«L’ago del mondo in me» — Ospite: Stefano Massari

Dialoghi di poetica a cura di Silvia Patrizio

 

Io penso effettivamente con la penna, perché la mia testa spesso
non sa nulla di ciò che la mia mano scrive.

Wittgenstein, Pensieri diversi

 

 

S.P. — Wittgenstein, nei Pensieri diversi da cui trae ispirazione questa nostra chiacchierata, si mostra interessato a cogliere, quasi a sorprendere, il momento in cui «il pensiero (…) lavora per arrivare alla luce». Mi piace immaginare che l’àncora per questa risalita sia il verso. Nella stessa opera, Wittgenstein precisa: «credo di aver riassunto la mia posizione nei confronti della filosofia quando ho detto che la filosofia andrebbe scritta soltanto come composizione poetica» specificando ulteriormente che «il lavoro filosofico è propriamente… un lavoro su se stessi. Sul proprio modo di vedere. Su come si vedono le cose. (E su cosa si pretende da esse)». Qual è la tua posizione nei confronti di una concezione della poesia come sguardo euristico in cui alla riflessione ‘filosofica’, in un senso molto ampio e composito del termine, si intrecciano indagine estetica e formale? Recuperando l’etimologia greca della parola, che si appoggia al verbo poiêin (fare), può la poesia divenire esercizio di sguardo critico su di sé e, di conseguenza, sul proprio modo di guardare alla realtà? Portando all’estremo limite queste riflessioni, il sé resiste alla poesia? 

 

S.M. 

–  non mi fido del pensiero in poesia . mi fido solo del corpo . perché con il corpo sento . e io scrivo solo quello che sento

– col mio corpo sono vivente e succedo . urto ininterrottamente l’esistente . sento e vedo e vivo nella tensione continua di tutto ciò che ininterrottamente accade . dentro e fuori di me . 

– con il corpo cerco di sincronizzarmi al movimento continuo del tutto

tutto ciò che è certo improvvisamente non basta più . tutto ciò che conosco al contempo non lo riconosco più e non so perché . 

– il compito non è sapere . non è capire . è sentire . entrare ed essere simultaneamente nel prima e nell’ulteriore .  

solo dopo posso raccogliere qualche detrito sopravvissuto a questo processo e provare a dire . non spiegare raccontare descrivere . solo semplicemente dire

pensiero idee teorie concetti intenzioni di senso e significato non mi comandano non determinano e non attivano il mio poiêin

– da qui la mia crescente convinzione che il poiêin è un’esperienza preverbale . un evento del corpo . ci sono voluti molti anni per accettarne le evoluzioni difficilmente condivisibili e anche per imparare a proteggerlo culturalmente da complicate e ingannevoli convinzioni . sì perché ‘niente è sicuro ma scrivi’

– tutt’ora mi muovo in orizzonti sempre irrequieti e mutevoli . continuamente sul punto di rivelarsi . certo solo del fatto che ci sono . sono enormi e interrogano sempre . 

– vivo questa concentrazione superiore e inferiore sottopelle . vigila e opera imperscrutabilmente dove tutto vibra e ininterrottamente si muove si trasforma e attende

– quando scrivo sto sempre ascoltando . un ascolto simultaneo interno ed esterno che mi fa dimenticare di me o meglio del mio per entrare e momentaneamente dissolvermi in una coralità che non so mai da dove proviene e perché si manifesta . o meglio : non la decido . 

– parlo di una forma insistita di contemplazione . di un ascolto che si impara anche a praticare . che si impara soprattutto a recuperare . io semplicemente mi fido solo di questa facoltà in poesia . sia in scrittura che in lettura . 

– per questo considero l’atto poetico fondamentalmente plurale . proprio perché è un’esperienza preverbale e individuale del corpo che sente il tutto e che anche se dirà ‘io’ – questo io giocoforza entrerà nel tutto e nelle sue ininterrotte tensioni . 

– abbandonerà le sue fisionomie più personali e intime fondendo il suo tempo con il tempo di tutto e di tutti tentando di raggiungere quel punto esatto dove evento ed essenza delle cose per un istante coincidono . 

– in questo processo è già plurale il suo sentire . è già un noi . un noi in atto . e il suo scopo sarà dire dirsi consegnarsi . e resterà noi come matrice anche e soprattutto quando inizierà a pensare e pensarsi . 

– il noi è per me prima di tutto un sentire del corpo . un suo bisogno primario . un istinto insopprimibile . non c’è io senza contemporaneamente un noi e viceversa . 

– per questo sono convinto che il noi non è un pensiero ma è prima di tutto un sentimento . quindi per sua natura incerto pauroso contraddittorio enigmatico ma appunto vitale . fondativo .

– è il sentire a generare empatia pensiero idee teorie e valori e così via . finanche a pervadere e determinare i principi e le scelte che ci potranno unire o dividere . non il contrario . per me il percorso è autentico poeticamente e umanamente solo in questa direzione .

 – il contrario in poesia (e non solo in poesia) è certo possibile e anche legittimo (per carità) e comunque diffusamente praticato . quindi so di avere un grosso problema . aggiungo che devo credere in quello che scrivo e in quello che leggo aldilà delle plausibilità e delle varie certificazioni che il pensiero può restituirmi . e qui diventa ancora tutto più complicato . 

– questa zona di fede conserva una sua invadente e incalzante autonomia di verifica perché il compito è sentire di avere detto e aver davvero consegnato tutto senza riserve imposture stratagemmi convenienze etc. e di averlo fatto al massimo delle mie capacità e responsabilità nel linguaggio anche laddove l’esito fosse oscuro contraddittorio sconveniente o pericoloso . 

– qui gli spazi di insicurezza e ambiguità proliferano . i batteri dell’auto assoluzione e del compiacimento sono sempre in agguato . i confini dell’infingimento dell’onestà e dell’ammissibilità non sono facili da governare . 

– non parlo in termini etici o morali . non mi interessano le vite esemplari le biografie straordinarie o disgraziate o eroiche o tragiche etc. non sono mai garanzia di artistico e indiscutibile valore del testo . anzi puntualmente alimentano equivoci e narcisismi alquanto rovinosi . 

– per questo amo la poesia . perché aziona assiduamente quella pratica nervosa e antipatica e a volte anche un po’ patetica della verifica delle autenticità e delle necessità (altro parametro piuttosto fastidioso) . 

poiêin agisce solo in termini di verità ma non è la verità il suo obiettivo . come se chiedesse conto solo dell’autenticità del piano sentimentale ed esperienziale dove è convocato e si dirige . deve essere autentico il sentire dentro il quale opera . 

– forse per questo il mio poiêin è insofferente al pensare . il pensare con i suoi precetti e preconcetti e gli obiettivi assennati di capire insegnare testimoniare persuadere spiegare raccontare edificare etc. non gli offre sufficienti garanzie di libera dubitante e autentica oscurità

– comunque non è così facile impedire al pensiero di poetare . il passaggio da sentimento a pensiero è fulmineo . ci si può ingannare . inoltre piace spesso al pensiero travestirsi e  ammantarsi di ‘poetico’ e prendersi la scena . qualunque essa sia . 

–  il pensiero è capace di dinamiche subdole . sa mimetizzarsi ovunque e molto bene . nel semplice come nel complesso . è astuto e quasi sempre molto convincente . non molla facilmente la presa . si impegna tantissimo e con grande successo nel forgiare canoni stili strategie che lo giustifichino lo verifichino lo accreditino presso le numerose e infaticabili  agenzie di riconoscimento e appartenenza se non addirittura consenso e profitto . tangibili o intangibili poco importa . 

– naturalmente anche io col pensiero mi vedo   ci vedo   e anche mi fingo (figuriamoci) . 

il pensiero è il legittimo territorio del . nel quale anche io ovviamente convengo e consegno il me e il noi . finalmente posso anch’io decidere organizzare predisporre e prevedere risposte e implicazioni . posso immaginare . progettare strategie . proteggerle e correggerle . tutte fasi assolutamente indispensabili alla scrittura della poesia . ma sono e devono restare successive .

– non mi fido della poesia che pensa prima . mi intrappola . mi imbuca e mi blocca . mi impedisce di sentire e quindi di scrivere . mi orienta nel consueto . mi rassicura nel conosciuto e nel consolidato . 

– non mi fido della poesia che organizza e indirizza le sue intenzioni e i suoi esiti o adornandosi di glossari multiformi e inusitati o praticando avvedutissimi ma puntualmente morali e mortali abbassamenti mimetici . bramando non di rado di riformulare codici linguistici del presente per influenzarne finalmente valori processi e storia . figuriamoci poi quando pretende di configurare addirittura impianti e registri stilistici teorici ideologici e sentimentali del noi sprofondando sistematicamente nella più totale sterile e titanica autoreferenzialità . 

– io credo che la poesia sia più importante di me . di noi . più importante quindi del nostro e di tutte le sue letterature . perché la poesia è linguaggio . il linguaggio è il bene umano universale più prezioso . 

– ci precede ci abita ci oltrepassa . sfuggirà a ogni narcisismo etico o titanico che sia e a ogni forma di egemonia e controllo del . il linguaggio è intrinsecamente e definitivamente sempre e solo plurale . qualunque saranno le forme le epoche le forze che attraverserà sarà sempre davvero libero . sarà forse l’unico ente umano che ci sopravvivrà . 

– tornando al nucleo della domanda…

Wittgenstein che si sorprende nel cogliere il lavoro del pensiero per arrivare alla luce è molto ben detto in poetese

– dire come lui scrive: che la filosofia andrebbe scritta soltanto come composizione poetica perché il lavoro filosofico è propriamente… un lavoro su sé stessi. Sul proprio modo di vedere. Su come si vedono le cose. (E su cosa si pretende da esse) è un’affermazione che mi crea sconforto . mi irrita . non so spiegarlo ma è così . 

– ci ragiono però perché anche io vorrei capire sempre meglio perché e come/cosa sento e vedo . ma non posso neanche immaginare di concepire un qualunque poiêin sistemico come strategia analitica o stratagemma espressivo . è affascinante la proposta . sicuramente un buon stile produrrebbe manufatti di indubbio spessore artistico . ma qualcosa in me diffida . e poi…

– la poesia non è lavoro su sé stessi . prima di tutto è corpo a corpo con il linguaggio e le sue dinamiche provvisorie mutevoli spesso misteriose a volte anche imponderabili . 

– il corpo a corpo con il linguaggio credo riguardi anche la pratica filosofica (pare che anche da quelle parti ci sia qualche problema in tal senso) . e se questa è l’urgenza manifestata da Wittgenstein allora accolgo anche se con riserva l’affermazione . se ne avessi l’occasione comunque lo inviterei a non pensarci . di lasciar perdere la poesia o semmai di fare tabula rasa e di cominciare a richiamare il suo primo ascolto . il suo primo sguardo . lo inviterei a non chiedere niente . a non decidere niente . 

– ma io non sono un filosofo . forse non sono neanche un poeta . posso solo dire con una certa sicurezza che talvolta sono stato strumento di un imprevisto quanto intransigente poiêin . e spero di non confondermi in futuro . per quel che mi resta da vivere e forse da scrivere . 

 

S.P. — Come si tratteggia, nella tua poetica, il limite poroso tra esperienza privata e universalità del linguaggio? Se poesia è ‘messa in forma’, in che rapporto sta il gesto poetico col magmatico coagularsi dell’esperienza, personale e collettiva? Questo confine di difficile definizione influenza in qualche modo la tua concezione della scrittura?

 

S.M. 

– in poesia posso scrivere solo nel mondo e verso il mondo e solo ed esclusivamente a partire da me . pur consapevole dell’irrisorietà dei miei orizzonti e delle mie istanze personali mutevoli e confuse . 

– mi fido solo di quell’ascolto liberato dal pensiero di cui parlavo prima . mi aiuta a dubitare a relativizzare e a rivolgermi con la massima possibile onestà e responsabilità verso l’altro da me . 

io tu voi noi quando scrivo sono in azione simultaneamente . immersi in quella tensione incessante che scorre tra l’uno e il molteplice . aspetto che sia il linguaggio o i linguaggi a farmi oltrepassare la soglia del personale . scrivere è un lavoro lento lungo che esige rigore e non tollero l’impostura del pensiero poetante che comunque assedia anche me .

– esagero certo ma non ne posso fare a meno . non me ne frega niente di miei presunti destini letterari o poetici . e per fortuna non credo che i destini della poesia dipendano dal mio esiguissimo e probabilmente trascurabile contributo . mi preme la vita e il destino degli esseri umani . il mio poiêin agisce solo mosso da questo sentire . 

– il mio dialogo col mondo è una specie di interminabile resa dei conti . un continuo scagliarsi l’uno contro l’altro . uno dentro l’altro . 

– quando scrivo so di abitare momentaneamente l’organismo vivente del linguaggio cercando di introdurvi ipotesi di forme ulteriori consapevole dell’estrema fragilità del mio contributo . spero solo che quanto tento di scrivere in poesia possa raggiungere quel valore artistico degno di essere raccolto e agito da un altro da me per nutrire e proseguire il suo dialogo con il mondo (con o senza poiêin) meglio di come sia mai riuscito a farlo io . 

 

S.P. — «La realtà non è tenace, non è forte, ha bisogno della nostra protezione», denuncia Hannah Arendt ne Le origini del totalitarismo. Personalmente ritengo che, se esiste possibilità di protezione, questa si realizzi soltanto affinando uno sguardo attento, capace di non dissimulare, che attraversa e fa suo il coraggio della testimonianza. Come ti poni nei confronti del rapporto tra poesia e realtà? Esiste, dal tuo punto di vista, una qualche forma di potere del linguaggio poetico sulla realtà?

 

S.M. 

– d’istinto in me la parola realtà assume una connotazione tanto evidente e inevitabilmente tangibile quanto teorica e astratta perché innesca all’istante quell’altra parola/spia pericolosa dubitante e iperattiva che è la parola reale . perché reale mi torna spesso come l’unica parola che mi consente di riallineare e impossessarmi di quegli spazi di realtà umanamente raggiungibili tramite l’esperienza sensibile e la verifica diretta delle conseguenze . 

– e certamente mi sbaglio perché come il famoso sasso nello stagno le conseguenze di un’esperienza sensibile non sono mai del tutto verificabili seppure suscettibili di congetture e perché no spesso investite anche di aspettative . ma forse in questo errore   proprio nella sua tensione irrisolvibile   sta l’opportunità di un ‘potere’ del linguaggio poetico . 

– se per potere in questo caso non intendiamo una forza di dominio o controllo o influenza bensì una possibilità di azione altra del tutto estranea al dualismo da sempre inquietissimo tra realtà e reale   ecco qui credo che risieda e agisca una terza presenza che sovrasta scorre e trascende le nostre facoltà concettuali interpretative ed esperienziali pur intervenendo sostanzialmente in ogni nostra azione . 

– sicuramente con una quantità imbarazzante di semplificazioni e sviste credo di stare riferendomi all’immaginazione . facoltà straordinaria dell’umano che genera e innesca ininterrottamente linguaggi

– sto improvvisando e naturalmente so bene che ci vorrebbe una riflessione dedicata e sicuramente ben congegnata . però di questo sono piuttosto convinto o forse è solo un robusto e cocciuto auspicio il mio . una tenace volontà di restituire all’umano una fiducia che sembra meritare sempre meno se si guarda all’attuale . 

– la pratica della poesia con tutte le sue attrezzature può certo attraversare magnificamente gli spazi liberi e liberabili dell’immaginazione ed essendo lavoro con il linguaggio può agire sulla e nella realtà con grande influenza . la sua azione potrà sembrare lentissima e inadeguata ma procede e lo fa in modo irreversibile . 

– scopo della poesia non è proteggere la realtà ma agitarla . rimetterla in movimento . alimentarne le zone di dubbio con lo scopo di amplificarne le innumerevoli possibilità di arricchimento dei linguaggi e quindi delle esistenze umane . 

– la poesia non può proteggere e non può proteggersi . deve anticipare i diluvi e interrogare continuamente noi le cose e i destini . deve sorvegliare i nostri orrori e allevare i nostri desideri e le nostre speranze . non ci deve salvare raccontare accudire rassicurare assolvere . ci deve confondere impaurire muovere e commuovere . ci deve sconvolgere . 

– di sicuro immaginazione è uno dei suoi motori centrali . autenticità è il suo orizzonte sentimentale ed esperienziale . la combinazione tra immaginazione e autenticità può dare vita a congegni poetici di valore inestimabile e di grande potere e influenza sulla realtà . abbiamo numerose dimostrazioni in tal senso se ripercorriamo la storia della nostra poesia . aldilà degli alibi di epoche e contesti che comunque per la poesia quasi mai sono stati favorevoli . 

 

S.P. — Per convocare un altro interessante pensatore del secolo scorso, c’è un passaggio di Essere e tempo in cui Heidegger utilizza il termine cura per descrivere il modo in cui l’essere umano si relaziona al mondo, agli altri esseri e a sé stesso. L’aver cura è il modo in cui l’uomo, in una modalità di esser-ci che Heidegger definisce ‘autentica’, si fa carico del proprio essere e del suo rapporto col mondo. Esiste, secondo te, una relazione tra poesia e cura? Eventualmente, quale accezione restituisci a questo termine nel suo rapporto col fare poetico?

 

S.M. 

– credo fermamente che la cura sia un atto di fede tra essere umani . il luogo dove avviene il più profondo e forse decisivo riconoscimento dell’altro da sé e quindi necessariamente di sé stessi . 

– per come lo intendo l’atto di cura rassomiglia per molti versi all’atto poetico . innato istintivo immediato . è una zona di contatto autentico che coinvolge immediatamente e simultaneamente azione e sentire . ed è autentico perché costruisce e sviluppa una relazione diretta e concreta tra persone . aldilà di ruoli e contesti . 

– l’aver cura interviene anche nelle nostre percezioni del tempo e delle realtà . ci conduce davanti a prove a volte molto complesse e difficili da sostenere con i soli strumenti della ragione con tutte le sue capacità di misura e verifica . ci consegna domande di senso improvvisamente oscure e apparentemente inaffrontabili . 

– aver cura porta quasi sempre gli individui a tentare di dare la risposta superiore possibile aldilà delle circostanze e delle condizioni . può aprire per tutti i coinvolti spazi davvero determinanti di conoscenza di sé e del mondo . 

– credo che anche qui il linguaggio che è il nostro strumento di esistenza e di resistenza più potente potrebbe aiutarci con le sue zone di silenzio di ascolto e con i suoi strumenti di paziente e progressiva decodifica del sentire . se si è abbastanza vasti da non acconsentire solo a pratiche consolatorie o illusoriamente distraenti . 

– ma siamo fragili . di questo soprattutto bisogna avere consapevolezza e cura . 

è la fragilità a unirci come specie . 

 

S.P. — Tornando a parlare di ‘messa in forma’, come concepisci il rapporto tra poesia e altre arti? Questo tema ha toccato la tua ricerca? Pensi possa esistere un linguaggio inclusivo che non imponga confini all’espressione ma, al contrario, lavori sulla ridefinizione stessa del limite?

 

S.M. 

– non lo concepisco come rapporto . non ci riesco . non ci sono mai riuscito . per me accade tutto insieme e poeticamente

– tutto nasce da un indizio ritmico . da un impulso . solo dopo svelerà zone forme e opportunità di linguaggio che ha dovuto attraversare . 

– da anni come sai lavoro con le immagini in movimento . nello sguardo ancora più liberamente si muove quella contemplazione insistita di cui sopra . che si estrania entra in un silenzio secondo e comincia a muoversi dietro la parte visibile delle cose suggerendo altre possibili momentanee densità .

– io semplicemente con le mani manipolo contorni colori forme  e aspetto che per un istante coincidano e si sincronizzino con qualcosa che i miei occhi stanno aspettando o osservando altrove .

– spesso ho detto che quando scrivo sto ascoltando e quando ‘guardo’ sto ricordando . 

è molto probabile che sia ancora così ma non ne sono più sicuro . da qualche tempo ho cominciato seriamente a lavorare con il suono . tempi ritmi sequenze e cicli . 

– da tempo nei nostri video di zona|disforme produciamo in totale autogestione suoni ambientali e partiture melodiche e ritmiche . è una chiamata molto insistente che mi sta coinvolgendo sempre di più . ma non farò il musicista . 

– così come non voglio fare il videografo e neanche il poeta . delimitazioni confini categorie non le tollero più . semplicemente me ne sbatto .

– il linguaggio è naturalmente inclusivo . essere inclusivo è la sua attitudine più alta . le questioni di genere artistiche umane sociali politiche certo non le trascuro perché sono consapevole delle tante problematiche scabrose e complesse ancora aperte . ma davvero non le tollero più . 

– pertanto posso scrivere fare immagini e suonare ed essere felice   senza sapere cosa sono io o quanto consenso posso ottenere  o quanto valgo come artista . conta solo l’opera e il suo tentativo di fare mondo . se avrà un qualche valore artistico riconosciuto e condivisibile prima o poi troverà il suo posto momentaneo (spero) nel mondo . 

 

S.P. — Per concludere, vorrei proporti un’altra stimolante provocazione che Wittgenstein lascia alle pagine dei suoi Pensieri diversi: «io non devo essere nient’altro che lo specchio nel quale il mio lettore veda il proprio pensiero con tutte le sue deformità e riesca poi, grazie a tale aiuto, a metterlo a posto». A quale ipotetico rapporto col lettore senti di acconsentire attraverso la tua poetica?

 

S.M. 

– dirò un’eresia probabilmente ma questa immagine suggerita da Wittgenstein ha un colore kafkiano . e credo che nella migliore delle ipotesi il lettore medio e non medium non riesca davvero mai a vedere in quello specchio alcuna deformità del proprio pensiero bensì immediatamente il suo pensiero già messo a posto . esautorato da ogni possibile ulteriore malformazione . soddisfatto e grato . 

– la provocazione è stimolante . direi però che qui Wittgenstein identifichi non so quanto fortuitamente una metodologia che mi pare da tempo ampiamente praticata in molta narrativa moderna e contemporanea . non mancano infatti una cornice di complicità e una garanzia implicita di un lieto fine .

– naturalmente sto provocando . e comunque io non ho mai cercato un rapporto con un lettore o con un pubblico . semmai ho cercato sempre un noi . qualcuno a cui comunicarmi . un popolo a volte . un sentimento di popolo . al netto degli innumerevoli ammennicoli ideologici con cui questa parola popolo è stata stordita trafitta e abusata . 

– per quanto possa risultare fastidiosa e complicata oggi questa parola popolo mantiene una risonanza forte nel mio sentire . è la parola più intensa che possiedo per dire e dirmi la specie umana di cui faccio parte . 

– è la parola che più di tutte paradossalmente mi esorta a combattere i concetti di razza confine genere potere etc . che sono aberrazioni . sono il nostro orrore umano quotidiano . che con tutti i miei minimi fragili e trascurabili tentativi di linguaggio e di comportamento non smetto di sorvegliare e contrastare . sperando di restarne degno .

 

 

*        *        *

 

 

Nota. Il titolo della rubrica è la rivisitazione di un verso tratto alla poesia La partenza, di Franco Fortini.

 

 

*        *        *

 

TESTI INEDITI 2022/2025, dalla sezione “diario nostro (II)”

 

 

città   

 

città che noi non siamo più   
ma i figli a piedi nudi   felici  
nessuno li ha ancora traditi  
i vetri armati   i nomi ancora
indulgenti

 

 

 

*

 

 

ora l’alba è una fessura sui tetti   
entrano numeri   mercati   cantieri  
un freddo come sommerso  
strade mutilate  urgenti  
molte voci di commiato  
imminenti 

 

 

 

*

 

 

ogni giorno   come ci apriamo i polsi   
in segno di gioco   dedizione   disciplina  
la pelle paziente   la pace avversaria   
la piccola gloria dei fiori barriera

 

 

*

 

 

cinque volte e ancora
scendiamo   sull’orlo del mondo  
anni   collo  labbra   uniti  
come una percussione   come
una concentrazione sulla tua schiena  
dove la mia tempia destra   riesce
a ricordare ogni cosa   ricongiunta   
estirpata   promessa

 

 

 

*

 

 

guardiamo allora il sortilegio dei santi  
i giganti ossequiosi   che ci sorridono
dagli schermi   i piedi bambini   la fame
dei cani   le linee di sangue e di pianto  
ogni mattina tra le mani che ti amano  
e nel dolore e nel viso continuano  

 

 

 

*

 

 

si spezza la ruota orizzontale
i ragazzi si bendano per l’inverno
noi iniziamo a conservare la ruggine
a lavare piano i corpi   ad aspettare
la calma e l’odore   dopo il male

 

 

*        *        *

 

 

Stefano Massari, poeta e videomaker, è nato a Roma nel 1969, vive e lavora per ora a Bologna. Ha pubblicato in poesia: diario del pane (Raffaelli, Rimini 2003);  libro dei vivi (Book editore, 2006); serie del ritorno (La vita felice, 2009); macchine del diluvio (MC Edizioni, 2022 ); Parlo ultimo (Industria&Letteratura, 2024) che raccoglie un’ampia selezione dei suoi primi tre libri.  Tra il 2000 e il 2010 ha ideato e fondato i progetti culturali: FuoriCasa.Poesia, SECOLOZERO, LAND e CARTA|BIANCA, curando blog, video, documentari, riviste e webzine, collane di poesia, rassegne letterarie e mostre di arti visive. Ha curato per oltre quindici anni i progetti video del Teatro delle Ariette (www.teatrodelleariette.it). Ha realizzato numerosi documentari e progetti video tra teatro, poesia, arti visive, comunicazione istituzionale e promozione sociale. Dal 2022 cura con Carlotta Cicci il format videopoesia e videoarte  zona|disforme www.youtube.com/@zonadisforme

www.disforme.net/info

 

 

Silvia Patrizio nasce a Pavia nel 1981. Dopo il liceo classico si laurea in filosofia, specializzandosi successivamente in filosofie del subcontinente indiano e lingua sanscrita. ‘Smentire il bianco’ (Arcipelagoitaca, 2023), la sua prima raccolta poetica, con prefazione di Andrea De Alberti e postfazione di Davide Ferrari, vince la III edizione del premio nazionale Versante ripido (2024) e il primo premio assoluto alla XVI edizione del premio nazionale Sygla – Chiaramonte Gulfi (2024), classificandosi anche al primo posto nella sezione poesia edita del medesimo premio. Suoi testi compaiono su diversi lit-blog e riviste, sia cartacee che online, tra cui L’anello critico 2023 (Capire Edizioni, 2024); Metaphorica – Semestrale di poesia (Edizioni Efesto, 2024); GradivaInternational Journal of Italian Poetry (Olschki Edizioni, 2023); Officina Poesia Nuovi Argomenti (2023); Inverso – Giornale di poesia (2023); Universo PoesiaStrisciarossa (2023). Fa parte della redazione di Atelier Online. Tutte le sue passioni stanno nei dintorni della poesia.

 

 

 

*        *        *

 

 

© Fotografia di Carlotta Cicci.