nota di lettura di Marco Nicastro
Discendere nei vortici dell’amore
Parlare d’amore è difficile, specie in poesia. Farlo in un modo limpido lo è forse ancora di più, perché si corre il rischio di essere scontati, infantilmente espliciti, o stucchevoli.
Piero Schiavo, insegnante di lettere in un istituto della provincia di Roma (come recita la nota biografica del libro) è tra questi coraggiosi che non temono di compromettersi dedicando un’intera silloge a quello che è il sentimento più frequentato in letteratura nel corso dei secoli (tanto da comporre una poesia sulla falsariga del celebre Carme V di Catullo e senza sfigurare!).
Si tratta di un libro composito di versi e brevissime prose suddiviso in tre sezioni:Esitazioni, Distrazioni, Agnizioni.È un libro filosofico, nel senso che prova a sondare in forma di versi alcuni aspetti profondi e contraddittori dell’esperienza d’amore umana nella sua declinazione del rapporto uomo-donna, col mistero insito nella scelta dell’oggetto d’amore, le speranze e le delusioni cocenti che questo sentimento può portare con sé.
L’autore sonda con precisione i paradossi di un rapporto sentimentale e le sue delizie con un continuo gioco di chiasmi semantici, talmente intenso che a volte potrebbe spingere il lettore frettoloso, abituato a scritture più piane e dirette, a chiudere il libro. Ma questo, probabilmente, rimane solo un rischio potenziale, grazie all’assoluta sincerità dell’autore che si tiene sempre lontano da pose stilistiche e concettuali.
Il fulcro tematico della silloge, in particolare, è quello dell’oscillazione degli amanti tra vicinanza e distanza, giocato lungo un dualismo continuo tra desiderio di fusione e incapacità di afferrarsi, come annunciato nel breve e intenso dialogo con l’amata che fa da anticamera alla raccolta.
Nonostante questo inestricabile conflitto, alla donna è deputato fin dall’inizio il compito demiurgico di riscrivere il mondo, la visione delle cose del poeta: «Rendi agli oggetti / se non l’essere / le loro intenzioni […] nella calligrafia senza tempo / con cui il mondo riscrivi» (p. 17). Calligrafia è un termine che ricorre alcune volte nella silloge e non si può fare a meno di pensare che l’amore sia, per l’autore, un’azione che lascia un segno indelebile nel tempo del soggetto che ama «No, è più vita questa di ogni momento che si consuma indaffarati nella prigione della propria ordinarietà», recita un passaggio del dialogo iniziale.
A volte Schiavo sembra lasciarsi prendere la mano da un romanticismo un po’ melenso: «per sussurrarti il mio nome / nel crepuscolo dei tuoi sogni» (p. 25); «ma tu amami, se puoi / e se non riesci / odiami quanto basta / a farmi capire / che mi ami ancora» (p. 49); «ti guarderei allora / come ti guardano / i tuoi occhi / e mi innamorerei di te / di un amore non solo mio / che finalmente ti troverebbe» (p 55). A volte, in questi frangenti, forse spinto dall’impeto del sentimento, capita al poeta di perdere il ritmo della versificazione che solitamente invece riesce a mantenere: «anche un addio / provoca lo stesso dolore / pur nell’innocente incoscienza / della sua lapidaria irreversibilità» (ibidem). Un esempio, quest’ultimo verso, di un’altra tendenza di Schiavo, quella cioè a eccedere in questo suo primo lavoro nell’uso dell’aggettivazione, che non solo stira prosaicamente il verso e lo annacqua ritmicamente, ma risulta anche inutile data la limpidezza dei vocaboli solitamente usati dall’autore nei suoi componimenti.
Tuttavia, al di là di questi punti critici, non si possono non rilevare abbinamenti lessicali e associazioni analogiche particolarmente felici, che impreziosiscono qua e là la raccolta dando l’impressione di una certa matura consapevolezza dell’uso poetico della lingua. C’è così la voce dell’amata che «ritaglia dal nulla» l’essere dell’amato, ci sono «gli occhi di alga» dell’amata e i suoi capelli che diventano un «ruvido cuscino». Felicissima poi l’immagine degli amanti come viaggiatori sul medesimo treno, che stanno schiena contro schiena «l’uno a congedarsi / stanco / dalle immagini a cui l’altro / con soffocata speranza / va incontro» (p. 19).
L’uso del verso, come si accennava, è sempre attento e curato, con piacevoli rime che conferiscono musicalità al dettato: «La poesia ti attraversa. / In te si cerca / e come persa / si rigenera, / immersa nella tua voce / scopre nuovi versi / e nasce riscritta / con la trama tersa…» (p. 28). Un bellissimo esempio di poesia quest’ultimo, con un’abbondanza di richiami sonori (ripetersi continuo di r, s, t) che cullano e persuadono il lettore. Si apprezza anche la capacità di Schiavo di cambiare ritmo all’interno di una stessa poesia, passando da versi più lunghi (9-12 sillabe) a versi più brevi (3-6 sillabe) in prevalenza accentuati in modo non canonico. La libertà dell’autore di piegare il verso al proprio ritmo emotivo è molto spiccata, ma rimane sempre all’interno di una struttura più tradizionalmente lirica che solo di rado si avvicina alla prosa («Di te un’immagine / più di altre mi è cara // quel bacio ancora vergine / che ogni dubbio rischiara» (p. 22).
Quest’ultima poesia, in particolare, che è anche una delle più belle della raccolta, è un esempio di cosa dovrebbe essere la poesia lirica: un conglomerato di suoni e significanti lessicali che unendosi in un breve spazio permettono di andare oltre il senso letterale cui si riferiscono: «Comporsi, sì, tessere, / la materia in cui sei costretta / nella curva di ogni giornata, / per te sempre inadeguata / per te sempre cosi stretta».
C’è anche da notare la capacità dell’autore, in questo turbinio di romanticismo, di rendere efficacemente – e non è scontato – l’aspetto più sensuale dell’amore, mostrando così una certa flessibilità di registro: «Di nuovo seduti / ora non più pudicamente accanto, / ma là dove tu ed io s’incontrano perdendosi / tra sudate croci di membra, / a scoprirci negli occhi dell’altro» (p. 20); «Nuova materia / di noi due confusa / rende la luce soffusa / alle membra, / di notte cercate / e accolte nella penombra» (p. 39); «Se solo avessi ancora speranza / di intingere la piuma / dei desideri, / traccerei senza soggezione / questi versi / sulla pagina sfacciata / della tua schiena: // baci i punti, / virgole le carezze» (p. 54).
Un esordio sincero, deciso e a mio avviso complessivamente promettente, coi limiti tipici di molti esordi e con la capacità, propria di Schiavo, di addensare immagini e di passare velocemente e senza troppi scossoni da una cadenza più lirica ad una più prosastica, a denotare un timbro forse ancora da limare ma già assolutamente personale.