Giovanni Peli (Brescia, 1978). Bibliotecario, scrittore e musicista. Prolifico e versatile, ha scritto libri di poesia, di narrativa, per l’infanzia, testi per musica e per il teatro. Ha fondato Lamantica Edizioni con la traduttrice Federica Cremaschi.
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Ultima sequenza del dialogo
I
… dall’alto scendendo attenti e veloci
simili alle poiane in tuffo
abbiamo toccato il vuoto come è fatto
e certo non ci bastava
perché alle parole non c’è rimedio
allora a terra, fatto scempio delle prede
non bastava raschiare con artigli evoluti
fino alla polpa della terra offesa
sanguinante come capretti
più giù dove potevano aprirsi ossa di materiale duro
grotte in cui lanciavamo i pensieri
per orientarci con il loro freddo suono.
Lì abbiamo riaperto casi risolti con dignità
ricordato dialoghi non collimanti
ipotizzato verità alternative, ma sempre sbagliate.
Nella pura falsità, nella poesia,
ci siamo chiesti che cosa, oggi, valesse la pena raccontarsi.
Dove siamo più nudi, anche lì,
una frase vale l’altra.
II
… dall’altra parte non c’è niente
e così appese le giacche in cima
nascoste bene le borse sotto il tavolo
inciso perché è legno
sporco perché è nostro
tutto promette un gioco e il dialogo, la rincorsa inutile
anche il vento non incede più e la vespa
non spera e bolle l’acqua quando la canzone
è ripresa, non si è mai fermata, ti dico, c’era già
l’odio e il demolire chirurgico sono ancora accesi
dopo il film, a seguito delle divergenze di opinione
nostre, per sempre seppellite dalla cara vicinanza
sono il triplo sopra il limite consentito
come l’amore c’era anche prima
il ritmo dell’invasione c’è già, c’è sempre stato
battiamo le mani e pestiamo
perché è il duro che ti voglio dire,
ancora senza silenzio e senza mordere.
III
… ecco le cose come stanno:
nessun poeta può dire dei corpi
infiammati dal sesso e dai pensieri
la sera nuda ormai leggeri
come uccelli già spariti che erano qui
oltre la palla di luna di gas di scarico,
nessun bugiardo può dire
della nostra illimitata gioia annullamento
vorace silenziosa cieca vita
che toglie il velo pezzuola sporca
alla crudeltà del tempo,
e così incallito lo guardiamo segnare
in altri volti il disperato e vile gioco
del contemporaneo nero macello.
Per questi motivi finisce appena,
e sembra troppo infantile,
l’asfissia del tormento letterario
e anche il gioco delle classi agiate.
Siamo via, felici, senza scambi di frasi.
IV
… il lupo è vicino
un andamento astioso fatto di cerchi,
l’anima stremata, visibile, odora di sangue
trova sollievo nella neve
non abbiamo mai sopportato il freddo
non l’abbiamo capito, in alcun modo, noi
guardiamo l’animale negli occhi, incede,
deciderà lui la velocità del tuono
la durata del tempo e le immagini che ricorderemo.
Altri cerchi su in alto, incombenti
quando i lati del possibile si stringono sempre di più
prima di toccare la nostra volontà
i rapaci gridano contro gli alberi e le rocce
il loro stridore teso e preciso
rimbalza dentro il nostro dialogo,
eppure io e te rispondiamo allo stesso modo a questi stimoli
incapaci tra pontili e sottopassi e decisioni pressanti
… ma ecco! Sorge un’idea vaga che seduce
buttiamo giù le case!
Fermiamo la produzione!
Esistere è l’accerchiarsi di motivazioni
mettere la parola fine da qualche parte
organizzare giornate di caccia e calcolo
di passi ritmati e una serie di parole scelte
ripetute in false preghiere
sapendo che saranno inutili:
il nostro tempo è passato nel migliore dei modi
e sarà presto dimenticato.