Stefano Taccone, Sogniloqui – Nota di lettura di Stefano Vitale
Stefano Taccone
SOGNILOQUI ovvero il racconto come folgorazione critica
Sogniloqui. Ovvero un intreccio di sogni ed eloquio, un rincorrersi di immagini e parole che vanno a depositarsi sulla pagina bianca costruendo dei microracconti, delle folgorazioni visivo-letterarie che restano lontani dal canone del racconto inteso come forma ridotta, breve narrazione di una storia strutturata, restando più vicini a degli schizzi narrativi a metà strada tra il surreale e il grottesco, l’ironico e l’assurdo. L’autore usa la dimensione del sogno come pre-testo, come base di partenza sulla quale poi far levitare la sua piccola emblematica storia.
I testi di Taccone sono curiosi nel senso che hanno una loro specifica natura intrigante che stimola la curiosità del lettore e ci presentano un modo curioso, ovvero inatteso di leggere le cose che tuttavia ha la capacità di rimbalzarci all’interno della realtà quotidiana, come se i salti logici, gli imprevisti visionari, le soluzioni apparentemente assurde possano proprio per questo indicare una forma diversa di lettura della realtà.
Una sorta di iper-realismo che coglie momenti, pensieri, immagini della vita di tutti i giorni trasferiti in brevi testi che, proprio per la loro specifica natura immediata, aprono per il lettore riflessioni più ampie su temi esistenziali, ossessioni, manie, problemi della nostra contemporaneità. Molto significativi in tale senso i racconti Tagliatelle millimetrate oppure Girella Cumana dove comportamenti e situazioni apparentemente irrazionali nascondono domande esistenziali che possono riguardare tutti noi. Tra l’altro questi due racconti cha aprono il libro contengono un po’ tutta la “poetica” dell’autore.
Ma il presente è evocato anche sul piano morale, persino “politico” visto che alcuni racconti hanno la forma più o meno consapevole dell’apologo, del racconto immaginario tuttavia calato sul presente storico-politico che stiamo attraversando. Infine, le ambientazioni: molti racconti si svolgono nella sua città, Napoli, che tuttavia resta sullo sfondo, altre volte è il “punto di vista” della stanza dell’autore, altre ancora è la strada, il giardino… Non è la descrizione narrativa che interessa Taccone: è la rapidità dello sguardo, la pennellate improvvisa, abbozzata. E’ come se il “non-detto” fosse sempre più importante del “detto” per lasciare al lettore ampi margini di “partecipazione”.
Stefano Taccone di professione è critico e storico dell’arte, specie dell’arte contemporanea e in questi piccoli testi ritroviamo probabilmente l’influsso della sua formazione, della sua forma mentis (non certo, immaginiamo della sua scrittura) I racconti di Sogniloqui sono come delle rapaci installazioni di parole, talvolta ingenue, altre volte taglienti, altre ancora dal tono pacatamente filosofico… sempre sostenute dall’intento di sollecitare e attirare lo sguardo del lettore, per un attimo, su un dettaglio che magari presto scompare, come in un sogno, appunto.
Ci sono racconti che hanno accenti in stile “pop-art” (si pensi a Calcetto disneyano) altri invece centrano la loro attenzione sulla “denuncia” dei rischi della contemporaneità. È il caso di “Rete negli occhi” in cui il protagonista finisce per essere trasformato in un essere esclusivamente “visivo” a forza di vivere immerso nella rete. Oppure si pensi a Irruzione afro-italiana dove i protagonisti (una coppia di persone “occidentali, bianche” a forza di sentirsi diversi, divergenti, anomali finiscono per generare due bambini di colore. In Food Pool viene presa in giro la mania contemporanea delle diete e la perdita di attenzione per le vere domande esistenziali. Si prenda poi il tono critico filosofico di quadretti come Cuoricino nero in cui Taccone critica appunto forme di “politicamente corretto” che rischiano di ottenere l’effetto contrario a quello voluto oppure Indios in giardino dove si apre una speranza per un mondo fatto anche di accoglienza e tolleranza.
Ingenuità e stupore, inquietudini e soprese sono i caratteri dello stile e il tenore emotivo dei testi. Non si cerchi in questo libro una forma narrativa strutturata: Taccone fa della scrittura “amorfa”, crea una sorta di meta-forma che gli permette di acquisire uno “stile” riconoscibile. Il linguaggio è sempre semplice, diretto, talvolta letterariamente ingenuo, cosa che contrasta con le intenzioni narrative, ma che rende il tutto leggero, aeriforme.
Ogni autore normalmente ha dei riferimenti culturali, scritturali: Taccone è perfettamente figlio di una generazione che ha assorbito letture importanti che restano sullo sfondo, che vengono proiettate sul fondale dei micro racconti come immagini fugaci, citazioni talvolta implicite, topoi letterari obbligati. Ed ecco apparire talvolta con sguardo sornione, altre volte con occhi ironici, magari con l’aria di chi se la ride, figure come Kafka, Buzzati, Calvino, Benni, persino Stephen King… insomma non sappiamo se davvero questi autori siano presenti, neppure l’autore lo sa (almeno così ci ha confessato in una recente presentazione a Torino). Certo vengono evocati, almeno agli occhi del lettore critico, figure che non danno vita a sviluppi profondi, distesi, ma che occhieggiano come in un video d’arte contemporanea.
Taccone non ha la pretesa di rifondare il genere letterario del racconto. Ma ha il merito di aprire un dibattito sul perché oggi il genere sia così poco praticato a differenza di quanto accadeva nel secolo scorso. E lui ha deciso di praticarlo. Al di là degli immediati risultati, questo è già un merito significativo. Nell’era di internet e di twitter può essere importante ripensare a forme nuove di racconto che siano comunicabili oggi perché colgono “lo spirto del tempo” anche sul piano formale, assumendosi le contraddizioni del caso.
Stefano Vitale
Note sull’Autore
Stefano Taccone (Napoli, 1981) è dottorato in Metodi e metodologie della ricerca archeologica e storico-artistica presso l’Università di Salerno. Dal 2013 al 2015 ha insegnato storia dell’arte contemporanea presso la RUFA – Rome University of Fine Arts. Ha pubblicato le monografie Hans Haacke. Il contesto politico come materiale (Plectica, 2010); La contestazione dell’arte (Phoebus, 2013); La radicalità dell’avanguardia (Ombre Corte, 2017).
Collabora stabilmente con le riviste “Segno” ed “OperaViva Magazine”. Ha pubblicato sulle riviste “Boîte”,“roots§routes, “sdefinizioni”, “Sudcomune”,“Titolo”, “TK-21”, “Tracce”, “undo.net”, “Walktable”. Con raccolta di racconti Sogniloqui (2018, Iod) esordisce nel campo della scrittura narrativa.