Foto di James Joyce
© Lipnitzki / Roger Viollet via Gettyimages

Da Orazio a Verlaine: Joyce come poeta/traduttore

A cura di Andrea Carloni

La fama di Joyce non si può dire provenga direttamente dalla sua produzione in versi: pubblicò in vita soltanto due raccolte di poesie, “Chamber Music” e “Pomes Penyeach”, mentre postumo è il poemetto in prosa “Giacomo Joyce”. Ma l’importanza del suo lavoro poetico sulla problematicità e la musicalità della parola è elemento imprescindibile in tutti i suoi testi e quindi anche nei racconti e i romanzi che lo hanno reso celebre.

Si prenda ad esempio questa poesia di Paul Verlaine, autore da Joyce ammirato soprattutto per l’eleganza ritmica e formale dei suoi versi.  Si tratta di “Chanson d’Automne” tratta da “Poèmes Saturniens” del 1866; in questo tentativo di ‘traduzione in successione’, vi propongo la mia traduzione della traduzione di James Joyce della poesia di Paul Verlaine:

 

CHANSON D’AUTOMNE

 

Les sanglots longs
Des violons
          De l’automne
Blessent mon cœur
D’une langueur
          Monotone.

Tout suffocant
Et blême, quand
          Sonne l’heure,
Je me souviens
Des jours anciens
          Et je pleure;

Et je m’en vais
Au vent mauvais
          Qui m’emporte
Deçà, delà,
Pareil à la
          Feuille morte.

 

(Paul Verlaine – da:“Poèmes saturniens”, 1866)

 

*

 

AUTUMN SONG

 

A voice that sings
Like viol strings
          Through the wane
Of the pale year
Lulleth me here
          With its strain.

My soul is faint
At the bell’s plaint
          Ringing deep,
I think upon
A day bygone
          And I weep;

Away away
I must obey
          This drear wind
Like a dead leaf,
In aimless grief
          Drifting blind.

 

(James Joyce traduce Verlaine, 1900 – da: “James Joyce” H. Gorman, 1939)

 

*

 

CANZONE D’AUTUNNO

 

La voce che intona
Una corda di viola
          Sulla conclusione
Dell’anno sbiadito
Mi lascia sopito
          La sua ostinazione.

La mia anima è scesa
Rintocca sospesa
          Profondo è il suo canto,
Trovandomi assorto
Nel giorno già morto
          Ricado nel pianto;

Partire partire
Dover obbedire
          Al vento distrutto
Come foglia morta,
La pena mi porta
          Al buio di tutto.

 

(Andrea Carloni traduce Joyce che traduce Verlaine, 2023)

 

Questi versi di Verlaine furono per Joyce fonte di ispirazione in particolar mondo per la sua poesia XXXV di “Chamber Music”.  Lo si può notare dal ritmo ripetitivo e il tono sconsolato, dalla descrizione degli elementi naturali e l’utilizzo di vocaboli e dalle espressioni presi che sembrano direttamente presi in prestito dal testo di Verlaine: “Deçà, delà / To and fro”, “Monotone / Monotone”, “Et je m’en vais / Where I go”:

 

XXXV

 

All day I hear the noise of waters
          Making moan,
Sad as the sea-bird is, when going
          Forth alone,
He hears the winds cry to the water’s
          Monotone.

The grey winds, the cold winds are blowing
          Where I go.
I hear the noise of many waters
          Far below.
All day, all night, I hear them flowing
          To and fro.

 

(James Joyce – da: “Chamber Music”, 1907)

 

*

 

XXXV

 

Tutto il giorno odo il suono delle acque
          Mugolare,
Triste come l’uccellino va sul mare
          A volare,
Sente il vento alle monotone acque
          Ululare.

Verso grigi venti gelidi a soffiare
          Io sto andando.
Sento il suono delle numerose acque
          Dal profondo.
Tutto il giorno, tutta notte, dilagare
          Rifluendo.

 

(Andrea Carloni traduce Joyce – da: “Musica da Camera”, 2022 Castelvecchi ed.)

 

In questa stessa poesia di Joyce si può apprezzare l’impronta di un altro autore da lui studiato. Si tratta di Orazio, del quale a sedici anni tradusse una delle sue Odi:

 

O fons Bandusiae splendidior vitro
dulci digne mero non sine floribus
cras donaberis haedo
cui frons turgida cornibus
primis et venerem et proelia destinat.
Frustra: nam gelidos inficiet tibi
rubro sanguine rivos
lascivi suboles gregis.

Te flagrantis atrox hora Caniculae
nescit tangere, tu frigus amabile
fessis vomere tauris
praebes et pecori vago.
Fies nobilium tu quoque fontium,
me dicente cavis impositam ilicem
saxis, unde loquaces
lymphae desiliunt tuae

 

(Orazio – da: “Odi III 13”, 731-741 a.c.)

 

*

 

Brighter than glass Bandusian spring
For mellow wine and flowers meet,
The morrow thee a kid shall bring
Boding of rivalry and sweet
Love in his swelling forms. In vain
He, wanton offspring, deep shall stain
They clear cold streams with crimson rain.

The raging dog star’s season thou,
Still safe from in the heat of day,
When oxen weary of the plough
Yieldst thankful cool for herds that stray.
Be of the noble founts! I sing
The oak tree o’er thine echoing
Crags, thy waters murmuring

 

(James Joyce traduce Orazio, 1898 – da “James Joyce” R. Ellman, 1959)

 

*

 

Fonte di Bandusia che più del vetro la luce emani
Dove dolce il vino incontra il suo fiore,
A te un  capretto offrirò domani
Presagio di rivalità e dolce amore
Nelle sue volute rigonfie. Vanamente
Lui, progenie lasciva, macchia profondamente
I chiari freddi rivi di cremisi pioggia cadente.

Nella stagione delle canicole furenti,
Tu, ancora al riparo dal calore del giorno,
Quando stanchi di arare sono gli armenti,
Cedi l’amabile fresco alle mandrie d’intorno.
Sii tu fra le nobili fonti! Che io canti
La quercia sopra i tuoi echeggianti
Dirupi, le tue acque mormoranti

 

(Andrea Carloni traduce Joyce che traduce Orazio, 2023)

 

Dall’Ode di Orazio, Joyce riprende e amplifica il soggetto acquoreo specialmente nella sua manifestazione sonora: “loquaces lymphae desiliunt tuae”, “thy waters murmuring”, “the noise of waters”, “i hear them flowing”.

In entrambe queste poesie da lui tradotte, Joyce riadatta il testo utilizzando una struttura metrica tipica delle sue poesie di “Chamber Music” e della poesia inglese in generale: il giambo, formato da due unità il cui accento cade sulla seconda: “Away, away / I must obey” , “The raging dog star’s season thou,”.

La prima poesia di James Joyce fu “Et Tu, Healy”, scritta a soli nove anni, dedicata al patriota irlandese Parnell. Scrisse nel corso della sua vita, oltre ai titoli citati in apertura, diverse poesie di occasione, alcune in forma di limerick o di pastiche o di satira (come in “The Holy Office” o “Gas From a Burner”), fino a “Ecce Puer”, breve lirica del 1932 dedicata alla nascita del nipote Stephen. Fu profondo lettore e critico non solo della poesia di autori irlandesi e inglesi; oltre ai ‘poeti maledetti’ francesi, profonda era la sua ammirazione per Dante Alighieri e la Commedia. E se Joyce non esercitò la poesia come professione, il suo sguardo di scrittore e artista, il suo stile e la sua sperimentazione, restarono sempre però quelli di un poeta.

 

Andrea Carloni

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Andrea Carloni è nato a Roma nel 1977 e vive in Veneto. Ha pubblicato nel 2019 la raccolta di racconti premiati ‘Chi mai in qualche dove’; nel 2022 il romanzo ‘Lissy è stata qui’ e la traduzione della silloge poetica ‘Musica da camera’ di James Joyce con postfazione di Enrico Terrinoni per Castelvecchi Editore. Conduce il canale/podcast ‘Ritratto di Ulisse’ ispirato al romanzo di Joyce, con letture, ascolti e interviste ad esperti e appassionati come John McCourt, Michele Ciliberto, Gilda Policastro, Maurizio Ferraris, Claudio Strinati, Sara Sullam, Gabriele Frasca, Leonardo Colombati, Demetrio Paolin. Si occupa di poesia con il concorso “La parola vista” e il podcast “UniVersi Precari” per il blog culturale equilibriprecari.com. Instagram: @_andreacarloni_.

 

 

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