Ricardo Gil Soeiro è Dottore di Ricerca in Studi Letterari e Culturali presso l’Università di Lisbona e ricercatore del Centro di Studi Comparati della Facoltà di Lettere della stessa Università. Tra le sue pubblicazioni segnaliamo le seguenti opere: O Pensamento Tornado Dança (2009), Gramática da Esperança (2009), Iminência do Encontro (2009), A Alegria do Sim na Tristeza do Infinito (2009), Caligraphia do Espanto (2010, poesia), Labor Inquieto (2011, poesia), Constelações do Coração (2011, poesia), L’apprendista di enigmi (Roma: Aracne editrice, 2012. Traduzione di Daniela Di Pasquale). Nel 2010 gli viene conferito il Premio “PEN Clube Português”. Le poesie “Visita nocturna” e “Inferno musical” sono state pubblicate in A Vida das Marionetas – Para uma Dramaturgia do Corpo Inanimado, vol. I (Edições Húmus, 2012), mentre “Prelúdio: I would prefer not to” e “Bartleby, ou a fórmula, 1993: Gilles Deleuze”, appaiono nella raccolta Bartlebys Reunidos – Para uma Ética da Impotência, vol. II (Deriva Editores, 2013). Si tratta dei primi due volumi dell’opera dal titolo Palimpsesto, una Tetralogia di una Poetica Palinsestica, la cui stesura è tuttora in corso (2012-2016).
Ricardo Gil Soeiro
da Palimpsesto
(inediti)
traduzione dal portoghese di Daniela Di Pasquale
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Visita nocturna
Às vezes, em navegáveis noites de
luar, acordo dentro dos teus sonhos.
E se assim te invado, sem desculpa,
nem pudor, a intimidade violada,
é para dizer-te num sussurro que
sou bem real, não essa imagem
gasta de boneco alado, viajando
em imperceptíveis caudas de cometas.
Com passos de veludo, para não ser grande
o sobressalto, percorro em câmara lenta
os corredores da tua alma adormecida,
plantando a semente de promessas adiadas.
De tudo me sirvo: deixo postais de viagem,
triviais fotografias e até ridículas cartas de amor.
Em vão procuro convencer-te de que existo,
à margem silenciosa da história dos humanos.
Terminada, porém, a noctívaga expedição,
a verdade é que tudo fica na mesma:
e já que assim te esqueces de mim,
apressar-me-ei a apagar sem remorsos
os vestígios da breve passagem sonâmbula.
Quando, esquecido, regressares das estrelas
mais tardias, reconhecerás, afinal, que terei
sido sempre eu a fiel morada que buscavas.
Então, e só então, perdurarei eu, mortal e
imperfeito, no rasto de cinza que deixares.
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Inferno musical
Melhor seria render-me às evidências:
serei para sempre vago boneco de madeira,
oscilando no trapézio do destino.
Com lábios emprestados e pele de veludo,
vê como me elevo no ar, representando cenas
decerto usurpadas da mente de um poeta.
E, no entanto, confesso que,
por vezes, queria ser humano:
no rosto semear lágrimas inúteis,
contar-te, em noites vazias,
o que sinto, o que sofro;
chegar até a ter um corpo real,
só meu, respirando pesadelos em voz alta
e ansiando por aventuras verdadeiras.
Mas as coisas são como são e,
assim, aceito, de bom grado,
o papel que me destinou o universo:
um sonho dentro de um sonho,
efémera matéria de que sou feito.
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Prelúdio: I would prefer not to
Em distinta vida já remota,
confesso que cheguei a ser poeta,
mero escriturário de versos falhados,
entretido com rimas vazias e
em vão procurando soletrar
o triste mistério de existir.
Felizmente que fui ainda
a tempo de decidir ser outra
máscara mais real: com a lição
bem estudada, rendi-me ao
injurioso embuste do mundo.
E, desistindo de roubar ao escuro
absurdos alfabetos luminosos,
transformei-me em simples sopro,
voz avulsa que assim veleja à deriva.
Agora – não sei se por arrogância
ou desdém – já nem passo cartão a
escusados apelos de musa inoportuna;
finjo que não me assusta esta dor
invisível: a mentira de estar vivo.
Por vezes, ainda me acena
com as suas promessas de papel:
mas eu permaneço irredutível,
respondendo que preferiria não o fazer.
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Bartleby, ou a fórmula, 1993:Gilles Deleuze
Persegue-me esta fama incurável
que se cola a mim como permanente
tatuagem: a de ser desistente escrivão,
abstendo-me do vulgar encontro com palavras.
E embora me agrade permanecer, assim,
ilegível desperdício de poemas,
prefiro que, sumido no nó do tempo,
me tomem por mero sono mutilado
ou talvez somente pele rasgada.
Antes ousar esfíngicos lábios de silêncio
do que confinar-me a banidas marionetas de papel.
Por mim tudo bem, pois já estou habituado
a este ténue tédio de que sou feito.
Ficarei assim esquecido no mudo
labor que não cesso de perder.
Só não quero que se saiba que,
no final de contas, continuo
a ter este rosto de renitente
escriba sem remédio.
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(traduzione dal portoghese di Daniela Di Pasquale)
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Visita notturna
A volte, in navigabili notti di
chiar di luna, mi desto dentro i tuoi sogni.
E se perciò invado, senza scuse,
né pudore, la tua intimità violata,
è per dirti un sussurro che
so essere reale, non quell’immagine
consunta da fantoccio alato, in viaggio
per impercettibili code di comete.
Con passi di velluto, perché non sia grande
il soprassalto, percorro al rallentatore
i corridoi della tua anima addormentata,
piantando il seme di promesse rimandate.
Di tutto mi servo: lascio cartoline,
triviali fotografie e persino ridicole lettere d’amore.
Invano cerco di convincerti che esisto,
a margine silenzioso della storia degli umani.
Terminata, però, la nottivaga spedizione,
la verità è che tutto resta uguale:
e giacché così ti scordi di me,
mi affretterò a cancellare senza rimorsi
le vestigia del breve passaggio sonnambulo.
Quando, dimenticato, tornerai dalle stelle
più tarde, riconoscerai, infine, che sarò
stato sempre io la fedele dimora che cercavi.
Allora, e solo allora, rimarrò io, mortale e
imperfetto, sulla scia della cenere che lascerai.
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Inferno musicale
Meglio sarebbe arrendermi all’evidenza:
sarò per sempre vago burattino di legno,
oscillante sul trapezio del destino.
Con labbra prestate e pelle di velluto,
guarda come mi sollevo in aria, rappresentando scene
di certo usurpate dalla mente di un poeta.
Eppure, confesso che,
a volte, vorrei essere umano:
sul volto seminare lacrime inutili,
raccontarti, nelle notti solitarie,
ciò che sento, ciò che soffro;
arrivare ad avere un corpo reale,
solo mio, che inscena incubi ad alta voce
e anela ad avventure vere.
Ma le cose sono come sono e,
così, accetto, di buon grado,
il ruolo a cui mi ha destinato l’universo:
un sogno dentro un sogno,
effimera materia di cui sono fatto.
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Preludio: I would prefer not to
In una distinta vita già remota,
confesso che arrivai ad essere poeta,
mero scrivano di versi falliti,
intrattenuto da rime vuote e
invano cercando di sillabare
il triste mistero di esistere.
Per fortuna feci ancora
in tempo a decidere di essere un’altra
maschera più reale: con la lezione
ben studiata, mi arresi
all’ingiurioso inganno del mondo.
E, desistendo dal rubare al buio
assurdi alfabeti luminosi,
mi sono trasformato in semplice soffio,
voce avulsa che così veleggia alla deriva.
Ora – non so se per arroganza
o disdegno – non do nemmeno più retta a
superflui appelli da musa inopportuna;
fingo che non mi spaventi questo dolore
invisibile: la menzogna d’essere vivo.
A volte, mi richiama ancora
con le sue promesse di carta:
ma io resto irremovibile,
rispondendo che preferirei di no.
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Bartleby o la formula, 1993:Gilles Deleuze
Mi perseguita questa fama insanabile
che mi s’incolla come indelebile
tatuaggio: quella d’essere desistente scrivano,
astenendomi dall’ordinario incontro con le parole.
E sebbene mi piaccia restare, così,
illeggibile spreco di poesie,
preferisco che, svanito nel nodo del tempo,
mi prendano per mero sonno mutilato
o magari solamente per pelle lacerata.
Piuttosto osare sfingiche labbra di silenzio
che confinarmi in bandite marionette di carta.
Mi sta bene così, sono ormai abituato
al tenue tedio di cui sono fatto.
Sarò dunque scordato nel muto
lavorio che non smetto di perdere.
Solo non voglio che si sappia che,
in fin dei conti, continuo
ad avere questo volto da renitente
scriba senza rimedio.
Fotografia di Daniel Pedrogam© (proprietà dell’autore)
Daniela Di Pasquale si è laureata in Lettere Moderne nel 2002 (Università di Milano), con una tesi in Lingua e Letteratura Portoghese e ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Letterature Moderne e Comparate nel 2006 (Università di Genova), con una tesi di comparatistica letteraria luso-italiana (Metastasio al gusto portoghese. Traduzioni e adattamenti del melodramma metastasiano nel Portogallo del Settecento, Aracne, 2007). Dal 2007 al 2013 è stata borsista di post-dottorato presso il Centro de Estudos Comparatistas dell’Università di Lisbona, dove ha condotto un progetto di ricerca sulla ricezione di Dante in Portogallo. Traduttrice letteraria dal portoghese all’italiano, ha lavorato per Cavallo di Ferro e ha recentemente tradotto la silloge poetica di Ricardo Gil Soeiro (L’apprendista di enigmi, Aracne, 2012). Ha svolto attività di docenza universitaria in Portogallo nell’ambito della cultura italiana e della traduzione, con particolare interesse per il teatro, l’opera lirica e la poesia. Molteplici sono i riconoscimenti ottenuti per la sua attività di prosatrice. In poesia ha pubblicato Mater Babelica (Faloppio, LietoColle, 2014).
Per Atelier ha tradotto i testi della poeta Susana Araújo