Rimbaud Vuelve a Casa #3: Robert Filliou, «L’art est ce qui rend la vie plus intéressante que l’art». La poesia come festa permanente

Traduzione e nota a cura di Giovanni di Benedetto

 

Tra le pagine dell’Enciclopedia universale, il nome di Robert Filliou (1926-1987) è associato a quello di Joseph Beuys, John Cage, George Maciunas e ad altri artisti che orbitarono attorno all’esperienza del movimento neo-dadaista di Fluxus. In effetti Filliou appartiene a quella categoria di artisti che partendo dalle pratiche di Raymond Roussel, Marcel Duchamp, Kurt Schwitters e André Breton, hanno pensato la propria opera come un lavoro sul linguaggio mirato a ribaltare i fondamenti stessi della creazione artistica.

Robert Filliou aderisce pienamente al principio fondativo delle avanguardie: in ossequio alla massima di André Breton secondo cui la parola d’ordine del surrealismo è una medesima in grado di conciliare Rimbaud (“Changer la vie”) e Marx (“Transformer le monde”), nell’opera di Filliou azione e poesia sono intimamente connesse. Allo stesso modo, l’arte e la vita. Per questa ragione, poesie, installazioni, performances, assemblaggi, collages, giochi, happenings, cartoline, sono le forme multiple che compongono un’opera poliedrica nel quale il linguaggio (e le sue forme) è uno strumento (tra gli altri) in grado di setacciare il reale alla ricerca della poesia. Una poesia retta da quello stesso merveilleux quotidien di cui parlava Louis Aragon in Une vague de rêves, testo di poco precedente al Manifesto surrealista di Breton e che già definiva ad ampie linee il programma poetico dei surrealisti. Per Robert Filliou, «L’art est ce qui rend la vie plus intéressante que l’art».

Il testo che proponiamo per Rimbaud Vuelve a Casa è tratto da una recente antologia, curata da Emma Gazano, che raccoglie il lavoro prettamente letterario di Filliou. Avendo scritto per lo più a mano, su supporti precari o destinati all’esposizione in gallerie o alla messa in scena di happenings, la sua opera letteraria è stata concepita espressamente fuori dal libro. Lontano dai circuiti editoriali e dall’istituzione letteraria, i suoi testi erano difficilmente accessibili. Raccogliendo e ritrovando questi scritti in volume, Emma Gazano rende possibile non solo la riscoperta del valore letterario dell’opera di Robert Filliou, ma anche la celebrazione di un movimento che, nel solco dei surrealisti, ha concepito la rivoluzione come una festa permanente: la creazione sarà convulsiva o non sarà.

 

 

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Sans titre (1962)

 

 

Ce poème doit être joué devant un public.
Un homme entre en scène et présente le poème. Mais le poète n’arrive pas, jusqu’au moment où le public proteste.
Le poète est dans les coulisses, déjà ivre. Il empoigne une bouteille de vin ou de spiritueux presque vide. Enfin, quand le public commence à huer, l’homme traîne le poète sur la scène.
L’homme parle au poète, il veut qu’il déclame son poème. Il fait des gestes en direction du public. Il aide le poète à se tenir droit, il essaie de lui prendre la bouteille des mains, sans succès. Le poète s’affale sur une chaise au milieu de la scène et boit dans sa bouteille.
L’homme est derrière lui, impuissant.
Puis il se met en colère. Il crie au poète :
« Très bien, stupide clochard.
Comme tu voudras.
Mais tu n’es qu’un ivrogne.
Accepte-le.
Rien qu’un ivrogne.
Accepte-le. »

 

 

LE POÈTE :
(Tout en buvant de temps en temps une gorgée de sa bouteille, jusqu’à ce qu’elle soit vide)

J’accepterai la guerre
(et je me saoulerai)
J’accepterai la douleur
(et je me saoulerai)
J’accepterai la mort
(et je me saoulerai)
J’accepterai la bêtise
(et je me saoulerai)
J’accepterai la trahison
(et je me saoulerai)
J’accepterai la peur
(et je me saoulerai)
J’accepterai la petitesse
(et je me saoulerai)
J’accepterai le meurtre
(et je me saoulerai)
J’accepterai l’ostentation
(et je me saoulerai)
J’accepterai le commerce
(et je me saoulerai)
J’accepterai les écoles
(et je me saoulerai)
J’accepterai la honte
(et je me saoulerai)
J’accepterai les larmes
(et je me saoulerai)
J’accepterai la politique
(et je me saoulerai)
J’accepterai l’amour, je veux dire, la haine
(et je me saoulerai)
J’accepterai le tourment
(et je me saoulerai)
J’accepterai la vanité
(et je me saoulerai)

 

Le poète est à présent proche d’un état d’hébétude. L’homme derrière lui le secoue.

 

L’HOMME :
Mais pourquoi ? Pourquoi ?

 

LE POÈTE :
J’accepterai et je me saoulerai

 

L’HOMME : (en le secouant)
POURQUOI ?

 

LE POÈTE :
Pas pour oublier, mais pour me souvenir

 

Il se met péniblement debout, et s’en va.
Si le public réagit en huant ou en applaudissant, ou les deux, et s’il reste au poète assez de lucidité pour dire quoi ce soit, il criera :

« J’accepterai les applaudissements, j’accepterai les huées et je me saoulerai. »

 

 

(da Robert Filliou, Poèmes, scénarios, chansons. Édition établie par Emma Gazano, Les Petits Matins, 2024)

 

 

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Senza titolo, 1962

 

Questa poesia deve essere interpretata davanti a un pubblico.
Un uomo entra in scena e presenta la poesia. Ma il poeta non arriva, finché il pubblico non comincia a protestare. Il poeta è dietro le quinte, già ubriaco. Stringe una bottiglia di vino o di liquore quasi vuota. Finalmente, quando il pubblico inizia a fischiare, l’uomo trascina il poeta sulla scena. L’uomo parla al poeta, vuole che declami la sua poesia. Fa gesti in direzione del pubblico. Aiuta il poeta a stare in piedi, cerca di togliergli la bottiglia dalle mani, senza successo. Il poeta si lascia cadere su una sedia al centro della scena e beve dalla sua bottiglia. L’uomo è dietro di lui, impotente. Poi si arrabbia. Grida al poeta:

«Va bene, stupido barbone.
Come preferisci.
Ma non sei altro che un ubriacone.
Accettalo. Solo un ubriacone.
Accettalo.»

 

IL POETA: (Bevendo ogni tanto un sorso dalla sua bottiglia, finché non resta vuota)

Accetterò la guerra
(e mi ubriacherò)
Accetterò il dolore
(e mi ubriacherò)
Accetterò la morte
(e mi ubriacherò)
Accetterò la stupidità
(e mi ubriacherò)
Accetterò il tradimento
(e mi ubriacherò)
Accetterò la paura
(e mi ubriacherò)
Accetterò la meschinità
(e mi ubriacherò)
Accetterò l’omicidio
(e mi ubriacherò)
Accetterò l’ostentazione
(e mi ubriacherò)
Accetterò il commercio
(e mi ubriacherò)
Accetterò le scuole
(e mi ubriacherò)
Accetterò la vergogna
(e mi ubriacherò)
Accetterò le lacrime
(e mi ubriacherò)
Accetterò la politica
(e mi ubriacherò)
Accetterò l’amore, cioè, l’odio
(e mi ubriacherò)
Accetterò il tormento
(e mi ubriacherò)
Accetterò la vanità
(e mi ubriacherò)

 

Il poeta è ormai vicino a uno stato di totale stordimento. L’uomo dietro di lui lo scuote.

 

 

L’UOMO: Ma perché? Perché?

 

IL POETA: Accetterò e mi ubriacherò

 

L’UOMO: (scuotendolo) PERCHÉ?

 

IL POETA: Non per dimenticare, ma per ricordare

 

Si alza a fatica e se ne va. Se il pubblico reagisce fischiando o applaudendo, o entrambe le cose, e al poeta resta abbastanza lucidità per dire qualcosa, griderà:

«Accetterò gli applausi, accetterò i fischi e mi ubriacherò.»

 

 

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Giovanni di Benedetto (Napoli, 1987) vive a Parigi. Laureatosi in letteratura francese all’Università degli studi di Napoli “Federico II” con una tesi sul romanzo surrealista, nel 2013 si trasferisce a Parigi ed entra a far parte del Centre de recherches sur le surréalisme dell’Università Paris 3 “Sorbonne Nouvelle” diretto dal professor Henri Béhar. Attualmente insegna l’italiano in un liceo della periferia parigina e sta portando a termine l’edizione critica degli inediti di Arturo Benedetti. Suoi articoli sono apparsi su Lankelot, Nazione Indiana, Sud – Rivista europea, Zone Critique. Ha partecipato al numero collettivo su Roberto Bolaño dell’Atelier du Roman. Nel 2016 ha vinto il prestigioso Prix de la nouvelle organizzato dalla Sorbona, primo scrittore non francofono ad aggiudicarsi la riconoscenza.