Francesco Scarabicchi
da Brine
(inediti)
Brine
Di quella bocca il bacio mi somiglia, erano labbra che si fanno
amare, erano porte schiuse al mio passaggio, erano tende all’alito
di brezza, come se un pomeriggio di stagione le sollevasse muto
in gran segreto. Nessuno che la sfiori, se più d’umido che di me
brilla nel giorno, se più di me commuove il gesto della mano dal
tavolino del caffè all’aperto. Un uscio semichiuso lì davanti
indica la via per scomparire, oltre le casse di bottiglie vuote, oltre
il cesto di panni alla rinfusa. Tu sei colei che devo abbandonare
per salvarti. Temo di me quel che non posso essere, quel che non
so né saprò mai. Perdona la notte che mi porto addosso,
l’insonnia che mi sveglia al primo grido.
Neve
E’ gelo di neve ferma e dura, inverno che di più non si può e
tremo come non ho tremato mai nel mio cappotto inutile, dentro
l’auto, nel buio, con te al fianco che non parli e chiami dal
silenzio degli occhi che mi osservano, quasi a implorare un gesto
che oltrepassi il confine. Se le carezze e i baci, se tutta
l’impertinenza delle dita inesperte ti invocano nel chiuso tuo
nascosto di gonna e blusa, se scelgo la via giusta per trovarti,
solo la soglia di un gradino bianco mi ferma sul ciglio d’ansia e
precipizio da cui mi sporgo pavido, tremante, vicino alla tua
bocca dove sono respiro e pena, dove la mia paura s’inabissa, tra
la saliva e i denti, amore che non t’amo, se sei dolore e febbre, se
t’amerò per sempre, se mai più parlerò all’imperfetto.
Lungomare
Dopo la breve cena, con i cappotti e il vento che non smette di
soffiare dal mare buio di notte e gelo, insieme sul litorale di una
città di porto a vivere quel che non siamo, divisi e uniti senza
speranza alcuna di sapere cosa saremmo stati, se avessimo
potuto. L’orologio segna un tempo che non c’è, né tuo né mio, e
il nome che ti chiama è fermo come un treno che non ha stazioni.
Posso amarti a quest’ora senza un dopo. T’accompagnerò su una
via di frontiera e piano scomparirai lontana. Allora saprò che
sono quel che ero prima, tutto il niente che in me già preme
e pesa.
Francesco Scarabicchi (1951) vive ad Ancona. Tra le numerose pubblicazioni si segnalano Il cancello (Ancona, Pequod, 2001 – con una nota di Pier Vincenzo Mengaldo), L’esperienza della neve (Roma, Donzelli, Premio Crati e Premio Metauro nel 2004), L’ora felice (Roma, Donzelli, 2010) e Con ogni mio saper e diligentia: Stanze per Lorenzo Lotto (Macerata, Liberilibri, 2013). Numerose inoltre le edizioni d’arte. Ha tradotto da Machado e da Lorca raccogliendo una selezione di brani in Taccuino spagnolo (Brescia, L’obliquo, 2000). Si occupa da sempre di arti figurative. .
Fotografia di proprietà dell’autore.
Nota: la versione originale di Brine prevede che i testi siano giustificati. La piattaforma non lo consente e ce ne scusiamo con l’autore.