Nino Iacovella è nato a Guardiagrele nel 1968. La sua ultima opera in versi è La linea Gustav, del 2019 (il Leggio Editore). È tra gli ideatori e redattori del blog di poesia Perigeion, un atto di poesia. Vive e lavora a Milano. I seguenti inediti sono tratti da La parte arida della pianura.
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IL MERCATO RENDE LIBERI
Proemio
Scrivimi Musa l’esergo del viaggio, in alto a destra dell’abitacolo del secolo,
la visione mesta di questa era che deraglia sui propri passi
Scrivimi dagli scompartimenti del nostro tempo
nell’ora di pagare il conto di questo giro turistico d’élite a rate,
che ci porta a brindare dai più alti terrazzi panoramici di un Occidente
dirottato su binari in bilico sulle frane dei calanchi
Da questa frattura che si spalanca sugli organigrammi aziendali,
risorse umane accucciate sotto le scrivanie, formazioni a testuggine
che avanzano tra gli strali degli amministratori generali, nello sprono
del risultato e la frusta somministrata ai proni come veleno per Mitridate
A volte mi è capitato di sottoscrivere a capestro partenze di convogli
carichi d’uomini e donne deportati nelle fosse di certi luoghi comuni:
siamo tutti al sicuro dalle intemperie tra le impalcature del lavoro,
siamo tutti al riparo sotto la loggia del mercato
E mi sorprendo con occhi bendati d’azzurro tra le paratoie dei nostri macelli
nel fluire della Storia che è fiume di maiali che sfocia in un mare di carne
Ora parliamone dei proci, le loro grasse cotenne d’oro come sale sulle allegorie
Restiamo a baciarci abusivi nella lussuria della prima classe, fingendo amplessi
di sottofondo, come doppiatori di porno ai primi carmi
Nessun limite ai piagnistei da anacoreti arrivati a dio
dalle scorciatoie estatiche dei monti di venere
Tutto è compreso nel deserto di pellegrinaggi svenduti a trenta denari
dentro un’epoca che brucia tra gli specchi ustori delle proprie rovine
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Io credo in un solo Io
Io credo in un solo Io, creatore del ceto e della guerra,
credo nel capitale finanziario, nei paradisi fiscali,
nella massimizzazione del valore per gli azionisti,
nella terra come fattore produttivo
destinato al lavoro degli immigrati,
credo nei meno abbienti destinati alle periferie
nella marginalizzazione del conflitto sociale
che ci rafforza nella competizione globale
Credo nella flessibilità del lavoro,
nell’esercito di mano d’opera di riserva,
nella trickle down economy
Credo nel mercato, che ci rende liberi
di scegliere, credo nei rider
nuovi cavalieri del lavoro, avventurieri
di un’epoca senza epica, imprenditori
di sé stessi fuori dalla noia operaia
Credo nella catena globale del valore,
nella produzione dislocata nei paesi
senza diritti e a basso salario
Credo nella dislocazione della produzione
come la celere disloca la spalla del manifestante
quando è a terra, inerme, battuto
Credo nella debolezza della forza contrattuale
dei lavoratori, così come credo nella forza
della propaganda e dell’immagine pubblicitaria
Io credo in un solo Io, nella classe media assuefatta
al limpido calore dell’acqua, alle nostre estati in vacanza,
alle acque termali che ci lessano come rane bollite
Io credo in te, dio Io che hai la mia stessa faccia,
credo nella mia generazione che ha eretto
cattedrali egotiche e scavato fossati comuni
per difenderci dagli assedi della morte
Credo in un solo Io, nel mostro interno
che ci vive dentro,
come nel dipinto di Goya
dove Saturno, con occhi alieni, divora il figlio
strappando a brandelli la carne
della propria carne
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Noi interpretiamo la realtà attraverso le lenti di una teoria
Mi guardo dall’alto, all’interno dell’outlet, un uomo di mezza età che ricopre alla moda la nudità del tempo e della morte.
Forte è la musica di una gioventù andata, traslata sugli assi cartesiani del profitto, pelle tirata a lucido dal consumo di beni voluttuari.
Amo vestire il benessere occidentale e ammirare la carica erotica della mia e delle nuove generazioni. Stimolo e risposta.
Tutto precipita senza senso ma con i sessi infiammati. Godiamo dell’uso di automobili di lusso e sogniamo spiagge avatar, caricature esotiche da mostrare nel cortocircuito delle piattaforme asociali.
Amo perdermi nei negozi di abbigliamento di massa con la musica pulsante al ritmo di un cuore eccitato.
Mi accorgo che siamo in tanti a mettere le mani addosso sulle stesse cose. Non una parola con nessuno dei tanti, non una parola con le commesse che hanno soltanto poche domande e risposte da contratto.
Tra ogni uomo e le merci esiste una sola forma univoca di dialogo: leggere il relativo prezzo e capire se proprio quello è il prezzo che dobbiamo pagare tutti.
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© Fotografia di Valentina Murgia.