Peter Covino: il salto e l’immaginazione
di Andrea Galgano
everything’s framed by looking: a visual pattern a rhythm: a visual
elemental language reconstitutes shapes then disintegrates nothing
is added in 5.—movements re-form into a ball an oppressive
unbalanced heavy cross—
Ciò che colpisce, dunque, non è solo la chiarezza espressiva quanto piuttosto una chiarità panica che si rivela in ogni dettaglio, facendo nascere preziosità nella grazia e nel candore, in cui l’heideggeriano Esser-ci impone tutta la sua presenza, in cui appare sostanziale il salto, non solo della metrica e dei disorientamenti lessicali, ma della vita, in tutte le sue forme di possibilità , «This morning the bells of St. Francis / compete with the caws of gulls / and the rumble and whistle of traffic»:
Earlier
your imprint in the bed as you trudge off to make coffee, the alarm
waking and not waking us. Remarkably, love starts again each day
though I’m having trouble breathing, and you remind me my allergy
medication’s probably off. Your words and the smell of you linger.
Ecco che l’immediatezza diventa un portale per capire meglio la nostra profondità, la nostra frattura, l’inappartenenza, la fragilità familiare, con i suoi riti e le sue figure, il dramma dello spostamento e dello sradicamento. Se nella nostra poesia, Ungaretti ha da sempre cercato la patria nella sua erranza nomade, la poesia di Peter si dimostra un’accurata avventura di sguardo levigato e di confine intimo e familiare.Sperimentazione, dunque, ma anche ironia e humour, tesi non tanto ad abbassare il livello narrativo quanto piuttosto a sfumarlo. Se si pensa alla variegata e composita poesia americana che racchiude varietà di toni, esperimenti, tradizioni e anche passaggi, la chiarezza della visione di Covino racconta prima che descrivere, tocca la realtà e il sogno, la duratura radice dell’essere e la vita stessa, vissuta nella lontananza, nel dolore, nel distacco e nella colloquiale contemporaneità, in cui anche i demoni oscuri colloquiano con la perdita e l’abbandono, in una densa ferialità di immagini che lotta con l’inquietudine, in un corpo a corpo senza fine, come avviene in “Such a Drag to Want Something Sometime”:
. . I’m just back
from a summer backpacking
through Europe where I’ve discovered Gucci,
Sun-In, and bisexuality with a vengeance.
With this newly-affected
Euro-trash accent, I’m determined to sleep with anyone
who’s breathing:. .
La poesia si porge in forma di nostalgia inquieta nella latitudine degli affetti lontani, da una parte, e dall’altra la longitudine dell’esistenza che di adempie qui e ora, nella immensa visione americana. Qui le radici assumono, anche in una dilatata spazialità, una nevralgica importanza, perché rappresentano una sorta di zenit di confronto che crea combinazioni lessicali, paesaggi onirici («In the dream of the river, the sound of water / Rushing, water roaring: sounds / Like animal sounds, human sounds, both: You have loved me too well and not enough») che fluttuano come una lunga visione interiore, catarsi di memoria e presente e la viscerale unione di quotidianità e dolore, come accade nella storia veterinaria di “Eternal Mercy Hallmark Card”. La parola abbraccia il tempo per fermarlo e accoglierlo, impararne la stoffa levigata, il fiato alchemico del dolore, dove il cuore vive la profonda fotografia del reale che ama la storia:
Last night the snow filled up your arms
tracks of snow from East 2nd Street &
I couldn’t dig out your Porsche replace
the curtains in ample free time
paint the changes of the window in the light
little of nothing to hold on to
how the skin peels away the bugs
come apart with mayonnaise & honey
La struttura heideggeriana dell’essere dell’esserci situa nel respiro breve, nei dettagli ricchi del dolore, la forma e il riflesso dell’istante, il frattale, la solitudine come dolore e promessa di paesaggio onirico, e poi il limite e la paura:
In the dream of the river, the sound of water
Rushing, water roaring: sounds
Like animal sounds, human sounds, both: You have loved me too well and not enough…
O ancora:
My mother sometimes fought back,
But she’d bruise easily
& lie to her Chinese co-workers
At the dress shop
La parola raggiunge tutta la sua primordiale testimonianza del fluido scorrere dell’esistenza, il dettaglio non frantumato, le viscere, narrate attraverso l’ansia e il tremore che racchiudono la visitazione di un battito cadenzato, che scombina il piano dell’appartenenza, dove anche il minuto è il luogo in cui la vita dell’essere accade e laddove la vita della mente risplende:
The transplant team arrived
Exactly five minutes after
She flatlined.
When they cut into her,
Her face twitched
And her eyes
Flew open,
A customary reflex
We’d read and heard about
But never experienced first hand.
(“Her Eyes Flew Open”)
when the heart swells
can He still speak through us
inner reminating
cornered death knell
of the other side
spindled-
heaven in an earthbound
warning.
Bibliography:
COVINO P., The Right Place to Jump, New Issues Poetry & Prose, Michigan 2012.
ELLIOTT B., On Peter Covino’s ‘The Right place to jump’, (https://www.huffingtonpost.com/bobby-elliott/on-peter-covinos-the-righ_b_1903554.html), November 21, 2012.
GALGANO A., La lancia di Frank O’Hara, in ID.-BATTAGLINI I., Frontiera di Pagine II, Aracne, Roma 2017.
HIGHTOWER S., Review: Peter Covino’s “The right placet to Jump”, (http://foggedclarity.com/article/review-peter-covinos-the-right-place-to-jump/).
HOLLAND W., “The Right Placet o Jump” by Peter Covino, (https://www.lambdaliterary.org/reviews/05/26/the-right-place-to-jump-by-peter-covino/), May 26, 2013.
HOPPENTHALER J., Interview with Peter Covino (https://www.connotationpress.com/hoppenthaler-s-congeries/may-2017/3007-peter-covino-poetry), May 2017.
SIEGEL M., The right placet to jump, (https://therumpus.net/2013/03/the-right-place-to-jump-by-peter-covino/), March 30th 2013.