Marina Dora Martino, tre poesie da “Cielo Cervo” (Interno Libri, 2025)

Con un'introduzione di Valentina Furlotti

Rudolf Otto nel 1917 definiva il sacro come «mysterium tremendum et fascinans»: misterioso, capace di suscitare terrore e tremore, ma anche di esercitare una fascinazione magnetica. Lo stesso si potrebbe dire di questi testi, che, se da un lato ci scuotono e quasi ci respingono con immagini cruente («con le lame che hai ordinato per rasarti / taglio le palpebre ai vitelli»; «ho divorato l’armonia delle tue costole»), dall’altro ci seducono con la loro potenza onirica.

Dai versi di Marina Dora Martino emerge una sacralità forse simile a quella «sensualità trascendente» che secondo Cristina Campo si salvava in alcune passioni popolari: il «bisogno di toccare reliquie, di premere la bocca su immagini e statue, di trascinarsi carponi sui pavimenti dei santuari, di offrire alla divinità qualcosa del proprio corpo» (C.C., Gli Imperdonabili, Adelphi, 1987).

Eppure in Cielo Cervo tutto è immanente, dalla luce abbagliante della campagna all’oscurità che avvolge le carcasse, e in questa presenza assoluta il dettato procede per accostamenti originali e disturbanti. Nella prima poesia che proponiamo, per esempio, oggetti d’uso comune quali il rasoio, le posate, il divano diventano strumenti per compiere un sacrificio rituale.

È proprio la predilezione per il cortocircuito verbale, per la visionarità legata al mondo animale e corporeo a connetterla, a mio avviso, a Mariella Mehr: «Spesso canta il lupo nel mio sangue», «come se l’amore fosse / di un blu cupo e sconcertante, / lavato da tutti i temporali», «togliamoci / esausti il gelo / dai capelli» (M.M., Ognuno incatenato alla sua ora, Einaudi, 2014).

 

 

Valentina Furlotti

 

 

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con le lame che hai ordinato per rasarti
taglio le palpebre ai vitelli
che in cecità non trovino la strada alle madri

ho divorato l’armonia delle tue costole
su quel divano dove hai portato via la sera
con forchetta e coltello

ad ogni singulto aggiungevo armenti
mandria generatrice di malinconia-moneta

sotto i piedi sporchi del buio
con le lame del tuo rasoio

sbarro gli occhi ai vitelli
che al buio non trovino la strada alle madri

 

 

 

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uomini civetta! uomini civetta!
sono carcassa contenta
agguantatemi
nel buio che sosta

con la testa serrata nell’oro
pugnalo la mia gemella
in processione

l’artiglio prezioso
il mento colato
la conservazione

venitemi a prendere
quando dormo
come parte dello stormo

sarò la sola formidabile punta

 

 

 

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fammi mangiare i tuoi pomodori
in piedi sotto il fulgore
sotto la splendente
asse delle ascisse
che sale in croce all’orto

il pomeriggio fischia
come lo spillo che tiene l’ape
sono pronta a gettarmi
dentro

fammi sentire
la santa distanza
del cobra che si sveglia
morto nella bottiglia

 

 

 

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Marina Dora Martino (Treviso, 1993) è una poeta bilingue. Dopo i suoi studi tra l’Italia, l’Australia e il Regno Unito, si è trasferita a Venezia, dove lavora nell’editoria e guida laboratori di scrittura creativa nelle scuole. Disegna anche fumetti su un uomo che è un uccello. “Cielo Cervo” è la sua opera prima.

 

 

Valentina Furlotti (Parma, 1993) è laureata in Filosofia e si è specializzata come docente di sostegno. “Fosforescenze” (Interno Libri, 2023), la sua prima raccolta poetica, ha vinto la XXXVI edizione del Premio Camaiore Proposta Vittorio Grotti. Suoi testi compaiono su varie riviste, lit-blog e antologie, tra cui “L’anello critico 2023” (Capire Edizioni, 2024), il nono “Almanacco dei poeti e della poesia contemporanea” (Raffaelli, 2022), “Secolo donna 2024” (Macabor, 2024) e “Orme di luce. Ricognizione della giovane poesia italiana” (Macabor, 2025). È caporedattrice di Atelier e condirettrice artistica di Vianino in poesia. Collabora con Interno Poesia Blog.

 

 

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© Fotografia di Lorenzo Syloes.