È uscito recentemente per Arcipelago Itaca Edizioni, l’ultimo lavoro di Martina Campi, () Partitura su riga bianca. Cosa aspettarsi o piuttosto cosa non aspettarsi dalla sua lettura? Un libro sull’assenza ma soprattutto sull’impossibilità dell’assenza. Le sequenze su cui procede sono “movimenti” non visti di una precisa partitura senza note. Se nel piccolo saggio introduttivo a cura della brava Sonia Caporossi ci si concentra, a ragione, sull’absentia e sull’alterità dell’identità, un’altra chiave di lettura è senz’altro da trovare in un corrispettivo musicale del 1952, ovvero il 4’33” di John Cage. Quindi ciò che contorna diventa elemento principale al di là del tangibile dettato poetico, il bianco (leitmotiv di tutta la precedente produzione della Campi) domina quale luce : riflessa, perplessa, convessa.
Una poesia quindi dal ventre aperto, paradossalmente da leggere ad occhi chiusi.
Una prova d’autore di altissimo livello che convince, offrendo spunti continui di (ri)lettura, lontana dalla quotidianità poetica.
le sei
lo so
(ormai)
muta(no)
qualcosa
alla notte
e
il mattino
solo un grido
se mai in cuffia
spacca silenzio
in pezzi
abitati
vagando abusivi
per stomaco
e rifugio
) o
un
) qualsiasi
stordimento
che sono madre
di questo malessere
(dì le) lame nell’essere
una madressere poi,
non accudire, (poi poi poi poi)
nutrire
sa ancora,
(o altrimenti dammi)
il
divorare
intonato,
il motivo
che resta
, nella testa
tutto (tutto) il giorno.
dallo stesso
pavimento
del treno
che strano modo
di contare gli anni
e insieme perdere l’arto
della meraviglia
c’è voluto
della persiana abbassata
sedici gradi e due flebo
tanti fili a in susseguirsi
l’elettricità infranta
di noi geometrie scalene
e cavi rotti
ne ho preso un ferretto
(sai)
l’ho messo
in tasca
e forse
ho pianto un po’
, sì
cold turkey has got me on the run*
*John Lennon
La siepe assetata dal giorno, trema
abitata per lo sconquasso
del sole colante, trama in dissoluzione
verso il basso, astro impostore.
Moriremo in tempo
per seppellire l’ultima luce
alle radici con noi, sotto
il sasso compare dell’ombra,
che chiama menzogna il mutamento,
e intanto ride, ospite e occhio
nel fresco delle venature
, e le promesse senza interesse.
Scivola a terra la mano
al canto della sera, sui rami imbastarditi
a bisbigliare, con le dita piegate trama
le unghie (smangiate), dal buio piegate
a raccolta, tra le ginocchia.