Tommaso Gazzolo (Parma, 1984), vive e lavora tra Genova e la Sardegna, dove è ricercatore in Filosofia del diritto all’Università di Sassari. Tra le sue pubblicazioni scientifiche: “Montesquieu e la scrittura della legge” (2014), “Essere/Dover essere. Saggio su Kelsen” (2016) e “Il caso giuridico” (2018). Questi sono i suoi primi versi pubblicati.
Tommaso Gazzolo
Inediti
Prose Poetiche
1996.
Le cose si trasformano / non appena le tocchi. Ragazzi d’estate quando facemmo quella
passeggiata in bicicletta la bella cupa città I rejoice to see it, and think accanto alla vecchia ferrovia
tra le automobili e la via di mezzo che scivola in basso verso una palestra di boxeur e le vetrine di
un parrucchiere la stessa città / che una volta smise di esistere che vidi con te, quando giocavamo a
pallone e stavamo male, dove erano i ponti, le passeggiate tra i campi e i cani azzurri / dove sono il
cimitero di Holzminden e le macchine usate, i signori Zinke, la messa luterana.
E allora perché hai pianto per così lungo tempo, Rebecca?
Ho pianto per tutte le volte che sono caduta da cavallo / ho pianto senza piangere / sono i
miei occhi ad esser fatti di lacrime di me stessa / occhi di vecchie storie per bambini / di secolari
contese e that which is just / di pubblicazioni / di piatti rotti sul pavimento / occhi di caccia alle tigri
/ per così lungo tempo ho sognato attraverso di essi, hol dir dein photo / non saremo mai più così
giovani di quanto lo siamo adesso / io ragazza dell’estate, in noi die werden hipegern auf den Mist /
bambine Dunkirk ripetizioni di tedesco per te, scale che scendono, polvere.
E cosa hai sognato, Rebecca, per così lungo tempo?
Ho sognato di distruggere la mia generazione, di tagliarmi i capelli nel bagno di una scuola,
di non parlare mai di chi io sia / di portare fino allo steccato i miei ventidue anni / ma senza esserne
sicura / ho sognato per così lungo tempo di essere felice, di andarmene per la mia strada / ho
sognato topi, chiodi / ho sognato when i was young i knew that i would die per così lungo tempo di
non sognare / comment vivre ensemble se non essendo diversi da noi / buttandosi per la prima volta
in un cinema o dimenticare per poter scrivere, lei che diceva che non ha gli anni che ha / le parole
nere, le città che hai visto senza di me.
Per così lungo tempo io, invece, ti ho aspettato,
certo per le ragioni sbagliate, per modum / intelligo substantiae affectiones, sive id, quod in
alio est, per quod etiam concipitur, azione persa in uno stato di cose / dove hai lasciato andare i tuoi
anni, sempre più soli / sono ora semplici verità, mani fatte di linee e pugnali, ho aspettato i giorni
che fossero già passati ho aspettato nella mia testa / gli indiani/ il venire meno del respiro / poi ho
incontrato te/
Ho incontrato te per così lungo tempo che non piangevi più, Rebecca
e che passavi avanti, senza riconoscermi.
*
Niente di personale.
Chissà quando saresti arrivata, illuminata dai piccoli e ordinati lampioni in stile liberty di
questa terrazza / pensavo tra me e te dove sei? / chiedo e non chiedo a nessuno in questo odore di
tempo, di cronache della banda XXII ottobre, mentre alle cose più semplici non ci si pensa mai.
Cosa si farà domani, come sarà svegliarsi? / e scarabocchiavo linee e cerchi, gli anelli di
fumo e di zanzare i cavi d’acciaio del ponte di Brooklyn poi assente, perdo il mio tempo:
non un’azione, ma il suo mancamento e così mancato dagli altri manco ogni storia o gesto di
padre / che lasci bruciare il mio corpo e buonanotte amore, buonanotte schatz. Qui si contano i resti
della spesa e si ascolta il rumore notturno dei topi, di business e pioggia: ora che sono in pensione,
diceva Giacomo, ora che dovrei riposare, non contate su di me / e ho una fame da lupi, sapete? .
Ti ho vista ad una mostra di Picasso e mi hai chiesto quanti morti ci fossero stati / per quel
ponte crollato. / Ma noi rovineremo le rovine e ci porteremo via quello che vogliamo /dimmi come
è andata, poi, quando tutto un giorno sarà finito, quando / a notte fonda, Elisabetta avrebbe
concepito un figlio, solo un po’ di fumo negli occhi della gente, ma tu / senza di te non potrei più
muovere una mano, scrivere una relazione per un convegno, prendere il prossimo aereo / una
scomunica e la lunga solitudine di chi vive, come me, in un mondo che non è più – e che non è mai
stato – , tanto che non saprei neppure dirti / dove in questo momento io sia, dove mi trovi forse con
l’ultimo pellerossa him make Indians learn read e se questa casa di campagna, i suoi abitanti, le
scale che continuo a scendere e risalire, si siano poi davvero accorti di me/ del mio silenzio.
Fotografie della vecchia Sondrio bottiglie d’acqua per la notte e fumetti di bambini ora
vecchi, tra i dischi e i fucili ancora il vecchio telefono, sulla sua mensola in betulla: speriamo non
squilli mai più / mi dico rasandomi bearing a bowl of latherallo specchio, speriamo che domani sia
bel tempo, che sia felice, per un poco, anche io.
Fotografia di proprietà dell’autore.