culi abbronzati sapore crema doposole,
con il tuo aiuto mi sono impegnato
nella scalata del silenzio della mente:
la meccanicità della mano,
i rumori di gomma e plastica,
i suoni strozzati delle bocche piene,
le esplosioni nel bassoventre
*
così lo sgabello di fianco al tuo caminetto materno
è diventato un corso di comportamento.
Ti siede elegante, nell’abito aderente,
accavalli gambe fasciate fino alle cosce
e sotto hai una pelle così morbida, pallida
dove mi perdo con l’immaginazione.
Sempre più spesso dimentico di respirare
e tu dici: Respira! Perché non si può
morire ancora prima di cominciare.
E così, respiro, e mi perdo, eppure respiro,
e molte cose iniziano portandomi con loro
Fotografia di proprietà dell’autore.