Francesco Papallo è nato nel 1987 a Napoli, dove vive. Ha compiuto studi classici e orientalistici. Si interessa di letteratura, filosofia occidentale ed orientale, arte figurativa e giornalismo. Alcuni suoi componimenti poetici sono stati pubblicati nella rivista di Elio Pecora “Poeti e Poesia”, nella rivista “La clessidra” all’interno di una rassegna dedicata ai poeti campani, nella rivista “Kairos”, sul blog “Transiti poetici” di Giuseppe Vetromile, sul blog “Poetrydream” e nell’antologia “L’assedio della poesia 2020” curati da Antonio Spagnuolo. Alcuni dei suoi articoli e racconti brevi sono apparsi sul “Manifesto” e sul “Mattino” di Napoli.
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Quale pietà miliare
quale gelo di memoria infliggersi.
Sulle mimose fiorite in gennaio
ci sono i mille astri dell’infanzia tradita,
la seduzione e il ghigno sadico del mese
che gioca sporco alla dolcezza,
al nido per tutti, al paradiso
aperto e ripulito.
Non sa riaprire i pugni quest’inverno
e con le nocche batte
ai nostri vetri istoriati d’ireniche promesse,
figure che nessuno sa leggere,
che attendono parola dalla luce.
Ma l’ombra che ci tiene nel suo boccio
secerne una nuova apertura alare.
Almeno così dice
l’amico e il genitore
caduto pigolando
leggero sul fogliame.
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PER GABRIELE
Tagliano l’aria le tue schegge d’estate.
Sono piccole lenti sovrumane,
occhi di Medusa inferti a te stesso.
Ora il tremore dell’autunno li raccoglie
li incide come gusci di castagna
che si apriranno solo ad altre braci.
Perché marcare stretto l’ombra della soglia
è un verbo ancora troppo silenzioso,
la voce alta di cui si spoglia un dio
nelle stanze fatiscenti che gli apri.
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Larice dorato, araldo della mia solitudine,
se ne vanno le api che nutristi
con la manna delle tue foglie estive.
E vado anch’io tra gli aghi già caduti
in preda ai mulinelli; espiro piano
e sono dentro un alito che spezza
la corona d’aria dell’eco.
Qui, sul confine prossimo al disgelo,
c’è in palio una vertigine
che mi avvita, mi sprofonda
dove vuole.
Come quel giorno pieno d’extrasistoli
in cui provarono a spiegarmi
dove avevano portato l’amico,
perché non ritornava ai nostri giochi.
Il giorno in cui conobbi l’eresia
di non cogliere le more ormai mature
mi salvarono il pianto ed il ruggito
e non sapere che volesse dire
polvere d’amianto.