Luca Crastolla nasce in Puglia. Nel 2018 pubblica l’opera prima “L’ignoranza della polvere” (2018), edito da Controluna con la prefazione di Giuseppe Cerbino.
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Trittico da un camino lucano
verso Craco
sulla crosta, l’acqua serpeggia
mostra la mela, nasconde la coda.
Sul cuoio del pachiderma d’argilla
terrestre, crea e corrompe
il vaso, strade e camminamenti.
Sufficiente un oggi; domani se domani:
una religione di mosche cavalline
in odore di sterco, non distante di greggio
Ieri, da qui non è mai passato:
tutto minaccia un disastro antelucano
un’eterna fine.
a Craco
quel che rimane: materia che cede
tempo immobile. D’argilla
scafandri di fantasmi. L’aspra serenità
di trovarsi allo smarrimento tra simili
serenità disordinate, faglie, calanchi:
un urlo; un’intera Giordania muta
nella vertebrata polvere di quattro rabdomanti
caduti nella questua dell’acqua. Madre
che dormi un sonno di mille anni
poi scuoti il capo e radi al suolo le mosche
da Craco
Sollevai la crosta del Sinni e
allunai profondamente: stralunai.
Scotellaro nella tasca del pane
le macerie geologiche tra i denti
Tutto un ossario insorge
prosciuga le reliquie, ustiona l’avverbio.
Ogni cento caduti una croce di cicoria
malata. L’estrazione una mala sorte di midolla
*
davvero se viaggiamo di ritorno
in ritorno, a bordo delle guantiere di scirocco
fra costati aperti nella Murgia in cave
più in là l’asfalto ancora stupisce
gli antropologi dell’alta stagione (sebbene
l’anello di Nardò): locuste. Locuste noi pure
che ci aggiriamo per l’aria appesa. Madre icona
di sterpi, cisterne interrate e trappeti arruolati
nella pietra di Davide, alla fionda del genio
a basso impatto, larga l’impronta, ma Honolulu
e le Maldive, l’indifferenziata fra gli ossari, i campi
da golf a ridosso dei megaliti in soglia messapica
e per tutta la screpolatura un soprassuolo di cocci
impietriti contro le sale slot, il packaging: il baluardo
il grido ingolato di un nome ai passanti
*
sempre l’impeto lento inesorabile
di una littorina che scorre la dorsale
delle intime occasioni meridiane.
L’affondo per gravine, ti dissi
di Laterza la verde, di Massafra e Greguro*
Riggio e il salto d’acqua, la piccola Bisanzio
quando la gola s’apre e del Cristo tarlato
dall’incuria saliente. Poi lo sperone crudo
di Porto Selvaggio il venticinque aprile
di una morte fa. Torre dell’Alto che protegge
un battesimo d’inverno nato oggi per aria
docile al viso rasato di fresco per la sposa
dei due mari in capo a Leuca di luce assordante
e amplessi di popoli. Lo senti che ti chiamo
disegnando le carte di una penisola battuta
da pezzi di treno e corriere sciancate. Questo
affanno di dirti l’areale quotidiano della mancanza
*
*Greguro: leggendario guaritore di Massafra
attivo intorno all’anno Mille nel villaggio
rupestre ospitato dalla Gravina di Massafra