Uno sguardo che non illumina. Su Il tuo sguardo illumina il mondo di Susanna Tamaro.
Il libro avrebbe potuto essere molto interessante: questo promettevano il titolo – Il tuo sguardo illumina il mondo – e la quarta di copertina. Parlare dell’amicizia con un giovane poeta (Pierluigi Cappello) che ha avuto una vicenda esistenziale complessa e che, venuto da studi non letterari, da tempo si era fatto apprezzare per la sua poesia. Del resto, quel “tuo” del titolo avrebbe fatto propendere per uno sbilanciamento dalla parte del poeta. Tuttavia dopo le prime trenta pagine, che promettono bene anche per lo stile fluido e limpido dell’autrice, le speranze del lettore gradualmente iniziano a sgonfiarsi: del poeta, Pierluigi Cappello, si parla sempre meno, e quasi mai in modo incisivo, mentre prende piede la vicenda dell’autrice, apparentemente tragica anch’essa (per una condizione neurologica particolare, la sindrome di Asperger; per la triste vicenda familiare fatta di trascuratezza e separazioni) ma raccontata senza mai entrare veramente nei particolari, certamente più emotivamente consistenti, che avrebbero spiegato al lettore il perché di certe definizioni di sé e della propria vicenda, assolutamente negative o pessimistiche, che abbondano nel libro (solo per dirne una, la definizione di “psicopatici” rivolta al proprio padre prima e al proprio patrigno dopo). Diversi sono i momenti di fiacca della narrazione, specie a partire dalla parte centrale del libro, col lettore che si chiede se mai arriverà al nocciolo della vicenda, quando potrà addentare la polpa della materia letteraria. Il lettore però si accorgerà che si tratta di una speranza vana, perché l’autrice, partendo dal rapporto d’amicizia con Pierluigi Cappello, preferisce soprattutto parlare di sé, col poeta Friulano che rimane piuttosto sullo sfondo. Il fatto è che anche la vicenda esistenziale dell’autrice avrebbe potuto essere interessante per il lettore, se solo avesse avuto più coraggio nell’addentrarsi nelle vicende più spinose della propria vita (se si inizia a farlo, se si scrive per questo un libro in fondo autobiografico, bisogna poi farlo veramente). Queste invece vengono spesso descritte in termini vaghi o troppo frettolosi, quasi fossero materia ancora troppo incandescente per essere approfondita o detta più chiaramente (ad esempio quando l’autrice accenna al tema della propria identità sessuale). Il tutto viene appesantito, specie nella parte finale del libro quando ci si avvicina al tragico epilogo esistenziale dell’amico poeta, da un tripudio di divagazioni di stampo religioso sull’esistenza e l’azione degli angeli nella nostra vita o sul destino dell’uomo, che risultano, ad un lettore mediamente razionale, un po’ ingenue e a volte francamente infantili (è vero che Gesù nel Vangelo dice che se non si è come bambini non si entrerà nel Regno dei cieli, ma il discorso, anche per il credente, credo debba essere inteso in senso metaforico e non letterale…). Infine è possibile notare una certa mancanza di coesione, dovuta forse ad un salto logico-temporale non giustificato, quando nella parte finale del libro la Tamaro passa dalla descrizione della propria difficile condizione di adolescente in famiglia e a scuola, alla vittoria di un’importante borsa di studio presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, che darà in qualche modo il via al suo percorso artistico di scrittrice. Un esito importante, ma non coerente o non spiegabile sulla base delle grandi difficoltà personali descritte fino a qualche pagina prima.Concludendo, si può dire che il libro, che partiva certamente da un’idea molto interessante e che avrebbe potuto essere un’occasione sia di far cadere un raggio di luce sull’esistenza complessa e sofferta di un giovane poeta (dando di rimando un po’ di spazio e di importanza in più alla poesia), sia di parlare della vicenda, potenzialmente non meno interessante, di sofferenza e di solitudine dell’autrice, rimane invece un progetto sostanzialmente non riuscito perché questa luce non cade e non sonda né l’una né l’altra vicenda, lasciandoci di Pierluigi Cappello un ritratto piuttosto scarno e scialbo e un bel po’ di confusione e domande irrisolte sulla vita dell’autrice, che avrebbero potuto essere affrontate meglio, con più coraggio, andando più in profondità.Un’occasione perduta, a mio avviso, anche per il lettore più attento al percorso artistico di Susanna Tamaro, che non ritroverà in questo libro la forza e la verità di sentimenti (a parte la limpidezza della scrittura di cui si diceva) che avevano certamente caratterizzato alcuni dei primi libri dell’autrice.
Marco Nicastro