Vasyl Holoborodko
(inediti)
traduzione dall’ucraino di Paolo Galvagni
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(traduzione dall’ucraino di Paolo Galvagni)
Ci prepariamo per la festa
Lo so – è imminente il giorno che dobbiamo festeggiare
con enfasi.
Ho stirato i calzoni, ho annodato sulla camicia bianca
la cravatta,
Ho chiesto alla mamma di preparare torte salate e prendere
dalla cantina
i cetrioli e le mele, io sono andato a invitare gli amici.
Ritorno con un amico, racconta di certi fatti,
che gli capitano al lavoro, e io penso sempre alla festa.
Quando ormai arriviamo in camera mia, l’amico comincia
a canticchiare una canzone festosa.
Io mi avvicino al calendario alla parete,
per guardare quanti giorni mancano alla festa,
solo ora vedo che la giornata, che mi preparo
a festeggiare con gli amici, è passata ormai da tempo.
Mi stupisco che nessuno me l’abbia detto.
Né la mamma, né l’amico che ho invitato a casa.
L’incontro di un attimo
Nella stessa direzione,
ma con diversa velocità
si muovono una fanciulla
con la gonna a fiori
e un giovane
su un motorino rosso.
Il giovane sul motorino rosso
guarda la fanciulla con la gonna a fiori,
aumenta la velocità – vola –
– sfreccia – accanto alla fanciulla
con la gonna a fiori –
scompare dietro la curva – alato.
Ma quando egli sbanderà
in curva e si sfracellerà sulla strada,
la fanciulla con la gonna a fiori
continuerà a camminare lentamente
e arriverà al negozio, dove la madre
l’ha mandata a prendere il pane.
E a suo tempo si sposerà,
senza mai ricordare
quel giovane sul motorino rosso,
che per un attimo le sfrecciò accanto
come un alito inatteso di vento,
che sfiorò la sua pelle nuda,
ma gli occhi non riuscirono a notar nulla,
perché un giorno lei potesse
ricordare qualcosa di preciso.
21 settembre 91
La legge dell’appartenenza
Durante la prima seduta di solitudine
esamino la legge dell’appartenenza.
Dapprima ricorro all’analogia:
gioisco, vedendo che la mela appartiene al ramo,
il ramo – al tronco, il tronco – alle radici.
E ancora sull’albero crescono le foglie,
anch’esse appartengono alla mela,
come la mela appartiene alle foglie.
Le radici appartengono alla terra,
la terra – al giardino, il giardino – a me,
quindi, anch’io appartengo
alla mela,
al ramo,
al tronco,
alle radici,
alle foglie,
alla terra,
al giardino,
e tutto questo appartiene a me.
Sull’albero si posa un uccellino,
anche lui appartiene all’albero e al giardino,
quindi appartiene anche a me,
e io appartengo a lui.
Talora le analogie non vengono in mente,
comincio a raccogliere gli oggetti
per possederli,
affinché mi appartengano:
la sedia, il tavolo, il foglio di carta, la matita.
Caro,
esamino la legge dell’appartenenza.
Cerco la mia appartenenza al mondo
dai fiorai alla Besarabka (*) di Kyïv,
al Bazar Coperto di Donec’k,
all’autostazione di Charkiv.
*) Besarabka, uno del principali mercati della capitale ucraina. Donec’k e Charkiv, città dell’Ucraina occidentale (la prima ora martoriata dal conflitto in corso)
Per tali dichiarazioni non troppo coraggiose sono stato espulso dall’università e mandato sotto le armi, in reparti operai, che erano qualcosa a metà tra l’esercito e la galera.
Per quasi vent’anni, dal 1968 al 1986, non sono stato pubblicato in Ucraina, né il mio cognome è stato menzionato in pubblico. Ma la causa del mio silenzio poteva risiedere anche nel fatto che scrivevo versi liberi. A quell’epoca esisteva la tendenza non dichiarata a sostenere la poesia in rima (la cosiddetta scuola puškiniana); questo riguardava tanto la poesia russa, quanto quella ucraina, che doveva orientarsi verso la poesia russa ufficialmente riconosciuta.
Nella mia attività letteraria mi sono orientato verso la poesia europea, di cui allora si traduceva qualcosa (principalmente in russo), e benché fossero autori o comunisti (Neruda, Hikmet, Eduard), o leali all’Unione Sovietica, tuttavia erano per me un esempio e oggetto di studio. La scelta del verso libero era motivata anche dall’aspirazione a liberare la poesia dall’artificiosità e dalla mortificazione del verso classico, il ritorno a un’espressione naturale, non costretta nell’angusto ambito del ritmo artificioso e della rima innaturale. Anche questo orientamento verso i modelli europei è stato la causa del mio silenzio.
L’espressione naturale ha portato alla liberazione dalle astrazioni nei versi, che non erano più informativi, e alla scelta della concretezza, di un sistema di immagini concrete, basato sulle realtà della natura, come fonte più accessibile e, non in ultimo, su quello che era libero dalle alterazioni sociali.
È difficile trovare una motivazione assennata per il mio arrivo in poesia, o per la venuta della poesia a me: tutto è stato spontaneo, e il fatto di esser stato sostenuto da celebri critici e poeti all’inizio, mi ha spinto a svolgere questa occupazione per tutta la mia vita cosciente.
Ho sopportato serenamente il lungo periodo di silenzio, cioè non avevo il desiderio di essere presente nel processo letterario a qualunque costo (cioè scrivendo versi servili, a cui si dedicava in massa tutta la poesia allora ufficialmente riconosciuta e pubblicata); continuavo a scrivere versi liberi e non ero tenuto a conformarmi alle esigenze ufficiali, che spettavano alla poesia pubblicata. Ovvio, qualcosa si perde, qualcosa si ottiene, ma non potrai misurare quello che è andato perso, quello che non esiste!
Fin dall’inizio della mia attività letteraria mi ha pervaso un’idea: in che cosa consiste il carattere ucraino del verso, oltre al fatto di essere scritto in lingua ucraina; per questo mi sono rivolto al folclore ucraino (e non solo ucraino). A un certo momento è giunta la persuasione che la lingua non è costituita solo dai lessemi fissati dal dizionario, ma è tutto il folclore; per tanto considero come lingue paritarie le formazioni folcloristiche nei miei versi. Una volta per i miei colleghi poeti ho così formulato il modo in cui
concepisco i miei versi: voi scrivete in lingua ucraina, e io scrivo versi ucraini. Ovviamente, la purezza di questa definizione non è stata mantenuta in tutta la mia opera, ma l’aspirazione ad attenermi a questo accompagna tutta la mia attività letteraria.”
Vasyl’ Holoborod’ko, settembre 2010
(testo inedito)
Vasyl’ Ivanovy? Holoborod’ko nasce in una famiglia contadina nel 1945 ad Adrianopil’, villaggio di minatori nei pressi di Luhans’k (antica città ucraina, ora martoriata dal conflitto in corso). I nonni paterni vengono “dekulakizzati”: nel 1929, durante la collettivizzazione, viene confiscata la casa e la famiglia spedita sugli Urali. Il padre del futuro poeta viene riconosciuto “contadino medio”; un cupo destino si abbatte per molti anni su tutta la famiglia: ai figli non è concessa neppure l’istruzione superiore. Solo il giovane Vasyl’ può compiere gli studi, in quanto la sua giovinezza coincide con l’epoca del disgelo chruš?ëviano. (1)
L’infanzia e l’adolescenza trascorrono nelle campagne e nelle scuole di paese. L’osservazione diretta dei costumi e delle usanze contadine sfocerà nell’interesse per il folklore.
Nel 1964 si iscrive alla Facoltà Filologica dell’università della capitale ucraina. A questo periodo (anni 1963-65) risalgono le prime pubblicazioni di poesia: dapprima in edizioni regionali, poi nelle riviste centrali: “Radjans’ka Ukraïna”, “Dnipro”, “Den’ poeziï 1963”. Il ciclo “Zoloti hle?yky hruš” [Gli orci dorati delle pere] esce sulla rivista ufficiale “Žovten’” (1965, n. 12), suscitando reazioni entusiastiche.
Nel 1965 passa all’università di Donec’k: viene espulso l’anno seguente con l’accusa di “azioni incompatibili con il titolo di studente sovietico”: fa circolare tra gli studenti il lavoro Internacionalizm ?y rusyfikacija? [L’internazionalismo o la russificazione?] dello studioso Ivan Dzjuba. (2) È sospettato di condurre attività nazionalistiche. Tenta quindi di iscriversi all’Istituto Letterario Gor’kij di Mosca, ma non gli viene concesso. Nel 1968 viene arruolato e spedito nell’Estremo Oriente sovietico, dove rimane fino al 1970. Ritorna quindi nel villaggio natale, dove lavora in miniera e al kolchoz. Per quasi vent’anni è costretto al lavoro manuale e al silenzio.
Infatti, nel 1965 cerca di pubblicare la raccolta Letju?e vikonce [La finestrella volante] presso le edizioni “Molod’”, ma la censura blocca l’operazione. L’uscita della raccolta presso “Smoloskyp” (Baltimora, USA) nel 1970 discriminerà l’autore: le case editrici ufficiali sovietiche non lo pubblicheranno fino all’era di Michail Gorba?ëv. Intanto all’estero cresce la sua fama: suoi versi sono inclusi nell’antologia La nouvelle vague littéraire en Ukraine (Parigi 1967); nel 1983 a Belgrado esce i volume Moderno svetsko pesništvo [La poesia mondiale moderna]: il sottotitolo recita: “Dal bengalese Rabindranath Tagore all’ucraino Vasyl’ Holoborod’ko”.
La sua prima pubblicazione ufficiale in Ucraina risale al 1988: la raccolta di versi liberi Zelen den’ [Giornata verde], che viene insignita del premio letterario Vasyl’ Symonenko. Tra i volumi poetici si ricordano: Ikar na metelykovych krylach [Icaro su ali di farfalla] (1990), Kalyna ob Rizdvi [Il viburno a Natale] (1992), Slova v vyšyvanych soro?kach [Le parole sulle camicette ricamate] (1999), My jdemo: Vybrani virši [Andiamo: Versi scelti] (2005). Nel 1994 consegue il principale riconoscimento letterario di Ucraina: il premio Taras Šev?enko. Riesce a laurearsi all’ateneo di Luhans’k nel 2001, dove, l’anno seguente, consegue il dottorato in filologia con un lavoro sulle fiabe ucraine. Attualmente vive a Luhans’k, è membro dell’Unione ucraina degli Scrittori, del Pen club. Le sue poesie sono state tradotte in varie lingue europee (inglese, francese, polacco, spagnolo). Scrive anche articoli sul folclore ucraino per varie riviste.
La scuola poetica di Kyïv è un fenomeno brillante nella poesia ucraina del secondo Novecento. Si forma negli anni 1965-69 negli ambienti studenteschi dell’ateneo della capitale. “Della scuola di Kyïv si può parlare sotto diversi punti di vista: come di un fenomeno essenzialmente poetico, il cui segno principale è la libertà creativa; come di un gruppo di giovani non conformisti, il cui vettore vitale è la libertà della volontà in tutte le sue manifestazioni; come di un tentativo psicologico sperimentale di vivere diversamente rispetto alle altre generazioni, vivere come se tutto accadesse in un paese libero e indipendente; come di una fratellanza di creatori di poesia, il cui obiettivo principale è la poesia stessa”. (3) La “quadriga” della scuola poetica di Kyïv (V. Holoborod’ko, M. Vorobjov, V. Kordun, M. Hryhoriv) riesce a infondere alla poesia ucraina freschezza, naturalezza e spirito filosofico. Liberi dallo spirito di partito e dal carattere didattico, che dominano la letteratura ufficiale sovietica, questi autori incentrano la loro opera sull’“io”.
Vasyl’ Holoborod’ko è un poeta eterogeneo. I suoi testi sono mitopoietici, surrealistici, ermetici, patriottici, ironici e sarcastici. È difficile quindi rappresentare questa varietà in un quadro unitario.
Come poeta spesso attinge al serbatoio del folclore ucraino. I suoi versi invitano a riflettere sui rapporti tra tradizione e modernità, due fenomeni strettamente legati. Lo spazio “sacro” della dimensione mitopoietica contrasta con lo spazio profano della vita contemporanea. Holoborod’ko vede il suo compito poetico nello svelare le profondità della tradizione ucraina: trasferirla nel presente.
1) Periodo compreso tra la metà degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Ha inizio con la morte di Stalin (1953) e il XX congresso del PCUS (1956).
2) Ivan Dzjuba (n. 1931), critico letterario ucraino. Il saggio Internacionalizm ?y rusyfikacija? [L’internazionalismo o la russificazione?] (Londra 1968) riguarda i problemi nazionalistici nell’URSS. Per questo lavoro è stato accusato di voler intaccare l’amicizia tra le repubbliche sovietiche, infiammare l’odio tra il popolo ucraino e russo.
3) V. Kordun, “Kyïvs’ka škola poezïï – š?o ce take?” [La scuola poetica di Kyïv – che cos’è?], in Ukraïns’ki literaturni školy ta hrupy [Scuole e gruppi letterari ucraini], L’viv 2009, p. 28.
Fotografia tratta da Internet Encyclopedia Ukraine
Paolo Galvagni (1967). Laureato in Lingua e letteratura russa a Bologna, ha trascorso periodi di studio a Mosca, Minsk, Kiev, Pietroburgo. Collabora con riviste e case editrici, per le quali traduce testi di poeti e narratori russi, con specifica attenzione alla poesia contemporanea. Tra gli autori tradotti si ricordano A. Achmatova, A. Andreev, A. Blok, N. Kljuev, Vl. Majakovskij, Vl. Vysockij. Tra i contemporanei: Elena Svarc, Sergej Zav’jalov, Sergej Stratanovskij.
Per Atelier ha tradotto:
– Sergej Timofeev (Lettonia)
– Chamdam Zakirov (Uzbekistan)