«L’ago del mondo in me» — Ospite: Stefano Bottero

Dialoghi di poetica a cura di Silvia Patrizio

 

 

 

 

Io penso effettivamente con la penna, perché la mia testa spesso
non sa nulla di ciò che la mia mano scrive.

Wittgenstein, Pensieri diversi

 

 

 

 

S.P. Wittgenstein, nei Pensieri diversi da cui trae ispirazione questa nostra chiacchierata, si mostra interessato a cogliere, quasi a sorprendere, il momento in cui «il pensiero (…) lavora per arrivare alla luce». Mi piace immaginare che l’àncora per questa risalita sia il verso. Nella stessa opera, Wittgenstein precisa: «credo di aver riassunto la mia posizione nei confronti della filosofia quando ho detto che la filosofia andrebbe scritta soltanto come composizione poetica» specificando ulteriormente che «il lavoro filosofico è propriamente… un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di vedere. Su come si vedono le cose. (E su cosa si pretende da esse)». Qual è la tua posizione nei confronti di una concezione della poesia come sguardo euristico in cui alla riflessione ‘filosofica’, in un senso molto ampio e composito del termine, si intrecciano indagine estetica e formale? Recuperando l’etimologia greca della parola, che si appoggia al verbo poiêin (fare), può la poesia divenire esercizio di sguardo critico su di sé e, di conseguenza, sul proprio modo di guardare alla realtà? Portando all’estremo limite queste riflessioni, il sé resiste alla poesia?

 

S.B. Nella poesia cerco il vuoto del sé, non la sua rimanenza. Anche se qualcosa del corpo si sedimenta inevitabilmente nei testi che compone, il canale in cui questo accade è per me lo stato precario (con Mazzoni) tra lirica e quella che Jean-Marie Gleize chiama post-poesia: il punto del disfacimento. Qui il sé re-esiste alla poesia. Può interrompere gli automatismi del linguaggio, i pattern letterari, il biografismo, e avvicinarsi al presente. Aprirci altri tagli.

 

 

S.P. Come si tratteggia, nella tua poetica, il limite poroso tra esperienza privata e universalità del linguaggio? Se poesia è ‘messa in forma’, in che rapporto sta il gesto poetico col magmatico coagularsi dell’esperienza, personale e collettiva? Questo confine di difficile definizione influenza in qualche modo la tua concezione della scrittura?

 

S.B. È un confine che collassa in sé stesso. La scrittura è farsi oggetto di un’angoscia, cola da una crepa del corpo ma non è del corpo – ed è solo forma: non significa niente. Il paradossale, in essa, è quello che può spalancare – il suo stesso vuoto. Il solo spazio, scrive Anedda, a cui ci si può relazionare «senza abitudine».
Non mi interessano gli autori che cercano di significare emotivamente la propria forma. Il tentativo di rendere la poesia una diretta traduzione dell’esperienza è quasi sempre mediocre.

 

 

S.P. «La realtà non è tenace, non è forte, ha bisogno della nostra protezione», denuncia Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo. Personalmente ritengo che, se esiste possibilità di protezione, questa si realizzi soltanto affinando uno sguardo attento, capace di non dissimulare, che attraversa e fa suo il coraggio della testimonianza. Come ti poni nei confronti del rapporto tra poesia e realtà? Esiste, dal tuo punto di vista, una qualche forma di potere del linguaggio poetico sulla realtà?

 

S.B. No. È anzi l’impotenza assoluta: il punto di prospettiva in cui la realtà della parola è immediatamente animale e disforica. Qui moltiplica e aumenta il reale possibile, proprio perché prefigura in esso il vuoto che lo precede e lo segue. Qui può fare silenzio dei gesti, riscrivere i desideri e i corpi. È un concetto che hanno molto chiaro i feticisti: la possibilità trasformativa che sta nella pulsione quando è monomaniacale, assoluta, e trasfigura ogni cosa. La parola poetica non è diversa. Uno dei primi versi della storia, in questo senso, è il nome di Pietro chiamato da Cristo. La manifestazione dell’inconsistenza del corpo, dell’identità, attraverso il linguaggio.

 

 

 

S.P. Per convocare un altro interessante pensatore del secolo scorso, c’è un passaggio di Essere e tempo in cui Heidegger utilizza il termine cura per descrivere il modo in cui l’essere umano si relaziona al mondo, agli altri esseri e a se stesso. L’aver cura è il modo in cui l’uomo, in una modalità di esserci che Heidegger definisce ‘autentica’, si fa carico del proprio essere e del suo rapporto col mondo. Esiste, secondo te, una relazione tra poesia e cura? Eventualmente, quale accezione restituisci a questo termine nel suo rapporto col fare poetico?

 

S.B. Per la stessa ragione – no. Non ci credo.

 

 

S.P. Tornando a parlare di ‘messa in forma’, come concepisci il rapporto tra poesia e altre arti? Questo tema ha toccato la tua ricerca? Pensi possa esistere un linguaggio inclusivo che non imponga confini all’espressione ma, al contrario, lavori sulla ridefinizione stessa del limite?

S.B. È per me un rapporto di continuità totale, con le arti visive e la musica soprattutto. Il limite tra i linguaggi, se esiste, sta solo nella riconoscibilità – ci sono delle pagine straordinarie di Michaux e Miłosz su questo. Più di molta poesia, oggi sento vicina come poesia Blue di Derek Jarman, la Maddalena di Nicola Samorì.

 

 

 

S.P. Per concludere, vorrei proporti un’altra stimolante provocazione che Wittgenstein lascia alle pagine dei suoi Pensieri diversi: «io non devo essere nient’altro che lo specchio nel quale il mio lettore veda il proprio pensiero con tutte le sue deformità e riesca poi, grazie a tale aiuto, a metterlo a posto». A quale ipotetico rapporto col lettore senti di acconsentire attraverso la tua poetica?

S.B. A nessuno. «Lo stesso autore» hanno scritto Nancy e Ferrari «viene dall’opera dedotto»: è data una separazione tra il corpo e il testo. Io non sono diverso – i versi che ho scritto non sono il mio corpo, non si ammalano. Accettare questa inappartenenza è l’unico modo per scriverne. Divaricare la crepa, modellarne la forma.

 

 

 

Nota. Il titolo della rubrica è la rivisitazione di un verso tratto alla poesia La partenza, di Franco Fortini.

 

 

 

 

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da Notturno formale (Industria & Letteratura, 2023)

 

 

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io non ho più mani.
fretta
di camminarti in gola come
scale – quando è tardi
rame
sottratto ai cavi.

Bianca – il tuo sangue non ha direttive
domani non c’è.

 

 

 

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[inedita]

 

 

prima di fasciarlo. le ripetizioni svuotano il corpo bianco sporco il reflusso
pensano alla carne dei supermercati. oltre la plastica

nei quadri di plastica ti portano a dormire dopo averla stesa.

sciolta – usano la ferita come una cuccia e bevono. bevono. sulle pareti i cerchi
diventano sterili, preme negli allevamenti e ancora

nel nero Tàhlequah – senza sguardo la carne dei supermercati. le coperte
sono un liquido che si avvita e nega.

nega.

 

 

 

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Stefano Bottero: Stefano Bottero è nato nel 1994. Per la rubrica di Milo De Angelis su «Poesia» di Crocetti, nel 2022, ha pubblicato la silloge Ogni cosa sta per finire. Il suo ultimo libro di poesia è Notturno formale (Industria&Letteratura, 2023 – in dialogo con le opere di Nerina Toci). È redattore di «Polisemie» e collabora come traduttore e critico con periodici tra cui «Lingua italiana» (Treccani) e «Nuovi Argomenti» (Officina poesia online). Suoi versi saranno presenti nel XVII Quaderno di poesia contemporanea di Marcos y Marcos. Ha vinto il Premio Città di Como – Opera prima.

 

 

Silvia Patrizio nasce a Pavia nel 1981. Dopo il liceo classico si laurea in filosofia, specializzandosi successivamente in filosofie del subcontinente indiano e lingua sanscrita. ‘Smentire il bianco’ (Arcipelagoitaca, 2023), la sua prima raccolta poetica, con prefazione di Andrea De Alberti e postfazione di Davide Ferrari, vince la III edizione del premio nazionale Versante ripido (2024) e il primo premio assoluto alla XVI edizione del premio nazionale Sygla – Chiaramonte Gulfi (2024), classificandosi anche al primo posto nella sezione poesia edita del medesimo premio. La silloge ha ricevuto, inoltre, una segnalazione ai premi nazionali Lorenzo Montano 2023 e Bologna in Lettere 2023 ed è risultata tra i finalisti del premio Pagliarani 2024. Suoi testi compaiono su diversi lit-blog e riviste, sia cartacee che online, tra cui L’anello critico 2023 (Capire Edizioni, 2024); Metaphorica – Semestrale di poesia (Edizioni Efesto, 2024); Gradiva – International Journal of Italian Poetry (Olschki Edizioni, 2023); Officina Poesia Nuovi Argomenti (2023); Inverso – Giornale di poesia (2023); Universo Poesia – Strisciarossa (2023). Fa parte della redazione della rivista Atelier Online.

Tutte le sue passioni stanno nei dintorni della poesia.

 

 

 

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© Foto di proprietà di Nerina Toci.