Giovanni Perri — Inediti

 

Giovanni Perri è nato a Napoli nel 1972. Ha conseguito la laurea in lettere moderne con una tesi in storia dell’arte medievale. Ha collaborato a “Bibbia d’Asfalto – Poesia urbana e autostradale”, a “Inverso – Giornale di poesia” e a “Menabò – quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria”. Fa parte del comitato di redazione del “Dizionario critico della poesia italiana 1945/2020”, curato da Mario Fresa. Nel 2017 ha pubblicato e mi domando la specie dei sogni, sua prima raccolta di poesie, per le edizioni Terra d’ulivi. Cifrario dell’invisibile, del 2019 è, sempre per Terra d’ulivi edizioni, la sua seconda raccolta di poesie. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti ed è presente in diverse riviste e antologie. Alcuni suoi testi sono stati tradotti in spagnolo.

 

 

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Andiamo per similitudini, e sembra quasi di sentirci
in questa cosa che appena ci somiglia se ne va.
Pellicola del sogno, mia pellicana dolcezza
lasciati incorniciare da uno sguardo
di pietra viva, fatti gettare da Pirra e Deucalione
nel mio cuore di latte e cemento e aspettami,
io sono il tuo medesimo furto di occhi e di lingua
nell’ora che agguanta e moltiplica ogni anelito andare,
lasciati nominare miscuglio di ferro e mistero
nel mio ottobre di addii smisurati
e piegami e svolgimi e ripetimi
del padre e della madre l’identica luce
che accende parola e rivela.

 

 

 

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Paestum

 

Nota l’incanto della pietra verbale
sigilla il suono dell’ultima caduta
quello il corpo dei resti ammirati
la sola estetica morte che illumina i crolli.
Vedi: stasera c’è un concerto di api ferite
io volevo dirti che è questa
l’erba che cresce nei poemi
la sola lingua che dovrai imparare
come una preghiera.

 

 

 

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Quando io e te ci guardiamo veramente
diamo inizio alla pioggia,
gli uccelli rientrano nelle loro ombre
ogni albero è uno scavo di suoni.
Ci raccogliamo nelle polveri di antiche carovane
cominciamo a vedere veramente
i resti di qualcosa
la cenere d’oro dei pianti
l’attrito di erbe mediche
il primo fiuto degli ippocampi
che girano nel sonno
così che il cuore li sente germinare
come da un tuono distante un passo.

 

 

 

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A te piacciono parole come deriva e strapiombo
e quando dormi hai brevi voragini d’oro sotto lo zigomo
in cui sbalzi ridendo, come se un guizzo
d’amore nel sottofondo
o una matita disegnandoti t’avesse punto
per farti cadere nell’alba che arriva da dove.
Io non lo so come tu faccia così bene a respirare
nel fondo di una mareggiata, nella luce che avviene
così piena di tempo, nel buio ancora tutto
appiccicoso di memoria -se un ricordo è ciò che chiami vita;
così ti vedo salire da altrimondi
e so che hai terre a sufficienza
per costruirci gli inverni che verranno
e colline da cui guardare la sera
nella sua infinitudine.
Sei tutta scritta nell’aria
mattone su mattone
fino all’ultimo piano della voce
che è già un incrocio di mare e di cielo.

 

 

 

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© Fotografia di proprietà dell’autore.