Orazio, “Odi II. 20”

Traduzione a cura di Sarah Talita Silvestri

Non usitata nec tenui ferar
penna biformis per liquidum aethera
vates neque in terris morabor
longius invidiaque maior

urbis relinquam. Non ego pauperum
sauguis parentum, non ego, quem vocas,
dilecte Maecenas, obibo
nec Stygia cohibebor unda.

Iam iam residunt cruribus asperae
pelles et album mutor in alitem
superne nascunturque leves
per digitos umerosque plumae.

Iam Daedaleo notior Icaro
visam gementis litora Bospori
Syrtesque Gaetulas canorus
ales Hyperboreosque campos.

Me Colchus et qui dissimulat metum
Marsae cohortis Dacus et ultimi
noscent Geloni, me peritus
discet Hiber Rhodanique potor.

Absint inani funere neniae
luctusque turpes et querimoniae;
compesce clamorem ac sepulcri
mitte supervacuos honores.

 

*

 

Con straordinarie frecce tenaci
mi leverò per l’etere limpido,
io poeta bifronte, non indugerò
sulla terra, e lontano dalle città,
mi congederò più alto, oltre l’invidia.
Io, prole di miseri avi che invochi,
non tramonterò, amato Mecenate,
né mi tratterrà il flutto dello Stige.
Ed ecco che già gli arti si accasciano
sotto l’ispida pelle e lievi piume
iniziano a crescere sulle mani,
sul dorso. Così in cigno mi tramuto.
Già più deciso d’Icaro, osserverò
da cigno canoro i lidi gementi
del Bosforo, poi le Sirti getule
e le pianure degli Iperborei.
Mi conosceranno i Colchi e i Daci,
che ancora serbano timor dei Marsi,
e gl’infimi Geloni e m’imparerà
l’Ibero esperto e chi si disseta
nel Rodano. Dalle effimere spoglie
nessun lamento funebre si sparga
né turpi nenie in canti di lutto.
Trattieni il clamore sopra il sepolcro
e gli inutili onori ripudia.

 

 

 

 

Sarah Talita Silvestri (Palermo 1982) vive a Bra, in provincia di Cuneo. È laureata in Archeologia e Storia antica presso l’Università degli Studi di Torino, si occupa di numismatica antica e collabora con associazioni culturali e musei; è docente presso la Scuola Secondaria.

 

© Statua di Orazio a Venosa, Copyright Pixabay