Luca Ariano e Carmine De Falco, “I Naufraganti” (Industria & Letteratura, 2025)

Nota di Silvia Patrizio

 

 

 

«La memoria è vita. Essa è in perpetua evoluzione. Rimane a volte latente per lunghi periodi e poi ad un tratto rivive. La storia è la ricostruzione sempre incompleta e problematica di quello che non è più. La memoria appartiene sempre al nostro tempo e forma un eterno presente. La storia invece è rappresentazione del passato.»

Eric Hobsbawm, L’età degli imperi

 

 

 

I Naufraganti (Industria & Letteratura, 2025), ultimo lavoro poetico a quattro mani di Luca Ariano e Carmine De Falco, sembra nascere da una zona liminare, dal terreno instabile e apparentemente indecifrabile della nostra più stretta contemporaneità.

«Ci sono forse due livelli di lettura per comprendere cosa è successo nell’arco di poco più d’un decennio», spiega Giuseppe Andrea Liberti nel suo Avviso ai Naufraganti. «Da una parte, è abbastanza evidente che, come temeva Abraracourcix, il capo del villaggio gallico di Asterix, il cielo ci è caduto sulla testa».

Certo, è facile che il pensiero vada «agli anni della pandemia, al costante esplodere di nuovi conflitti, e allo stesso tempo all’incapacità di reperire coordinate culturali che sappiano decifrare quanto accade».
Eppure, alla prima lettura, l’impressione vivida sulla pelle è l’euforia della nominazione, l’eco pervasiva e straripante che ripete la possibilità di dire, quando lo sguardo si fa attento testimone della vita, anche ciò che appare indicibile, ciò che si vorrebbe rifiutare o relegare in un incubo trasbottante ma che, invece, il verso può testimoniare se «innescato da un’esigenza di parola e di affermazione», come spiegano gli autori nella prefazione.

 

E allora la poesia, anche quando la realtà sembra frantumare la comprensione, non adempie solo all’ombelicale bisogno di dare sfogo al disagio, ma, se hai la forza di estraniarti/ di guardare i processi dall’alto, diventa strumento di riflessione individuale e collettiva.
Colpisce, infatti, la sapienza con cui, nel flusso narrativo che appare incessante, alcuni versi, come tanti fermo-immagine, si rigirino sul lettore, trasportandolo dal macrocosmo delle guerre e delle quotidianità sconnesse alla fragilità individuale di ognuno di noi.

La storia collassa sull’individuo, l’individuo è incastonato nella storia:

Do you remember Sarajevo? Grida il poster dal muro,
è una storia di file noiose, di gente in piedi che aspetta
di prendere acqua da un pozzo. Banale la vita
di bersagli non mobili.

 

Forse, il potere della parola poetica consiste proprio nel sapersi collocare nelle instabilità della storia, di saper cogliere quegli smottamenti del terreno che «ci proiettano in un nuovo status di naufraganti in una terra di mezzo tempestosa, dove diventa anche difficile condividere opinioni ed idee, intravedere approdi» (Prefazione).

Così, quasi per l’inaspettato potere della memoria che si mescola al racconto, accade che una mattina come le altre, / nel gesto quotidiano di un caffè, / un saluto sulla porta, / un piumino indossato l’ultima volta, scoprendosi nudi tra personaggi figure ruoli che abitano il mondo bianco della società egualitaria, divenga autenticamente possibile chiedersi se soccorrere barconi / o lasciarli sprofondare nel lavoro / malcelato del mare.

 

Il confine poroso tra responsabilità e indifferenza, solcato da una parola che sappia essere visione chiara – dunque testimonianza e denuncia – è paradossalmente reso visibile dai tanti tradimenti del discorso che nutrono le narrazioni contemporanee, come ripete, nel suo traballante refrain, la Filastrocca delle fakenews:

 

Qualcuno mi dice che dice lo dice
L’esperto, chiunque si dice e ridice
Reperto seduce e riduce in un rigo.

 

Anche dal punto di vista stilistico si assiste alla stessa, consapevole, instabilità: la poesia può naufragare nelle forme della prosa o della filastrocca senza soluzione di continuità.
Ancora una volta avvisa sagacemente Liberti: «Sembrerebbe che solo combinando i piani, anche da un punto di vista formale, sia possibile offrire un altro sguardo su ciò che ci circonda; per lo stesso motivo, è interessante osservare come reagiscano al naufragio totale le strutture poetiche canoniche, sempre ammesso che di loro rimanga qualcosa – e se sì, come».

 

Tale complessità precipita sulla pagina nel momento in cui il verso si fa responsabile dell’esistente, senza «altra pretesa se non quella di testimoniare esperienze e storie sullo sfondo della Storia», citando le parole degli autori.

 

Solo in questa complicità radicale, infatti, nell’amore che si cela dietro la parola capace di denunciare anche le più infime brutture, si può davvero dare voce alla più tenace forma di resistenza: Scannati siamo noi che restiamo a vedere…

 

Se la violenza ha un che di pittoresco
cattura lo sguardo e lo arresta,
resteremo qui ad ammirare le gesta
d’un pasciuto godimento estetico
prima di altri armageddon che solo
frammenti destrutturati
ci rendono digesti nel macabro
deserto dell’immagine
che basta a se stessa

 

La riparazione, memoria affievolita nel profumo di sfoglia sulle scale, sta, forse, soltanto nella collettiva discesa a ritrovare tracce… luoghi, nel sentirsi tutti coinvolti, nel non voltare lo sguardo prima di tutto da noi stessi e dalla nostra labile umanità.

 

E ancora di volta diviene possibile – spostate forse le cose – dare un volto ai fantasmi che ci accollano sui muri / nudi e oscuri di perforate memorie:

 

– ce la caveremo in un modo o nell’altro,
basterà solo toccare il fondo e risalire su
netti, radicali.

 

 

Silvia Patrizio

 

 

 

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C’è sempre una prima volta,
di quelle che lasciano insonni
prima di una partenza, taglia
il respiro sulle scale. Quasi un anno
dopo una cena di festa, come il primo
appuntamento e in bocca il sapore
di altri grani, capelli da sfiorare nel buio
di padiglioni quando finì l’estate.
Non sai quando la rivedrai… risposte
con voci registrate, e quell’algoritmo conosce
i tuoi passi che non ritrovi nel retro di botteghe.
Dove sono quelle sezioni?
Nessuno si è accorto come in autostrada
scivoli tra bancali di nebbia e la brina
si confonde alle pareti.

 

 

 

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Stendardi tradizionali celebrano la Maestosa confraternita dei
Moreni. Tra i colori della bandiera boliviana, una madonna
barocca viene circondata da grasse coppie ingessate.

folclore è quel che resta alla fine della neve.

Il club Andino Boliviano 1939 rimbalza la casetta sgangherata
che gli si staglia su un lato. Uno stretto tetto spiovente di tegole
marroncine delimita doghe di legno bianco e rosso, sfondo di
una grande scritta Coca-Cola traballante. Appoggiata su pietre
scure smottate con rigore, si affaccia a terrazza sulla valle brulla e
puntellata di piccole pozze d’acqua che riflettono un cielo grigio
andino.

5000 metri per non respirare. la montagna che c’è. vecchie paia di
sci dal taglio superato e maglioni natalizi occidentali. sci troppo
lunghi e squadrati. Alta quota di dolore dopo qualche giorno.
dove neve non c’è. Natali anni ‘80. il vecchio guardiano ci arriva
una volta per mese. Gambe troppo corte per sci troppo larghi.
non tagliano la neve già più. qualche giorno almeno per imparare
a respirare il cervello. ma la neve non c’è. adattarsi all’altimetria,
masticare foglia di coca, mischiare l’impasto alla polvere. bere
mate, fumare, lungo rituale sciare, sulla neve non c’è delle Ande.

avamposto della nostalgia e di neve non c’è.

 

 

 

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L’ultima neve, qui sulle alpi e non c’era
nessuno a guardarla cadere. L’ultima
non si sa mai se lo sia. Ce n’è traccia
su satelliti che girano in tondo
stratificando di peso
ogni millimetro d’aria, spargendo servizi
utilissimi o segreti, ridicolo
appare quel vecchio, che prega
al biancore che fu.

 

 

 

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Luca Ariano (Mortara, 1979) vive a Parma. Di poesia ha pubblicato: Bagliori crepuscolari nel buio (Cardano 1999), Bitume d’intorno (Edizioni del Bradipo 2005), Contratto a termine (Farepoesia 2010, Qudu 2018) oltre a testi presenti in varie antologie. Ha curato Vicino alle nubi sulla montagna crollata (Campanotto 2008) e Pro/Testo (Fara 2009). Nel 2012 per le Edizioni d’If è uscito il poemetto I Resistenti, scritto con Carmine De Falco, tra i vincitori del Premio Russo – Mazzacurati.
Nel 2014 per Prospero Editore ha pubblicato l’e-book La Renault di Aldo Moro con una prefazione di Guido Mattia Gallerani. Nel 2015 per Dot.com.Press-Le Voci della Luna ha dato alle stampe Ero altrove, finalista al Premio Gozzano 2015. Nel 2018 per Qudu è uscita una nuova edizione di Contratto a termine con la prefazione di Luca Mozzachiodi. Sempre nel 2018 ha curato il convegno su Pier Luigi Bacchini a Parma. Gli atti sono stati pubblicati nel 2022 per Ladolfi editore (Quel problema del cielo). Nel 2021 per Il Leggio Editore nella collana di Gabriela Fantato ha pubblicato La memoria dei senza nome con una prefazione di Alberto Bertoni e un’intervita di Luigi Cannillo.
È redattore di Atelier e di Versante Ripido. Dirige per Bertoni la collana di poesia PoesiaLab. Organizza numerosi eventi a Parma. Sue poesie sono tradotte in francese, spagnolo e rumeno.

 

Carmine De Falco, esperto di comunicazione digitale, lavora come webmaster per l’Agenzia dell’Unione Europea per l’Asilo a Malta. Ha pubblicato le raccolte Linkami l’immagine (Fara, 2006), Loop Vernissage (in Specchio poetico – Fara 2007), Italian Day (Kolibris 2009), I Resistenti, scritta a quattro mani con Luca Ariano (edizioni d’If 2012), Città bianca (in Zenit poesia – La Vita Felice 2015) e Meduse di Dohrn (Bertoni editore 2020).
Suoi testi sono presenti in numerose antologie, blog e riviste letterarie, tra le altre “Trivio”, “Le voci della Luna”, “Levania”, e nei volumi Nella Borsa del ViandanteAttraverso la CittàPro/TestoAlterEgo Poeti al MANNPoeti da SecondiglianoPoesia a Napoli ed. 2022, Napolesia.

 

Silvia Patrizio nasce a Pavia nel 1981. Dopo il liceo classico si laurea in filosofia, specializzandosi successivamente in filosofie del subcontinente indiano e lingua sanscrita. ‘Smentire il bianco’ (Arcipelagoitaca, 2023), la sua prima raccolta poetica, con prefazione di Andrea De Alberti e postfazione di Davide Ferrari, vince la III edizione del premio nazionale Versante ripido (2024) e il primo premio assoluto alla XVI edizione del premio nazionale Sygla – Chiaramonte Gulfi (2024), classificandosi anche al primo posto nella sezione poesia edita del medesimo premio. La silloge ha ricevuto, inoltre, una segnalazione ai premi nazionali Lorenzo Montano 2023 e Bologna in Lettere 2023 ed è risultata tra i finalisti del premio Pagliarani 2024. Suoi testi compaiono su diversi lit-blog e riviste, sia cartacee che online, tra cui L’anello critico 2023 (Capire Edizioni, 2024); Metaphorica – Semestrale di poesia (Edizioni Efesto, 2024); GradivaInternational Journal of Italian Poetry (Olschki Edizioni, 2023); Officina Poesia Nuovi Argomenti (2023); Inverso – Giornale di poesia (2023); Universo PoesiaStrisciarossa (2023). Fa parte della redazione della rivista Atelier Online.
Tutte le sue passioni stanno nei dintorni della poesia.

 

 

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© Fotografia di Giancarlo Baroni.