Paolo Maccari (Colle Val d’Elsa, 1975) vive a Firenze. Tra i suoi libri di poesia: Ospiti (Manni, 2000), Fuoco amico(Passigli, 2009), Fermate (Elliot, 2017), Quaderno delle presenze (Le Lettere, 2022). Suoi testi sono presenti in diverse antologie italiane e straniere. Sul versante critico, ha introdotto e curato opere di scrittori otto-novecenteschi ed è autore di una monografia su Bartolo Cattafi, Spalle al muro (SEF, 2003) e di un volume su Dino Campana, Il poeta sotto esame (Passigli, 2012). Dirige con Valerio Nardoni le collane di poesia della casa editrice Valigie rosse.
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Due che non sanno
Apprendere cosa sia andato storto,
non sarà facile, piccola mia.
Ci sono cattedre che insegnano
Com’è che vanno storte
Le migliori inclinazioni
Anche se sono inclinate bene.
Ci interessano? Ci interessa
Piuttosto il modo in cui imprecavo e chiudevo
La bocca, ci scrutavamo,
il modo come diventavi triste ghiaccio
Per gocciolarmi dentro.
Ma non bisogna credere ai ricordi.
No, non è stato un amore sbagliato.
Non abbiamo voluto ascoltare altra musica,
Abbiamo inventato canzoni.
Siamo stati due ingenui.
Ma non credere ai ricordi,
Non credere ai ricordi che ci incolpano.
Sembrano condanne e sono alibi,
Passatempi, passepartout.
Credi al nostro rifugio. Scaviamo insieme
Cadiamo insieme dentro
La crepa morbida. È casa nostra.
Un emozionante scherzo di cattivo gusto
che continueremo a giocare
finché continueremo a caderci, a cadere.
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Terapia di coppia
Ogni tanto mi domando
se non sarebbe meglio un modo
un po’ più nuovo e colorato di ferirsi.
Nel pomeriggio, per esempio,
tirare giù in salotto la serranda
e darsi forti pizzicotti sulle cosce,
nella penombra, zitti zitti.
O farsi gli assalti al gabinetto,
salire in collo strepitando
a chi siede sulla tazza,
impiastricciare di mascara e di rossetto
la nuca a chi sta chino al rubinetto
per sciacquarsi la bocca.
Appostarsi dietro al divano
e d’improvviso invece di coprire con la mano
gli occhi di chi guarda la tv
ficcarci gli indici e pigiarli
nemmeno tanto piano
mentre si urla ‘uno a zero, uno a zero!’.
Insomma, qualcosa di poco divertente
e un po’ triviale, un po’ violento,
giusto per dare qualche vertigine
alla nostra abitudine
a procurarci ecchimosi
di inazione e silenzio.
Ma tu, così senza pensarci, che ne pensi?
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Giudizio felino
La gatta Vanda sputò la lucertola
sopra lo zerbino.
Era ancora viva. Almeno la coda.
Me la stava offrendo in dono.
Io non sapevo che fare
e per sviarla riempii
la ciotola di croccantini.
Vanda se ne offese.
Riprese la lucertola
e scomparve in giardino.
Ecco, pensai
pensando al suo sguardo
appuntito come un ago,
di certo anche lei pensa
che non so proprio mai
concedermi la licenza
di un po’ di sano svago.
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In cloud
Crescono su se stesse, scalano volute
appena partorite,
erigono ondeggianti bastioni:
sono nuvole maestose e irresolute.
Hanno colori. Il grigio serve
A sbalzare i tanti bianchi, il grigio scuro
a cerchiare gli anfratti. S’intromette
anche l’azzurro, che se slontana è indaco,
deciso a venare gli sbuffi
come una quieta ruga di vecchio.
Poi il resto. Il cielo.
Emana un sermone teso come un sipario
A ribadire che il suo manto
Corre verso un orizzonte
Che è l’orizzonte d’altri orizzonti
Che accudiscono nuvole
o niente.
E dunque? Dunque niente.
Ci sono queste nuvole irresolute e maestose
e noi le guardiamo e facciamo discorsi.
Poi torniamo alla terra,
bella di mari e d’erbe e di animali,
Torniamo alla terra, la tenutaria
dei desideri vicini e dei tempestosi finali,
dove c’è chi sogna e chi si rassegna,
chi si uccide e chi si sposa.
Facciamo discorsi.
Le nuvole ignorate, maestose e irresolute, si sfanno.
La giornata torna, come si dice, radiosa.
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© Fotografia di proprietà dell’autore.