DEVOZIONE
Il mio corpo sconsacrato
Vertigini mentali e paure celebrali: estasi,
Lenzuola ingrigite accartocciate e scomposte,
Cani randagi, avanzi di cibo.
Maggio si specchia nel tossico sole
vanitoso riarde sulle mie nudità.
Ustiona il sudore: salsedine sulla pelle,
L’aria è bagnata, acida e sola: Osanna.
Coriandoli a terra le mille fanciulle,
Mi guardo le mani, tremano e pregano.
Dallo specchio un boia solenne, incrocio
Il suo sguardo nel mio cimitero: Amen.
Una goccia si stacca, rimbalza sul viso,
Di rosso mi tingo, trattengo il respiro
Asfissia e apoplessia: supplica.
Un grappolo d’uva anoressico e vedovo,
Penzola devoto aggrappato alla linfa.
Il corpo consacrato ad un’unica fede,
In ginocchio lamento il martirio silente.
L’assenza e l’assenzio devote presenze:
dondola la mente spigolosa e sconvolta.
Rintocca il pendolo: eterno riposo.
Domani cadrò come Sodoma
implorando pietà.
*
PRIMAVERA ESTIVA
Come un battesimo in una valle
Schiacciata dalla mia stessa esistenza.
Inaccessibile l’epicentro del mio Io.
In bilico su scaglie di zucchero filato
Roteavo giocando tra limiti e paure.
Come funambulo ubriaco dalla coda tagliata
Presuntuosa e accecata scalavo le torri
Sempre più vicino a quella luna straniera,
Sempre più lontana dalle mie stelle di luce.
Gli alisei mi spingevano lontana dall’isola
E in un tratto un pittore mi incatenò sulla tela.
Una lama recise il mio cordone vitale,
mi schiantai marmorea sopra un prato di mine
Mille schegge morenti si dispersero affrante:
mendicai frammenti di vita.
Vestita di ossa le tesi la mano: Mamma.
Mi dissetò con un bacio e mi cullò nel suo seno.
Mi accompagnò in una valle dove mi battezzai.
Lavai via la melma e abbandonai il superfluo,
Accolsi il dolore come un nido una rondine:
Era giunta d’estate la mia primavera.
*
MIELE E LIMONE
Giochi d’infanzia
Viaggio sulla scia di un pianoforte laccato
La casa azzurrina mi aspetta al di là delle mura.
C’è un lecca-lecca, di istantanee e pergamene
Polaroid ingiallite al profumo di miele e limone.
Mi specchio nel vetro di una finestra socchiusa
Sposto la tenda mi rivedo bambina.
Una bici arancione tra alberi e ribes
Una cantina di ricordi, pomodori e bottiglie.
Sassolini nelle scarpe e un caminetto spento
Cavalco il mio destriero di legno e vernice
Mi porta lontano in un mondo di laghi
Ceruleo, amaranto, cobalto e lilla
Galleggio sospesa tra ninfee e riflessi
Sto giocando con la neve, io e le nuvole
Sono il libeccio, leggera sulla vespa di nonno.
C’è un profumo nell’armadietto, bigodini e calze
Sono in punta di piedi e mi è caduto un dentino.
Ho chiuso la porta, il ripostiglio è buio
Voglio tornare a nuotare nei ghiacciai di nettuno
Ho bisogno di sognare colline e cicale
Per sapere che posso continuare a giocare.