Giacomo Picchi è nato a Figline Valdarno (Firenze) nel 1987 e attualmente vive a Pavia. Laureato in Scienze Politiche si occupa di Risorse Umane. Le sue liriche sono apparse sull’Antologia del Premio Letterario “Ossi di Seppia” 2019, sulle Antologie “Bouquet” e sulla rivista Luogos, edite entrambe dall’Associazione Culturale Giglio Blu di Firenze, di cui è socio. Nel 2019 ha vinto il Premio Letterario Internazionale J. Prevért con la silloge inedita “Muri”

La forma dell’anima altrui – Poesie in omaggio a Seamus Heaney (Lietocolle 2019)

72886969 2462520933831756 5096891690787012608 nLa forma dell’anima altrui – Poesie in omaggio a Seamus Heaney
a cura di
Maria Grazia Calandrone e Marco Sonzogni

introduzioni di
Irene De Angelis e Elena Cotta Ramusino

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Nell’anima altrui

La nostra mente, nell’avventurarsi dentro la forma dell’anima altrui — o comune — che chiamiamo “poesia”, ha bisogno di oggetti sui quale poggiare, mancorrenti che la sostengano mentre cammina nei territori nebulosi di una vita che forse non le appartiene e che è diventata forma e stile. Antologie come questa suggeriscono di ragionare proprio sulla nostra appartenenza alla vita degli altri, specialmente se il mezzo col quale la vita degli altri ci viene raccontata è, appunto, la poesia. Come i versi di Seamus Heaney coi quali è stato chiesto di dialogare, le poesie antologizzate riferiscono quasi sempre frammenti di vita quotidiana, fatti minimi, gettano luce su interni di abitazioni quasi sempre borghesi. Sono, insomma, istantanee di vite “normali”. Eppure, ritenute degne di venire tramandate attraverso la poesia. Questo accade perché i sentimenti, la memoria e le immagini che donne e uomini portano in sé sono sempre le stesse. E la poesia offre la possibilità di identificarsi nella memoria dell’altro. Chiunque legge può riconoscere la propria in una delle figure materne qui raccolte, tratteggiate, evidenziate, cantate, rimproverate, nominate, ringraziate, consolate. Le donne riunite nelle pagine di questa antologia sono un riassunto in versi delle maternità possibili: da quelle chiuse a quelle amorosissime, da quelle così avvolte dalla tradizione che sembra di averle già incontrate, almeno nelle pagine di un libro, a quelle invece del tutto prive di amore, a quelle raccontate attraverso una memoria nella quale neanche fanno la fatica di comparire direttamente, perché di loro basta il riverberare. Le scene sono raramente drammatiche, raramente traslate, metafori­che, più spesso si svolgono in cucina e l’inguaribile profondità della relazione viene narrata, sul calco di Heaney, attraverso il racconto di una materia alimentare manipolata, spesso insieme: in quasi tutte le poesie, chi scrive compie gesti insieme alla figura descritta, come nei sogni dove vediamo noi stessi da un punto fuori di noi che, in questo caso, si chiama “poesia”. La poesia, come i sogni, ci porta infatti spesso fuori di noi. Il risultato è che nessuna di queste donne e di queste memorie abita confini privati: sono di tutti, sono gente di famiglia. Questo può avvenire anche perché i poeti hanno intonato la propria voce a un suono elementare, a un parlare comune. Ma certo non si sono piegati a una necessità esteriore, è piuttosto accaduto che, come sempre accade davanti al vero, abbiano avuto urgenza di comunicare, di raccontare ad altri la scoperta. Le parole per dire le cose radicali sono sempre chiare. La necessità di comunicazione rivela infatti che il poeta non sente di dover esibire la propria perizia, né aggiungere rovelli immaginativi alla realtà, né ricercare altro che il già esposto. La sua scena interiore gli basta. Per una volta, la realtà gli basta, perché è colma di senso, ne trabocca. L’evento è dato e le parole hanno funzione di referto. L’evento nasce carico di senso, già di per sé memorabile, basta raccontarlo. E il racconto di ognuna di queste donne ci riguarda alla prima persona. Così si riconosce la poesia: se trafigge, se non lascia uguali, se l’immagine che contiene diventa un ricordo, indimenticabile, di chi legge. Insomma, se la vita dell’altro, quel pelare patate nella mattina domenicale o quel ridere, segreto o aperto, nella luce, apparterrà — da adesso — alla nostra vita.

Maria Grazia Calandrone

Notizia

Seamus Heaney (1939-2013) — poeta, traduttore, critico, docente — è uno degli autori più letti, studiati e tradotti del nostro tempo. Nel 1995 ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura in virtù della “bellezza lirica” e della “profondità etica” della sua opera. Con la nostra lingua e la nostra letteratura Heaney ha avuto un’affinità particolare: oltre a Dante e Pascoli, entrati nella sua poetica attraverso l’esperienza di lettura più intensa: la traduzione, anche Leopardi, Montale, Levi, Calvino.

L’abbraccio

per Seamus Heaney

Tu dormi accanto a me così io mi inchino
e accostato al tuo viso prendo sonno
come fa lo stoppino
da uno stoppino che gli passa il fuoco.
E i due lumini stanno
mentre la fiamma passa e il sonno fila.
Ma mentre fila vibra
la caldaia nelle cantine.
Laggiù si brucia una natura fossile,
là in fondo arde la Preistoria, morte
torbe sommerse, fermentate,
avvampano nel mio termosifone.
In una buia aureola di petrolio
la cameretta è un nido riscaldato
da depositi organici, da roghi, da liquami.
E noi, stoppini, siamo le due lingue
di quell’unica torcia paleozoica.

A oltre venticinque anni dalla sua pubblicazione (Esercizi di tiptologia, Mondadori 1992), ricordo bene che questo testo nacque con un aggancio diretto a Seamus Heaney. Dietro l’evidente allusione dantesca del finale, agisce infatti un termine inconfondibilmente tipico del poeta irlandese e del suo paesaggio. Mi riferisco al sostantivo “torbe”. Il fatto, poi, che Heaney si sia confrontato con la traduzione della Commedia, non può che rafforzare un legame lontano ma tenace. Ecco ad esempio Terra di palude, a illustrare il sostrato geologico della sua isola: «La terra stessa è burro nero morbido / che si apre e si scioglie sotto il piede: / Da milioni di anni le manca / l’ultima definizione». Ecco La regina della palude, che canta il ritrovamento di una mummia: «Ed io risorsi dal buio, / con le ossa spezzate, il cranio / come ceramica, le cuciture sfilacciate, / e ciocche, piccoli barlumi sulla riva». Ed ecco infine L’uomo di Grauballe, ennesimo reperto estratto dalle viscere dei campi, fratello, forse, di quell’Uomo di Pofi (sottotitolo di Geologia di un padre, Einaudi 2015), al quale ho dedicato un intero libro: «Come se fosse stato versato / nel catrame, giace / su un guanciale di torba / E sembra piangere / il fiume nero di se stesso».

Valerio Magrelli

I poeti presenti: Nadia Agustoni, Antonella Anedda, Daniela Attanasio, Carlo Bordini, Maria Borio, Silvia Bre, Franco Buffoni, Sonia Caporossi, Tiziana Cera Rosco, Caterina Lazzarini, Maurizio Cucchi, Andrea de Alberti, Alessandro Fo, Biancamaria Frabotta, Massimo Gezzi, Mariangela Gualteri, Giovanna Iorio, Mia Lecomte, Vittorio Lingiardi, Valerio Magrelli, Andrea Breda Minello, Renata Morresi, Claudio Pasi, Laura Pugno, Elisabetta Sancino, Francesco Scaramozzino, Myra Jara Toledo, Sara Ventroni.