Giorgio Galli è nato a Pescara nel 1980 ed è laureato in Scienze della Comunicazione a Siena. Vive a Roma dove ha esercitato la professione di libraio. Ha pubblicato La parte muta del canto (Joker, 2016) e Le morti felici (Il Canneto, 2018). È fra gli autori del Repertorio dei matti della città di Roma a cura di Paolo Nori (Marcos y Marcos, 2015) e dell’antologia critica Perturbamento a cura di Marco Ercolani (Joker, 2016).
Mese: Gennaio 2020
Forugh Farrokhz?d, poetessa e regista, nata a Tehran nel 1935, trascorre l’infanzia nel più antico quartiere della città, in una casa dal giardino adorno di alberi d’acacia, dove inizia a comporre versi e a interessarsi d’arte a soli sedici anni. Questa l’età del precoce matrimonio con il cugino Parviz Shapour, molto più grande di lei, dal quale nasce il figlio Kamy?r, che deve presto abbandonare quando sceglie di seguire appieno la propria vocazione poetica, divorziando dal marito; per le leggi dominanti non è più ritenuta adatta al ruolo di madre e per il resto dell’esistenza le viene proibito di avvicinarglisi. Nel 1955 pubblica la sua prima silloge, “Prigioniera” (Asir), sotto l’impulso della “scuola nim?ista” (She‘r-e nou) di Nim? Yushij, capostipite della poesia nuova persiana, ispirata, nella temperie letteraria primonovecentesca, a un equilibrato criterio di distacco dagli stilemi metrici e formali vigenti sino alla dinastia Q?j?r (1790-1925), in linea con una più libera musicalità della versificazione così come con le esigenze contenutistiche del presente, al di là della codificata imagerie della lirica classica. Tale volume presenta in nuce i tratti che ne avrebbero favorito, da parte della stampa e delle frange politiche osservanti la Shari‘a, la fama di “poetessa del peccato”, penna simbolo della ribellione femminile, ancora sprovvista di una definita identità poetica ma già saldamente orientata alla difesa della parità intellettuale e politica della donna. Voce coraggiosa la sua, contro il muro dell’ipocrisia e della morale pubblica, pronta a schiudersi come farfalla, dal bozzolo soffocante di una cultura rigida e maschilista. Nel 1956, a seguito di una crisi depressiva indotta dall’allontanamento forzato dal figlio, lascia l’Iran e compie un viaggio in Italia, lungamente descritto nel diario personale. Poco dopo dà alle stampe “Il muro” (Div?r) e “Ribellione” (‘Esy?n), opere in versi dove affronta, con richiami ricorrenti ai temi della prigionia e della sovversione, il rimpianto per l’innocenza perduta, la lontananza dall’amatissimo figlio, le pene d’amore, la solitudine dell’anima, la questione femminile e la condanna del puritanesimo della società. Queste tre raccolte sono per l’autrice «gli ultimi affannosi respiri prima di arrivare a una specie di liberazione dall’individualismo e giungere alla fase dell’elaborazione mentale», sviluppo della piena maturità, acquisita nel 1964 con il capolavoro poetico “Un’altra nascita” (Tavallodi digar), che la consacra come firma di spicco della rivoluzione letteraria iraniana avversa alla censura del regime Pahlavi, tesa a un impianto di carattere filosofico e ideologico, esito della lotta politica e sociale verso la collettività di ogni genere e paese, tentativo di resistere, mentre «tutti i valori hanno perso il loro peso e stanno per crollare». Il dettato sorgivo e a tratti ingenuo della sua prima produzione si raffina pertanto in un minimalismo dai toni conversativi, tramite il superamento del predominio dei contenuti autobiografici, nell’ottica di uno sguardo universale sulle manifestazioni simboliche e mitologiche della coscienza. L’introspezione soggettiva prediletta agli esordi diviene qui metafora di una smarrita unità, di una nostalgia dell’Origine comune a tutti i popoli (Leitmotiv del Masnav? di Rumi), di un ancestrale impulso alla vita che oltrepassa la sorte individuale, «perché chiunque rimanga lungi dall’Origine sua,/ sempre ricerca il tempo in cui vi era unito» scrive il Mowl?n?, per mutarsi in quel fuoco che «chi non l’ha [...] ben merita di dissolversi nel nulla!». Canzoniere di «fata piccola e triste», il volume segna l’approdo a un vocabolario di stampo colloquiale che, accostatosi ai valori dell’impegno civile, non perde tuttavia il retaggio mistico della lirica persiana, nella sua ancipite e gnostica simbologia, intrisa al contempo di ascetismo e miscredenza, di estatica ricerca del divino e infamia (bad-n?m?), affinché l’Acqua di Vita che giunge dalla conoscenza interiore renda chiara e trasparente la percezione delle cose, affrancando l’umano dalle sovrastrutture mentali che lo incatenano (si ricordino in primis H?fez e Khayy?m). La scrittura è in tal senso uno sposalizio cosmico tra il poeta e l’universo, è la finestra di un’anima desiderosa di ricongiungersi alla Sorgente Eterna, affacciata sullo spettacolo mortifero del regno materiale, nella continua osservazione della natura e dei misteri amorosi. Geometria euritmica di priorità semantica entro cui confluiscono realismo e astrazione, questa della Farrokhz?d, per la quale «la Poesia nasce dalla vita e dalla realtà, non bisogna sfuggire o rifiutare, bisogna andare avanti e sperimentare anche gli attimi più dolorosi e grotteschi». Vivere, testimoniare il mondo, ecco il compito di chi scrive, per disvelarne l’arcana e criptica essenza, nella «solitudine aliena», in compagnia di un messaggero celeste, di «qualcuno che nel cuore è con noi, con noi nel respiro, nella voce con noi». Medesimo ascolto va riservato infine agli altrui destini, spesso tragici, come accade quando realizza un documentario sui lebbrosi di Tabriz (1962), stimolato dall’incontro d’amore avvenuto nel frattempo con il regista Ebr?him Golest?n, al quale confessa: «Se potessi essere parte di questo immenso infinito, allora potrei stare dove voglio io... Vorrei finire così o continuare così... Dalla terra nasce sempre una forza che mi attira verso di sé, andare avanti o salire non mi importa, vorrei soltanto sprofondare insieme a tutte le cose che amo. E insieme a tutte le cose che amo integrarmi e mescolarmi in una totalità immutabile». Una sorta di premonizione, poiché la morte la coglie all’improvviso il 13 febbraio 1967, tra le stradine alberate del quartiere di Shemir?n, a Tehran, in un incidente d’auto. Verrà editata postuma, nel 1970, la raccolta “Crediamo all’inizio della stagione fredda...” (Im?n bi?varim be ?gh?z-e fasl-e sard...). «Ricordati del volo/ l’uccello è mortale», sembra sussurrare la sua scarna tomba, ai piedi delle montagne innevate degli Elburz, a chi va portandole un fiore. Quel volo custodito tra le pagine infuocate e magiche dei suoi libri, che per mezzo secolo gli studenti di tutto l’Iran e non solo hanno esibito come stendardo di libertà e di uguaglianza: quel volo che nessuno mai potrà più trattenere. Del resto «come si può/ a chi se ne va/ così paziente,/ così pesante,/ così perduto,/ ordinare di fermarsi?».
Estratti da “Note sull’arte poetica” Primo quaderno, di Vittorino Curci (Spagine 2018) Questo libro, composto da Mauro Marino con la collaborazione...
Giuseppe D’Abramo (1988), laureato in Lettere Moderne, vive a Milano. Ha pubblicato poesie e racconti sulle riviste Atelier, Gradiva, Inchiostro, Sagarana, Grado Zero, A4, Il Raccoglitore e su la Repubblica di Roma e Milano per Bottega di poesia.
Albertina BollatiIllustrazioni Stefano VitalePoesie “Incerto confine” Introduzione di Vittorio Bo Edizioni “Disegnodiverso” Paola Gribaudo 2019 * Impromptus 1. Dormono bambini...
Andrea Breda Minello “Yellow” (Oèdipus edizioni, 2018)
Lettura di Clery Celeste
E cercarti in ogni onirico
dove
come il biancore della gola
e mietere seme per l’umana gloria.
Lettura di Clery Celeste
Incontro Andrea Breda Minello dopo esserci scritti per lunghi mesi, mesi in cui abbiamo parlato di poesia e di vita, dell’amore che abbiamo per la parola, che ci stringe in un confine tutti i giorni. Della parola poetica che per ognuno ha un ruolo diverso, affonda in ferite differenti, porta alla luce un bene antico. Quando incontro Andrea sento di nuovo scorrere il suono delle sue parole, quelle di Yellow, quelle con cui l’ho conosciuto.
Yellow (pubblica Oedipus edizioni, 2018) è un libro d’amore. Breda Minello è capace di scomporre in poesia l’amore, di frazionarlo in infinite forme e colori con uno sguardo di consapevolezza cruda ma allo stesso tempo di speranza antica. Una poesia la sua che è richiamo al bene, a una forma di atavica fiducia.
E cercarti in ogni onirico
dove
come il biancore della gola
e mietere seme per l’umana gloria.
Antonella Vairano “Il mondo s’è fatto male”
(CSA editrice, 2019)
(CSA editrice, 2019)
Lettura di Clery Celeste
La scrittura di Antonella Vairano è un tamburo che batte costante. Non si ferma, non cede neanche per un attimo a mancare il ritmo. Il mondo s’è fatto male è un libro in cui potete leggere le poesie una di seguito all’altra, i versi spesso raggruppati per sezioni di due paiono dare una parvenza di leggerezza alla pagina, sembra arieggiata, lo spazio vuoto tenta di farvi respirare. In realtà a un certo punto sarete costretti a fermarvi, a fare marcia indietro, a ritornare sui testi. La Vairano è calibrata: vi trascina in un mondo che si è fatto male gradino per gradino, sentite la pesantezza della scala solo a un certo punto e vi chiedete come ci siete arrivati. Eppure non vi sembrava di esser scesi tanto.
Questa di Antonella Vairano è una poesia rivolta a un voi, c’è sempre un destinatario espresso nel testo, quasi per una necessità alla vocazione intesa come chiamata, come chiamata necessaria e ultima. La disperazione c’è ma è nel tono dei testi, come se attraverso la parola poetica ci fosse la necessità di una ultima chiamata al bene, di un ultimo grido possibile. “Guardate/ o non guardate/ che nasco figli/ di un cielo bianco./ Ora andate./ Voltatevi/ o non voltatevi/ a vedermi sparire/ con il coltello nell'osso temporale.”
Emanuela Monini è nata a Perugia nel 1997. Laureanda in Lettere Moderne all’Università degli studi di Perugia, ha pubblicato un articolo nella rivista online Insula Europea: “Social Network e poesia: il fenomeno degli #Instapoets” (http://www.insulaeuropea.eu/2019/11/21/social-network-e-poesia-il-fenomeno-degli-instapoets-di-emanuela-monini/).
Giulia Mandola nasce a Lanusei (NU) nel 1990, vive a Sarno in provincia di Salerno. Dopo gli studi classici, si è laureata in Giurisprudenza presso l’Università “Federico II” di Napoli, città in cui ha vissuto e che ha segnato la sua crescita professionale e personale. E’ avvocata specializzata in legislazione penale minorile. Simultaneamente ha intrapreso laboratori di recitazione e studi sul movimento/ gesto. Dal 2015 è parte della compagnia teatrale indipendente “Teatro Grimaldello”.
Stefano Simoncelli è nato nel 1950 a Cesenatico, ma da diversi anni vive a Acquarola sulle colline di Cesena. È stato uno dei redattori di «Sul Porto», la rivista di letteratura e politica che catturò negli anni Settanta l’attenzione e la collaborazione di poeti come Pasolini, Bertolucci, Caproni, Sereni, Fortini, Raboni e Giudici. Nel 1981, con la raccolta Via dei Platani (edita da Guanda con la presentazione di Raboni e postfazione di Fortini), ha vinto il Premio Internazionale Mondello Opera Prima. Nel 1989, è uscito il libro Poesie d’avventura nella collana Gli Spilli, diretta da Enzo Siciliano e edita da Gremese. Nel 2004 ha pubblicato con Pequod la raccolta Giocavo all’ala (Premio Gozzano) e nel 2006 (sempre per Pequod) La rissa degli angeli. Nel 2012 ha pubblicato Terza copia del gelo (Premio biennale “Diego Valeri” giuria popolare) presso le edizioni Italic Pequod, e nel 2014 Hotel degli introvabili. Nel 2015 è uscito il racconto in prosa poetica Il collezionista di vetri (ed. Italic arte) con fotografie di Daniele Ferroni e la plaquet notizie interferenze sibili edita dai Quaderni di Orfeo e curata da Marco Rota. Nel 2017 è uscita, sempre presso l’Italic Pequod, la silloge Prove del diluvio con cui ha ottenuto il premio “Europa in versi“ e “Città di Fabriano“. Nel maggio 2018 ha letto sue poesie nella trasmissione radiofonica “Fahrenheit”: e nell’ottobre, presso Pequod, è uscita la silloge Residence Cielo. Nel 2019, sempre presso Pequod, la plaquette La paura dei tuoni con chine del pittore Silvano Barducci e introduzione di Mario Santagostini.