Piccolo bestiario in versi
Da bambino preferivo le figurine degli animali a quelle dei calciatori; la passione continua.
Qualche anno fa ho immaginato che la mia pagina facebook fosse una piccola Arca di Noè dove, ogni settimana, entrava un animale descritto nei versi di poeti italiani contemporanei; da lì ha origine questo mio Piccolo bestiario in versi.
La poesia di Saba A mia moglie inizia così: «Tu sei come una giovane, / una bianca pollastra»; i primi due versi de La capra recitano: «Ho parlato a una capra. / Era sola sul prato, era legata»; la poesia La gatta dice: «La tua gattina è diventata magra. / Altro male non è il suo che d’amore». Testi che mantengono una freschezza che il tempo non àltera.
Alla fine degli anni Quaranta, Saba scrive una raccolta intitolata Uccelli, titolo anche della seguente lirica dove manifesta tutto il suo amore per le creature alate: “L’alata / genia che adoro – ce n’è nel mondo tanta! – / varia d’usi e costumi, ebbra di vita, / si sveglia e canta”.
Segue nel 1951 Quasi un racconto, che contiene Dieci poesie per un canarino; scelgo la prima dalla giocosa ironia.
A un giovane comunista
Ho in casa – come vedi – un canarino.
Giallo screziato di verde. Sua madre
certo, o suo padre, nacque lucherino.
È un ibrido. E mi piace meglio in quanto
nostrano. Mi diverte la sua grazia,
mi diletta il suo canto.
Torno, in sua cara compagnia, bambino.
Ma tu pensi: I poeti sono matti.
Guardi appena; lo trovi stupidino.
Ti piace più Togliatti.
(Antologia del Canzoniere, Einaudi, 1966)
Gli animali da sempre appassionano i poeti e ispirano i loro versi. Penso a due indimenticabili poesie di Montale: Upupa, ilare uccello calunniato e L’anguilla. L’upupa venne pubblicata nel 1925 in Ossi di seppia. Il fotografo Ugo Mulas scattò nel 1970 un famoso ritratto, in bianco e nero, di Montale: inquadrati di profilo, il poeta e l’uccello calunniato dai poeti si guardano intensamente, come se l’uno si specchiasse in qualche modo nell’altro, come se dividessero con amichevole complicità la scena. L’anguilla fu pubblicata in rivista nel 1948 e ne La Bufera e altro nel 1956; scrive Francesco Zambon nella Premessa del volume L’iride nel fango (Pratiche editrice,1994): «La critica è pressoché unanime nel giudicare L’anguilla uno dei vertici assoluti della poesia di Montale e di tutta la poesia italiana del Novecento».
L’ANGUILLA
L’anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d’Appennino alla Romagna;
l’anguilla, torcia, frusta,
freccia d’Amore in terra
che solo i nostri botri o i disseccati
ruscelli pirenaici riconducono
a paradisi di fecondazione;
l’anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l’arsura e la desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto pare
incarbonirsi, bronco seppellito;
l’iride breve, gemella
di quella che incastonano i tuoi cigli
e fai brillare intatta in mezzo ai figli
dell’uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
non crederla sorella?
(Tutte le poesie, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, 1984)
Luigi Beneduci introduce così il suo Bestiario sinisgalliano. Studio dell’immaginario zoomorfo nelle opere di Leonardo Sinisgalli (ARACNE editrice, 2011): «Nelle [sue] opere costantemente ricorre la presenza di numerosi animali dal rilievo simbolico ed emblematico (il gallo, la mosca, la cicala, il ragno, il cane, la chiocciola, la donnola ecc.)». E ancora: «La mosca è […] uno degli animali maggiormente presenti».
A casa mia
A casa mia si parla
con le mosche si vive
in compagnia delle mosche
d’inverno e d’estate
dov’è la mosca
come sta la mosca
è sparita la mosca
si grida quando si ritorna.
(Mosche in bottiglia, Mondadori, 1975).
A sua volta Elisabetta Motta inizia con queste riflessioni il volume Degli animali. Viaggio nel bestiario di Giampiero Neri (CartaCanta, 2018, prefazione di Davide Rondoni, illustrazioni di Luciano Ragozzino): «La presenza [degli animali] nei suoi scritti è una costante così ricca e variegata da costituirne un vero e proprio bestiario. Si tratta di una componente non esclusiva della sua poesia: gli animali scorrazzano liberamente e assiduamente anche tra le pagine delle sue prose, tanto da divenire un elemento essenziale nel codice interpretativo dell’intero corpus neriano».
Comincio a seguire come un investigatore le tracce, le scie lasciate dalla lumaca.
Tracce
Presa fra i sassi dove si nasconde
la lumaca fa udire un breve suono
unico segno manifesto
della sua muta esistenza.
Del suo andare solitario
si vede qualche volta una traccia,
come una scia luccicante nell’erba.
(Antologia personale, «Prefazione» di Alberto Bertoni, Garzanti, 2022)
Gli orizzonti temporali e spaziali in Bacchini si dilatano, «Io ridico parole con il grido / di cetacei tornati nell’oceano» (Il mio strumentario, in Canti territoriali).
La natura, nella totalità dei suoi aspetti, sta al centro della sua opera poetica. Innumerevoli alberi, erbe, germogli, fiori e vegetali, ma anche parecchi animali entrano con maggiore o minore evidenza nelle sue poesie; il regno animale è ampiamente rappresentato, narrato, ascoltato, indagato con precisione e intensità. La raffinatezza è pari alla forza come dimostra questo testo dove il cinghiale possiede una “regalità selvaggia” e il suo occhio “cosmico” scruta nel profondo.
Il cinghiale
Ficcato, il suo grifo villoso, contro il muro
tra le bottiglie. Trofeo di caccia
sull’Appennino. Tra etichette di vigneti scelti,
-e i rovi. Con i canini arcuati,
l’occhio obliquo. Una regalità selvaggia. E la polvere
si è depositata, adagio, su quei vetri
di vini tabaccosi. Appeso. Morsicato dai cani. Fulminato
dalle doppiette.
Ma nel suo occhio fisso
vi sono stati mondi.
Universi sprofondati. Diverse
fertilità, dimensioni. Ben prima di questa,
che ha le primordiali ascendenze del mare,
e lo sguardo viscido dei padri.
Nell’occhio cosmico del mostro
la furia polverosa, il maligno
col grugnito nel brago
che grufola nell’uomo.
(Canti territoriali, Mondadori, 2009)
Nell vivace e brioso bestiario di Toti Scialoja risultano simpatiche perfino le moleste zanzare che infestano il pianeta
Una zanzara di Zanzibàr
andava a zonzo, entrò in un bar,
«Zuzzerellona!» le disse un tal
«mastica zenzero se hai mal di mar».
*
Vive a Zara, anzi vi langue,
la zanzara senza zeta,
non si azzarda a succhiar sangue
ma nient’altro la disseta.
(Versi del senso perso, «Prefazione» di Paolo Mauri, Einaudi, 2017)
Franco Marcoaldi pubblica nel 2006 Animali in versi e, circa quindici anni dopo, Animali in versi Un nuovo canzoniere (Einaudi, 2022). Un lungo, affettuoso corteggiamento. Mi trovo incondizionatamente d’accordo con la «Nota» dell’autore e convintamente la metto in pratica nel mio lavoro poetico: «Ho sempre pensato ai libri, tanto più quelli di poesia, come a organismi mobili, che possono conoscere successive metamorfosi. È quanto accade ora con Animali in versi che…compare in una veste completamente rinnovata».
Respiri, sospiri, soffio vitale, anima, pneuma, la fraterna empatia fra uomo e cane è per l’autore indiscutibile e per il lettore commovente.
Sospiri canini
Se l’anima sia un quid che l’uomo
e solo l’uomo può vantare
è oggetto di querelle lunga
e irrisolta nel mondo teologale.
Da parte mia propendo per chi
fa rivelare che se anima
è sinonimo di ruach,
soffio vitale,
allora il quid oltre che l’uomo
riguarda l’animale. Basta
osservare un cane a lungo
in fondo agli occhi,
precipitare negli abissi
di quei lontani mondi, basta
accostare il suo muto
e impenetrabile dolore, le domande
inevase, la gioia trattenuta,
l’improvviso bisogno di calore.
Basta dormirci assieme
per una notte tenera e dolce
quando il soffio vitale del respiro
tramuta struggente in un sospiro.
Il libro di Annalisa Macchia Il bestiario delle bestiacce è interamente dedicato agli animali. Nella «Post-fazione» Plinio Perilli mette in evidenza l’aspetto buffo, divertente, dolcemente satirico di questi versi pungenti ma sempre garbati che compongono «un piccolo catalogo di animalità antropomorfizzata».
Convivono nel libro conoscenze scientifiche e uno sguardo che si tinge di favola e di infanzia, un tono lieve, giocoso e una struttura ordinata e rigorosa. Ogni animale viene introdotto da una poesia che lo descrive alla quale seguono due quartine in rima, nella prima parlano gli umani e nella seconda le “bestiacce”, il dialogo è ravvivato da un vivace battibecco. Le bestie di Annalisa Macchia non sono fra le più nobili ed eleganti, includono per esempio il pidocchio, la cimice, la zecca che al microscopio appare «un alieno, un mostro insidioso», lo scorfano…
Scorfano
Ti hanno stanato.
Te ne stavi nascosto
sul fondale
immobile
mimetizzato tra rocce ed alghe.
Ora, più immobile ancora
sporgi l’enorme labbro
in piega amara.
Ritte le insidiose spine.
Fissi, spiritati gli occhi
dove luccica
un assurdo mare d’aria.
(Il bestiario delle bestiacce, Introduzione di Franco Manescalchi e Post-fazione di Plinio Perilli, con 5 tavole di Giovanna Ugolini, Pagine, 2020)
Alcuni poeti riservano una sezione specifica agli animali, non per confinarli dentro un capitolo-recinto ma per accoglierli senza che si disperdano. Scelgo come esempi queste tre raccolte.
La prima parte del volume di Ermanno Krumm Animali e uomini (Einaudi, 2003) si intitola Zoo e la prima sezione Un animale mi guarda:
Un animale mi guarda,
uno specchio vivo, un punto
ancora netto in alto
la sua presenza,
tra sassi ed erbe il suo contorno
entra nella macchia
come la pallina nella buca del biliardo.
Non diversamente apparivano
e sparivano gli antichi dei
con imperturbabile naturalezza.
Un capitolo del libro di Rosita Copioli Le acque della mente (Mondadori, 2016) è intitolato Animalia. Colmi di pietà e di commozione i versi per un istrice morto:
Istrice
Raccolgo sempre gli aculei degli istrici
sui sentieri dove camminano.
Screziati, dalle lunghezze alte a quelle
sottili e corte come aghi. Sfumature mai uguali
elegantissime.
Ieri temevo
di averne trovati troppo in pochi metri.
Oggi la brutta notizia è arrivata. Ma non lì.
Doveva essere comunque un popolante
della discoteca ad averlo ammazzato
questa notte.
Grosso come un grosso cane, mi ha detto lui,
che correva solo.
Con il muso appuntito scuro,
bellissimo e sontuoso giaceva
schiacciato sulla strada.
Un istrice mirabile, che solo parole
commosse mi hanno descritto.
Di Antonella Anedda Einaudi ha pubblicato nel 2018 la raccolta Historiae; una sua piccola sezione si chiama Animalia. Ci scuote il «grido quasi umano» del geco.
Geco
Chi dice che il geco non è coraggioso?
semplicemente ubbidisce al suo terrore.
Divarica le unghie muovendo la coda insieme agli occhi,
il suo corpo sguscia,
dal muso viene lo stridìo di una voce
-ha le corde vocali-
un grido quasi umano.
Un solo pelo delle zampe regge una formica.
Se cade può salvarsi tenendosi a una foglia,
se colpito si eclissa come fa ogni bestia.
Resta una memoria di verde e quel suo scatto
con graffi di luna contro il muro.
Poesie sugli animali sono spesso preziosamente incastonate all’interno di raccolte che parlano sostanzialmente di altro. Mi limito a segnalare lo straordinario testo del poeta romagnolo Raffaello Baldini I pipistrelli. Dell’inquietante poemetto riporto qui (nella versione in italiano) la prima strofa.
I pipistrelli
Non dovevo lasciar aperta la finestra,
adesso mi sono entrati i pipistrelli.
Volano dappertutto, fanno dei sibili,
vengono bassi, mi sfiorano la faccia.
Io sbatto i vetri, ci do con uno straccio,
qualcuno lo prendo, ma ne entrano altri.
(La Naiva Furistir Ciacri [La Neve Forestiero Chiacchiere], Einaudi, 2000)
Per quanto mi riguarda ho composto parecchi versi sugli animali, preferibilmente sui volatili. A questi ultimi ho dedicato un libro intitolato I merli del Giardino di san Paolo e altri uccelli. Questa poesia racconta invece di bestioni estinti:
Dinosauri
Il meteorite si presentò
senza concedere alla terra
il tempo per riflettere. La voragine
si spinse così lontana
da impedire alla vista di abbracciarla.
Si alzava un muro polveroso
che faceva supporre cominciasse
da capo la creazione.
Nei dintorni i rettili
morivano soffocati, dinosauri erbivori
scambiarono l’apocalisse
per l’incedere di una specie
colossale di Tirannosauro.
(Cambiamenti, Mobydick, 2001)
Giancarlo Baroni