Emanuele Franceschetti è Dottore di ricerca in Musicologia (Sapienza Università di Roma) e insegna Storia della Musica al Conservatorio “L. Marenzio” di Brescia. Tra le sue aree di ricerca e pubblicazione: la drammaturgia musicale nel Novecento italiano, la musica vocale, il rapporto fra musica e critica e fra musica e storia culturale. Si è occupato di attività didattico-divulgative collaborando, tra gli altri, col Teatro dell’Opera di Roma e con l’Associazione Lingotto Musica di Torino. In ambito letterario, ha pubblicato il libro di poesie Terre aperte (Italic Pequod, 2015). Con la raccolta Testimoni, qui pubblicata in forma aggiornata e ampliata, ha vinto il “Premio Subiaco Città del Libro”, ed è stato incluso nel Quindicesimo quaderno di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2021, a cura di Franco Buffoni).
“[…] una densa e composita partitura, attraversata da alcuni Leitmotive che rintoccano da una pagina e da una sezione all’altra: si tratta, per situare subito questa nuova voce poetica, di motivi poetico-filosofici che la grande poesia del Novecento italiano ed europeo ha alimentato, variato, declinato per decenni e che tuttavia, se è vero il monito di Ernst Bloch che Franceschetti ha trascritto nell’epigrafe della prima sezione della sua silloge («Ciò che è
accaduto, è sempre accaduto solo a metà»), continuano a bruciare, a fermentare nella coscienza di chi scrive versi obbedendo più a una necessità espressiva ed esistenziale («cruento atto esistenziale», definiva Bartolo Cattafi la sua scrittura) che a un qualsiasi programma.” (dalla prefazione di Massimo Gezzi)
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È una donna. Parla a voce alta,
forse seduta di fronte al dispositivo
che le rimanda una figura intera e conosciuta.
Parla con voce del sud e in certi passaggi quasi grida,
non sai se per gioco per una rabbia improvvisa
nostalgia o terrore.
Oltre la parete sottile forse si chiede se la ascolti,
se esisti, quali frammenti ricomponi.
Cosa vedi, cosa hai perduto.
Anche tu figura, immagine sonora,
testimone.
*
L’occhio immobile, nel freddo, nel tempo che è solo questo
e non un altro tempo.
Una cellula, una luce.
L’unghia gialla, ricurva. Esserci senza schivare il male.
Si sporge, resta immobile:
è uno specchio, un’invenzione.
I tram lo oltrepassano. Non è mai nato.
*
La prima cosa sono le campane. Un suono di nessuno,
che non ferma la pioggia, che non salva
i superstiti. Sciancati, sentinelle, trafficanti,
ovunque vittime in disuso.
Angst,
in una lingua più efficace, per dire
che nel suono resiste una paura
che sai e non sai.
O forse sei solo come gli altri nell’opera del mondo,
nel nulla imprecisato, in una forma
tentata, un tu qualsiasi che si sporge.