Ricordo la meraviglia e il senso di sgomento quasi fisico quando, studente di filosofia teoretica, mi sono imbattuto in Nietzsche. Il filosofo tedesco parlava della tragedia e affermava che quando il sipario si alza e vediamo in campo gli elementi contrapposti che generano la tragicità, in realtà tutto è già avvenuto, e ciò a cui assistiamo è la parte finale, postuma, del dramma, come se tutti fossero già morti ma non lo sapessero davvero. Una sensazione simile l’ho provata leggendo allora ho acceso la luce di un giovane poeta alla sua opera prima in poesia, Antonio Merola.
Un poeta scarno, essenziale, a suo modo inclassificabile, dato che le sue poesie sono insieme narrative e altamente liriche, o meglio, liricamente narrative, come se il giovane autore sapesse che un tasso di narratività è fisiologico anche nella verticalità lirica più accentuata. Anche in questo libro c’è una tragedia non ancora completa, che è iniziata prima che queste poesie venissero scritte o anche semplicemente ideate. Una catastrofe forse familiare, di sicuro economica e affettiva, che ha gravato sulle giovani spalle dell’autore fino a creare un «ripudio di una biografia/ che accerchia l’immagine/ dei mari», nel quadro di un passato di cui l’io è incolpevole e nello sforzo sovrumano di reagire, tenta di non lasciarsi annegare in questi mari aprioristici.
Per questo, chiuso il libro, il giovane Merola può dire che la sua opera di resistenza, esistenziale e testuale, è una cosa sola, e sorprende il lettore con accessi onirici, con una visione notturna delle cose che non diventa mai disperata o nichilista, con una richiesta di amore e fiducia nella vita semplicemente ammirevoli.
La bellezza di una luce interiore ben distinta caratterizza la seconda metà del libro, fatta di incontri, di eros, di scoperte adolescenziali, di fameliche avventure che disinnescano l’incanto del male. L’incanto, sembra dirci Merola, c’è sempre e ha due polarità, positiva e negativa, ma non è mai detta l’ultima parola: la vita alla fine si riappropria di se stessa, fa propria la prerogativa dell’esistere umano: del resto come si potrebbe esistere senza vita? Anche se la lotta è dura e il desiderio di fuga è sempre dietro l’angolo.
Merola come fuga sceglie il sonno, i sogni. Da una lato la realtà che ci rende bestie, dall’altro la propensione dello spirito a estraniarsi per pensare il bene, dall’altra ancora l’universo, simbolo di una vita diversa, completamente altra, o il ricordo, segno che induce a vedere la situazione attuale sotto un’altra prospettiva. Queste poesie, scritte come in stato di ipnosi, non chiariscono cosa ci sia stato prima, l’incipit tragedia.
Ma hanno una libertà espressiva rara, una capacità di incidere che deriva all’autore anche dalle amate letture dei poeti beat, soprattutto quelle di Ginsberg, che viene perfettamente assimilato e diventa, sul finale del libro, il padre putativo di questo autore così interessante e intrigante.
Da allora ho acceso la luce, Taut Editori, 2023
Che cosa faremo quando finiranno i soldi
se da qualche parte ci aspetta un ponte
o forse una madre a indovinare la forza
per cercare ancora una parte nel branco: ma fare la spesa
ogni giorno era la prima soluzione contro l’assurdo
come accettare di avere scoperto il mostro
sotto il letto a sorridere nero come una parte della famiglia.
Ci eravamo lasciati alle spalle una mancanza
tra le stanze vuote: ricordo ancora la povertà della casa
quando non avevamo ancora la corrente, ogni bolletta
costava una madre o una schiena e minorava l’esistenza
come matricolare la vita giorno per giorno
o subire la tragica necessità del cibo:
avevamo così poca fame
che cercavamo da mangiare nella spazzatura.
*
Mi sembra che io abitasse qui una volta:
tra i platani che morivano per il freddo,
ma rimanevano in piedi. Qualcuno ci chiamava
il quartiere dei ricchi: oggi è il ripudio di una biografia
che accerchia l’immagine
dei mari. Sui fondali
si toccano le radici delle onde
anomale. Ma le balene stonano le anomalie,
dormono in verticale: allora non saremo più
sopravvissuti che si vergognano di sentire il dovere
come una siccità: sapremo come smarginare il lago.
*
C’era ancora la paura del ritorno:
chiedevamo l’unicità a qualcosa che non poteva ripetersi
una volta sola come tremare gli agguati degli uomini,
piangere l’inverno. Ci avrebbero di nuovo tagliato
la corrente, ci avrebbero di nuovo portato via
la mobilia della casa, finché non saremo piegati alle cose
gettate: allora facevamo la doccia fredda
fino a tracimare il gelo. Non ho mai saputo
meglio la fine: vorrei pagare il mese con le parole,
mangiare la carta – invece ho una fame vera
di trascrivere l’arcobaleno in bianco e nero,
alterare il diluvio: voglio alberare il cielo di caducifoglie.
* * *
* * *
Antonio Merola, Roma 1994, ha pubblicato il saggio F. Scott Fitzgerald e l’Italia (Ladolfi, 2018). Cofondatore di «Yawp – L’Urlo Barbarico», collabora o ha collaborato scrivendo articoli e racconti anche per altri siti e riviste come La Balena Bianca, Nazione Indiana, Carmilla, Altri Animali e Flanerì (per cui ha curato la rubrica L’isolamento del romantico americano). Ha fatto parte della redazione della rivista «Atelier» ed è risultato finalista al Premio Guido Gozzano, sezione poesia inedita (2019). Sue poesie sono apparse su siti e riviste letterarie come «L’immaginazione» (n. 312), Nazione Indiana, «Atelier» (n. 89), La Bottega di Poesia su «La Repubblica», Argo – Poesia del nostro tempo, Poetarum Silva, Pioggia Obliqua e sul numero speciale di «A4 – la rivista su un foglio solo» dedicato alla poesia. È stato tradotto in inglese, spagnolo e francese su «Caravansary – Revista Internacional de Poesía» e su «The Dreaming Machine». È tra i selezionati da Alberto Pellegatta e Massimo Dagnino per il volume Planetaria – 27 poeti del mondo nati dopo il 1985 (Taut Edizioni, 2020).
Stelvio Di Spigno è nato a Napoli nel 1975. È addottorato in Letteratura Italiana presso l’Università “l’Orientale” di Napoli. Ha scritto articoli e saggi su Leopardi, Montale e Zanzotto, insieme alla monografia Le “Memorie della mia vita” di Giacomo Leopardi (L’Orientale Editrice, Napoli 2007) e al saggio L’artificio della naturalezza. Da Leopardi a noi (Agiscom, Napoli 2015). Per la poesia, ha pubblicato la silloge Il mattino della scelta in Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, Milano 2001), i volumi di versi Mattinale (Caramanica, Marina di Minturno 2006), Formazione del bianco, (Manni, Lecce 2007), La nudità (Pequod, Ancona 2010), Qualcosa di inabitato, con Carla Saracino (EDB, Milano 2013), Fermata del tempo (Marcos Y Marcos, Milano 2015), Stampa antica (Edizioni Gattili, Milano 2018), Minimo umano (Marcos Y Marcos, Milano 2020).