Kaiserstadt è la città di ferro che vedi oltre la frontiera.
È abitata dalle guardie di frontiera, dagli impiegati degli uffici che registrano i passaggi e da quelli che decidono chi passa.
Quelli che passano vengono per fabbricare il ferro di cui è fatta la città.
Quelli che decidono chi passa hanno smesso di parlare per decidere.
Hanno deciso che è meglio comunicare con i mezzi della tradizione antica: pugni di ferro, catene, bastoni, lotta a mani nude.
Questi mezzi sono diventati inevitabili anche per comunicare con chi non usa parole chiare per gli uffici o con chi porta certe cose nella città.
Non si può portare qualunque cosa a Kaiserstadt.
A volte passano la frontiera in molti e vengono da una stessa area geografica.
Vogliono continuare a usare le loro tradizioni, in genere molto diverse da quella europea. Al posto dei pugni di ferro, delle catene, dei bastoni e della lotta a mani nude prevedono la lapidazione, lo stupro e la preghiera a un dio straniero che – è evidente – non esiste.
A Kaiserstadt alcuni avevano provato ad eliminare dio in passato, ma da quando si è tornati alle radici ci si è resi conto anche del fatto che non c’è pugno di ferro senza dio.
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Il nome è la città
la nebbia
o l’afa che la cancella è la
realtà
è Kaiserstadt
la lamina del ferro
imperiale appare a chi guarda
e aspetta di entrare
alla frontiera
il ferro ti spezzerà le ossa
a Kaiserstadt, dove si va
per lavorare, per impiccarsi
a travi in subaffitto, per guardare
all’alba la frontiera da dove
si è venuti, per piangere e cercare
di dimenticare
la radio annuncia restrizioni. I bambini
che sanno di frontiera saranno
disinfettati a Kaiserstadt
i capelli che sanno di sudore
saranno rasati a Kaiserstadt
le parole non chiare per gli uffici
saranno considerate nulle a Kaiserstadt
gli animali che sanno di animale
saranno abbattuti a Kaiserstadt
*
Sul mondo ricadono le vesti
dell’angelo
il buio attorno al sole, gli aerei
militari, i teloni sugli alberi
da frutto, le lenzuola stese
sui cadaveri
niente appare in cielo che non sia
caduto a terra
caduta dell’angelo: le stelle
furono piante o sassi
e ricadranno. La nostra
notte è il loro desiderio
di caduta
il vento: la foglia d’oro
nel pulviscolo
il vento: il giallo sgretolato
torna cenere
torniamo perché tutto
fu giardino, anche i fiumi
che muoiono distesi nel fango
della terra
il delta in mare è un tradimento
perché l’acqua che è scorsa discende
ancora e ancora
polvere che fu giardino: brilla
l’oro che fu pianta sgretolata
al vento
nel girasole secco il vento
agita cenere
*
Fioriture
canzone mozza
delle fioriture decapitate e rosa nella pioggia
che le trascina in strada gorgogliando
dai tombini respirano mari
in rovina. Azione mozza, voce
che si spegne
il cavallo gelato nel mattino
ha tremato finché un uomo con le lacrime
del freddo per pietà non gli ha sparato
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Sonia Gentili (Polla, 1970) insegna Letteratura Italiana (Sapienza università di Roma). È saggista, poetessa (L’impero e la Gorgone, Perrone, 2007; Parva naturalia, Aragno, 2012; Viaggio mentre morivo, Aragno, 2015, premio Viareggio e premio Pisa; I quattro gesti della creazione, Aragno, 2020, menzione speciale premio Gozzano), narratrice (I filosofi, Castelvecchi, 2019), autrice per ragazzi (Favole per credere alle favole, Ali Ribelli, 2022). Con l’artista Ambrogio Palmisano ha creato il collettivo di poesia visiva Gentili-Palmisano (www.collettivogentilipalmisano.com), le cui opere sono state esposte in vari musei italiani. Sono apparsi nel 2024 il suo ultimo libro di poesia Un giorno di guerra (Aragno), finalista al premio Viareggio 2025 e vincitore premio Città di Penne e premio Gozzano, e il suo ultimo saggio L’idea di poesia nel Medioevo (Viella).
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© Fotografia di Rita Antonioli.


