«The triumph of the day e the one only glory of a million» sono un elogio rivolto al poeta da Robert Herrick, che apprezzò i suoi scritti teologici e cabalistici quali il Commentarius de Bestia Apocalyptica (1621) e Spiraculum tubarum (1933), un’esegesi contemplativa del Pentateuco. Dopotutto anni prima aveva già pubblicato l’Apparatus in Revelationem Jesu Christi, in cui i suoi studi sulla cabala e l’ebraismo venivano indirizzati ad una interpretazione esoterica delle Sacre Scritture, ragion per cui l’opera fu presto iscritta all’Index librorum prohibitorum.
Poeta elisabettiano e neolatino, dilaniato da un forte dissidio religioso, William Alabaster (1567- 1640), nasce nel Suffolk, primogenito di sei figli di un’antica famiglia normanna tenacemente protestante dedita al commercio. Avviato agli studi presso il Trinity College dallo zio John Still, acquistò padronanza delle lingue classiche e fu attivo nei circoli di Cambridge tra il 1588 e il 1592, soprattutto con due imponenti opere in latino: Elisæis, un poema epico incompiuto in esametri sulla regina Elisabetta («chi tra i vivi può eguagliare quella canzone eroica?», disse a tal proposito Spencer) e poi la cupa tragedia Roxana (adattamento latino della tragedia Dalida di Luigi Groto) considerata da Samuel Johnson una delle migliori opere scritte prima delle elegie di Milton. Dotato di forte ambizione, rimase come cappellano al servizio del conte di Essex, fin quando, sul punto di realizzare una vita agiata, qualcosa di sconvolgente determinò la sua conversione al cattolicesimo. Come racconta nel quarto capitolo dell’autobiografia, cominciò a provare «un maggiore amore nei confronti della Croce di Cristo e della sua Passione, più di quanto i protestanti fossero soliti provare», e continua: «proprio in questo periodo, cominciai ad avere certe dolci visioni o apprensioni nel sonno, come se avessi visto il nostro Salvatore gettare giù frutti dal cielo, cosa che non mi era mai successa prima».
La crisi arrivò durante la Pasqua del 1597, ne fu responsabile un sacerdote cattolico, Thomas Wright, che consigliò la lettura di un’opera apologetica sul Nuovo Testamento di William Rainolds, A Refutation of Sundry Apprehensions (1583), come lo stesso Alabaster ricorda in un libro di memorie. I suoi toni ferventi non piacquero sia ai protestanti che ai cattolici e lo coinvolsero in una serie di dispute religiose e di reclusioni nella Torre di Londra e dall’Inquisizione. Dopo molte esitazioni, tornò all’anglicanesimo e nel 1618 divenne cappellano del re. Instabile nella sua professione di fede, dubbioso fino all’abiura, Alabaster è l’uomo che vacilla, pronto al martirio per ciò in cui crede, sollecito a ricredersi fino alla morte.
Oscilla tra cattolicesimo e protestantesimo con lo strazio di chi è in cerca di una verità, in cerca di Dio e di sé o di Dio dentro di sé. Come Spencer nel suo poema pastorale Colin Clout’s come home againe supplica Cinzia di sottrarre Alabaster all’oscurità, qui si prova a far risuonare alcuni suoi versi religiosi attraverso un tentativo di traduzione, che dia voce a un poeta tormentato di indubbio interesse, importante anello di congiunzione con il canto metafisico di Donne. Considerato dai contemporanei un letterato che indugia e tentenna a trovare una posizione dottrinale e spirituale più confacente al suo sentire, al centro di turbolenze religiose, doveva essere poco conosciuto come poeta in un’età florida dal punto letterario che poteva già vantare i suoi eroi.
A parte il breve interesse per Alabaster all’inizio del XIX secolo in seno alla rinascita degli studi elisabettiani, sarà Bertram Dobell nel 1903 ad annunciare, prima la scoperta di un manoscritto, e a pubblicare dopo sei dei sonetti del poeta, identificandone successivamente altri sessantotto. Nei Sonetti Personali la parola poetica inveisce di umana voce e diventa il grido ostinato e ruggente che sale, spoglio e diretto, consapevole del carico di morte nella vita e di vita bramata, osata, confessata senza veli. Nell’intimità si alza un dialogo aperto con Dio, presente e perduto, e dentro quest’incerto nugolo d’ombre che la vita dipana, il poeta è solo, indomito non teme il terrore della croce e la miseria che nitida evolve in una professione di fede filtrata dalla poesia, che come sempre arriva a consacrare con la sua veste eterna e universale.
Sarah Talita Silvestri
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46
Della sua conversione (da Personal Sonnets)
Via, terrore, i tuoi piani, né l’infido fuoco
che sollevi può far vacillare il mio coraggio,
condurmi sottovento o ammainare la mia vela.
Se il mondo si accigliasse al mio ritiro,
se il diniego si scagliasse sul mio sogno bramato
e una pietà meschina piangesse la mia condizione
e il prodigio diventasse croce e la parola inveisse
e lo splendore non l’afferrasse e fosse prossima la fine,
racconta, anima mia, le paure che mi scuotono,
lo zolfo che ribolle e il lago rovente,
la vita che nutre la morte, la morte che sempre
divora la vita, i tormenti ostinati, ancora ruggenti.
Dio perduto, inferno trovato, mai principio:
ora, dal fumo che io corra alla fiamma!
46
Of His Conversion
Away, fear, with thy projects, no false fire
Which thou dost make can ought my courage quail,
Or cause me leeward run or strike my sail.
What if the world do frown at my retire,
What if denial dash my wished desite,
And purblind pity do my state bewail,
And wonder cross itself and free speech rail,
And greatness take it not and death show nigher!
Tell them, my soul, the fears that make me quake,
The smouldering brimstone and the burning lake,
Life feeding death, death ever life devouring,
Torments not moved, unheard, yet still roaring,
God lost, hell found,- ever, never begun:
Now bid me into flame from smoke to run!
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51
Prigionia, grande libertà per i servi di Dio
Una precaria incertezza
a lungo trattenne a mezz’aria la mia mente
da quando in principio pensai di meglio mostrare
la mia coscienza, accesa della vera fede
come chi sotto la pioggia di luglio
a volte immerge i propri piedi e a volte li ritira
fin quando non sia vinto l’impatto del freddo.
Così ora il mio stare è destinato a questo cappio,
a vivere osando la libertà come in sogno
e gridare a ciò che prima ho scorso
e dar voce adesso alla mole di pensieri.
Gli uomini liberi sono ostaggi: non sapevo
quanto fosse un reclusorio siffatta libertà.
51
Captivity Great Liberty to the Servants of God
Unbalanced irresolution
Long time did hold my mind with even suspense,
When first how best to show my conscience,
Burning with flame of true religion,
As he who in the rain of July’s sun
Oft dips his foot and oft withdraws it thence,
Till that the brunt of cold be overgone.
So now my stay by this restraint is chanced,
To live as open as in dream I dare,
And hoot at that whereat before I glanced,
And speak my thoughts as big as now they are.
Free men are bound: I never knew ere this,
That so great liberty in prison is.
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52
Se devo confessare i miei peccati, allora aiutami:
nella lussuria brucio e annego nella ribellione, languo
nell’invidia e marcisco nell’accidia, risplendo
in facili fortune e m’acquieto in quelle ardue.
Schivo la miseria e sono altèro con orgoglio,
la paura mi piega e l’offesa mi abbatte,
mi aggroviglio nell’avarizia e mi snodo
con la ricchezza, compro il cielo con cupidità
ma vendo l’anima al piacere, eccedo
nell’ambizione, striscio con la vergogna,
il dissidio mi dilania, la bontà non mi soddisfa,
l’inerzia allenta la mia mente, lo studio la spezza,
la conoscenza mi ripugna e l’ignoranza mi strazia.
Se devo confessare, allora aiutami a parlare.
52
Shall I confess my sins? Then help me tell:
In lust I scorch, and drown in riot, pine
With envy, and with looseness moulder, shine
In easy fortunes, and in harder quell.
I shrink with baseness, and with pride I swell,
Fear makes me stoop, detraction repine,
With avarice I twist, and do untwine
With largess, heaven I buy with wish, but sell
My soul for pleasure, with ambition
I overreach, with shame I sneak, dissention
Doth rend asunder, kindness not content me,
Repose doth slow my mind, and study break,
Knowledge doth cloy, and ignorance torment me.
Shall I confess my sins? Then help me speak.
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Bibliografia
Alabaster, The sonnets of William Alabaster, G.M. Story and Helen Gardner, Oxford 1959.
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