Philip Schultz (1945) è uno dei poeti più riconosciuti negli USA ed è il fondatore e direttore del Writers Studio di New York, la più importante scuola privata dove si insegnano tecniche della narrazione per prosa e poesia con programmi tenuti oltre che in sede, anche a San Francisco, Tucson, Amsterdam . Ha pubblicato numerose raccolte di poesia tra le quali si ricordano The God of Loneliness, Selected and New Poems (Houghton Mifflin Harcourt, 2010); Failure (Harcourt, 2007; premio Pulitzer per la Poesia nel 2008), Living in the Past (Harcourt, 2004); e The Holy Worm of Praise (Harcourt, 2002). L’ultimo volume pubblicato è The Wherewithal (W. W. Norton, 2014). Sue poesie sono state tradotte in diverse lingue.
Philip Schultz
da Failure (Houghton Mifflin Harcourt, 2007; Premio Pulitzer 2008)
traduzione dall’inglese a cura del laboratorio di traduzione poetica Monteverdelegge
(Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore)
I testi sono pubblicati con l’autorizzazione dell’autore
It’s Sunday Morning in Early November
and there are a lot of leaves already.
I could rake and get a head start.
The boys’ summer toys need to be put
in the basement. I could clean it out
or fix the broken storm window.
When Eli gets home from Sunday school,
I could take him fishing. I don’t fish
but could learn to. I could show him
how much fun it is. We don’t do as much
as we used to do. And my wife, there’s
so much I haven’t told her lately,
about how quickly my soul is aging,
how it feels like a basement I keep filling
with everything I’m tired of surviving.
I could take a walk with my wife and try
to explain the ghosts I can’t stop speaking to.
Or I could read all those books piling up
about the beginning of the end of understanding …
Meanwhile, it’s such a beautiful morning,
the changing colors, the hypnotic light.
I could sit by the window watching the leaves,
which seem to know exactly how to fall
from one moment to the next. Or I could lose
everything and have to begin over again.
Specimen
I turned sixty in Paris last year.
We stayed at the Lutetia,
where the Gestapo headquartered
during the war, my wife, two boys, and me,
and several old Vietnamese ladies
carrying poodles with diamond collars.
Once my father caught a man
stealing cigarettes out of one
of his vending machines.
He didn’t stop choking him
until the pool hall stunk of excrement
and the body dropped to the floor
like a judgment.
When I was last in Paris
I was dirt poor, hiding
from the Vietnam War.
One night, in an old church,
I considered taking my life.
I didn’t know how to be so young
and not belong anywhere, stuck
among so many perplexing melodies.
I loved the low white buildings,
the ingratiating colors, the ancient light.
We couldn’t afford such luxury.
It was a matter of pride.
My father died bankrupt one week
before his sixtieth birthday.
I didn’t expect to have a family;
I didn’t expect happiness.
At the Lutetia everyone
dressed themselves like specimens
they’d loved all their lives.
Everyone floated down
red velvet hallways
like scintillating music
you hear only once or twice.
Driving home, my father said,
“Let anyone steal from you
and you’re not fit to live.”
I sat there, sliced by traffic lights,
not belonging to what he said.
I belonged to a scintillating
and perplexing music
I didn’t expect to hear.
Failure
To pay for my father’s funeral
I borrowed money from people
he already owed money to.
One called him a nobody.
No, I said, he was a failure.
You can’t remember
a nobody’s name, that’s why
they’re called nobodies.
Failures are unforgettable.
The rabbi who read a stock eulogy
about a man who didn’t belong to
or believe in anything
was both a failure and a nobody.
He failed to imagine the son
and wife of the dead man
being shamed by each word.
To understand that not
believing in or belonging to
anything demanded a kind
of faith and buoyancy.
An uncle, counting on his fingers
my father’s business failures—
a parking lot that raised geese,
a motel that raffled honeymoons,
a bowling alley with roving mariachis—
failed to love and honor his brother,
who showed him how to whistle
under covers, steal apples
with his right or left hand. Indeed,
my father was comical.
His watches pinched, he tripped
on his pant cuffs and snored
loudly in movies, where
his weariness overcame him
finally. He didn’t believe in:
savings insurance newspapers
vegetables good or evil human
frailty history or God.
Our family avoided us,
fearing boils. I left town
but failed to get away.
traduzione dall’inglese a cura del laboratorio di traduzione poetica Monteverdelegge (Maria Adelaide Basile, Fiorenza Mormile, Anna Maria Rava, Anna Maria Robustelli, Paola Splendore)
È domenica mattina, ai primi di novembre
e già ci sono molte foglie.
Potrei rastrellare e portarmi avanti.
I giocattoli estivi dei ragazzi vanno messi
in cantina. Potrei fare un po’ di ordine
o aggiustare la controfinestra rotta.
Quando Eli torna dalla scuola domenicale
potrei portarlo a pescare. Io non pesco
ma potrei imparare. Potrei mostrargli
quanto è divertente. Non facciamo più tante cose
come prima. E mia moglie, c’è così
tanto che non le ho detto di recente,
quanto in fretta sta invecchiando la mia anima,
è come una cantina che continuo a riempire
di tutto quello a cui sono stanco di sopravvivere.
Potrei fare due passi con mia moglie e cercare
di spiegare i fantasmi con cui non riesco a smettere di parlare.
Oppure leggere tutti quei libri che si ammucchiano
su come abbiamo cominciato a non capire.
Intanto, è una mattina così bella,
i colori che cambiano, la luce che ipnotizza.
Potrei sedermi accanto alla finestra a guardare le foglie,
che sembrano sapere esattamente come cadere
un momento dopo l’altro. O potrei perdere
tutto e dovere ricominciare da capo.
Modelli
L’anno scorso a Parigi ho fatto sessant’anni.
Stavamo al Lutetia,
dove era acquartierata la Gestapo
durante la guerra, mia moglie, i due ragazzi ed io,
e molte anziane vietnamite
con barboncini dai collari di diamanti.
Una volta mio padre sorprese un uomo
a rubare sigarette da uno
dei suoi distributori automatici.
Continuò a stringergli la gola
fino a quando la sala da biliardo non puzzò di escrementi
e il corpo crollò a terra
come una sentenza.
L’ultima volta che ero stato a Parigi
ero povero in canna, mi nascondevo
dalla guerra in Vietnam.
Una sera, in una vecchia chiesa,
pensai di togliermi la vita.
Non capivo come essere così giovane
e non appartenere a nessun luogo
in mezzo a tante sconcertanti melodie.
Amavo i bassi edifici bianchi,
i colori accattivanti, la luce antica.
Tanto lusso non faceva per noi.
Era una questione di orgoglio.
Mio padre morì pieno di debiti una settimana
prima di fare sessant’anni.
Non mi aspettavo di avere una famiglia;
Non mi aspettavo la felicità.
Al Lutetia erano tutti
vestiti come i modelli
da loro amati tutta la vita.
La gente scivolava lungo
guide di velluto rosso
come musica scintillante
che si sente solo una volta o due.
Tornando a casa, mio padre disse,
“Lascia che ti rubino qualcosa
e non potrai più vivere”.
Stavo là, graffiato dalle luci del traffico,
senza appartenere a quello che diceva.
Appartenevo a una musica
scintillante e sconcertante
che non mi aspettavo di sentire.
Fallimento
Per pagare il funerale di mio padre
mi feci prestare soldi da persone
cui lui già doveva soldi.
Uno lo definì una nullità.
No, dissi io, lui era un fallito.
Nessuno ricorda
Il nome di una nullità, perciò
sono chiamati nullità.
I falliti non li dimentichi,
Il rabbino che lesse l’elogio di rito
su un uomo che non apparteneva
e non credeva a niente
era lui un fallito e una nullità.
Fallì a immaginare il figlio
e la moglie del morto
umiliati da ogni sua parola.
A capire che non
credere e non appartenere
a niente richiedeva una sorta
di fede e di spavalderia.
Uno zio, che contava sulle dita
gli affari falliti di mio padre-
un parcheggio che allevava oche,
un motel che arriffava lune di miele,
un bowling con Mariachi itineranti-
fallì nell’ amare e onorare suo fratello,
che gli aveva insegnato a fischiare
di nascosto, a rubare mele
con la destra o la sinistra. In realtà,
mio padre era un tipo comico.
I suoi orologi pizzicavano, inciampava
nel risvolto dei calzoni e russava
forte al cinema, dove
la stanchezza alla fine
lo vinceva. Lui non credeva a:
risparmio assicurazioni giornali
verdure bene e male fragilità
umana storia o Dio.
I parenti ci evitavano
come la peste. Lasciai la città
ma fallii ad andarmene.
Fotografia tratta dal sito dalla University of Arizona Poetry Center
Maria Adelaide Basile ha insegnato letteratura italiana presso la John Cabot University. Ha tradotto il poeta francese Alain Bosquet, Poeta in Francia (Milano, Scheiwiller, 1990) e ha pubblicato un estratto della sua traduzione di The Glass Essay di Anne Carson (Gradiva, 41-42, Spring/Fall 2012) ambedue con introduzione critica. Suoi saggi e poesie sono presenti in varie riviste. È in uscita il suo primo libro di poesie, Viaggi, edito da Campanotto.
Fiorenza Mormile ha insegnato italiano e latino nei Licei. Ha pubblicato due sillogi poetiche: Le calibrate spine (Fermenti Editore,
1999) e Variazioni sul Lausberg (DARS, 2003). Suoi testi poetici, critici e traduzioni sono apparsi su varie riviste e siti di poesia. Ha curato l’antologia Corporea. Il corpo nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese (Sasso Marconi, Le Voci della Luna 2009; con Loredana Magazzeni, Brenda Porster e Anna Maria Robustelli). Coordina il Laboratorio di traduzione di Monteverdelegge.
Anna Maria Rava ha insegnato italiano e latino nei licei romani ed è stata lettrice di italiano alla Justus-Liebig-Universität di Gießen (Germania). È vicepresidente dell’Associazione Alzheimer Uniti Onlus, della cui rivista trimestrale è caporedattore e coordinatore editoriale.
Anna Maria Robustelli, poeta e traduttrice, ha insegnato inglese nei Licei. E’ presidente dell’Associazione Donna e Poesia; suoi saggi e traduzioni appaiono in svariate riviste e siti di poesia. Suoi testi poetici tradotti in inglese sono presenti nel sito Free
Verse. Nel 2009 è uscito Corporea, il corpo nella poesia femminile contemporanea di lingua inglese (Sasso Marconi, Le Voci della Luna), curato assieme a L. Magazzeni, F. Mormile e B. Porster.
Paola Splendore, ha insegnato letteratura inglese all’Università di Roma Tre. Ha curato varie antologie poetiche: Passaggi a ovest. Poesia femminile anglofona della migrazione (Palomar 2008); Isole galleggianti. Poesia femminile sudafricana 1948-2008 (con Jane Wilkinson, Le Lettere 2011). Per la collana Poesia dell’editore Donzelli ha curato le antologie: Sujata Bhatt, Il colore della solitudine (2005), Ingrid de Kok, Mappe del corpo (2008), Karen Press, Pietre per le mie tasche (2012), e Moniza Alvi, Un
mondo diviso, 2014.