Eleonora Rimolo (Salerno, 1991) è Dottore di Ricerca in Studi Letterari presso l’Università di Salerno. Ha pubblicato le raccolte poetiche Dell’assenza e della presenza (Matisklo, 2013), La resa dei giorni (Alter Ego, 2015 – Premio Giovani Europa in Versi), Temeraria gioia (Ladolfi, 2017 – Premio Pascoli “L’ora di Barga”, Premio Civetta di Minerva, Finalista Premio Fiumicino, Finalista Premio Fogazzaro) e La terra originale (pordenonelegge – Lietocolle, 2018 – Premio Achille Marazza, Premio “I poeti di vent’anni. Premio Pordenonelegge Poesia”, Premio Minturnae, Finalista Premio Fogazzaro, Finalista Premio Bologna In Lettere, Premio Speciale della Giuria “Tra Secchia e Panaro”, Segnalazione Premio “Under35 Terre di Castelli”). Suoi inediti sono stati pubblicati su “Gradiva”, “Atelier”, “Poetarumsilva”, “Poesiadelnostrotempo”, “Poesia2punto0” “Perigeion” e tradotti in diverse lingue (spagnolo, arabo, russo, francese, inglese, portoghese, macedone, rumeno). Con alcuni inediti ha vinto il Primo Premio “Ossi di seppia” (Taggia, 2017) e il Primo Premio Poesia “Città di Conza” (Conza, 2018). È Direttore per la sezione online della rivista Atelier.
Nuno Júdice
Tre inediti da “O Coro da Desordem”
Traduzione di Eleonora Rimolo
HIPÓTESE
A poesia é uma hipótese. Penso no que fazer
com esta hipótese, e ponho uma palavra
por cima dela. Depois, outra palavra. Ao fim de umas palavras,
tenho um princípio de frase que vou ter de cortar,
em qualquer sítio, para ficar com um verso, ou melhor, dois
versos, o que está antes do corte e o que está
depois do corte. Tenho, portanto, duas linhas que são
dois versos e, no fim da primeira linha, esse corte chamado
a cesura. Mas falta uma coisa para continuar: que a frase tenha
uma imagem, que nessa imagem haja uma ideia, e também
é preciso que tenha começado a sentir que estes versos
tenham um ritmo, ou seja, que neles se ouça aquilo a que se chama
a música das palavras. A hipótese, então, começa
a ficar cheia de coisas: imagens, ideias, música – e neste
momento já tenho muito mais do que dois versos, muito mais
do que palavras e do que ideias, e também mais do que
a música que, só por si, não chega para ser poesia. E a hipótese
que pus ficou resolvida neste poema que chegou ao fim
sem que eu desse por isso.
IPOTESI
La poesia è un’ipotesi. Penso a cosa fare
con questa ipotesi, e ci metto una parola
sopra. Poi, un’altra parola. Alla fine di una parola,
ottengo un inizio di frase che dovrò tagliare,
in qualsiasi punto, per avere un verso, o meglio, due
versi, quello precedente al taglio e quello
successivo al taglio. Ho, quindi, due righe che sono
due versi e, alla fine della prima riga, questo taglio chiamato
cesura. Ma manca una cosa per continuare: che la frase abbia
un’immagine, che questa immagine abbia un’idea, e pure
che tu debba iniziare a sentire che questi versi
abbiano un ritmo, ossia, ciò che in essi viene chiamata
la musica delle parole. L’ipotesi, così, comincia
a diventare piena di cose: immagini, idee, musica – e in questo
momento ho già molto di più di questi due versi, molto di più
delle parole e delle idee, e anche più della
musica che, così da sola, non è abbastanza per essere poesia. E l’ipotesi
che ho avanzato è stata risolta in questa poesia che si è conclusa senza
che io me ne accorgessi.
*
OFICINA
Entro no fumo das grandes chaminés das moagens,
sacudindo os insectos que se prendem ao carvão
das paredes, rasgando a névoa sulfurosa que me conduz
aos tanques de azeitonas esmagadas. Ouço de passagem
os gemidos de amor cruzarem-se com o bater de asas
cegonhas adultas, e os seus bicos batem na minha
memória. Navego um barco de cinzas por dentro
da nuvem deste fumo, e conduzo-o com o leme
roubado a um alambique de sonhos, batendo com o casco
nos recifes que me impedem de sair para a água
transparente palavra que procuro. «O meu nome?»,
perguntas. Sim, tenho-o dentro da cabeça, mas como
tirá-lo do armário em que o guardei, agora que
perdi todas as chaves da casa? Mas repito todos
os nomes que o teu nome condensa, e vejo sair
o teu rosto de uma destilação de sentimentos: o teu rosto
de olhos fechados, à espera que te peça que os abras
e possa ver, no seu fundo, o teu corpo inteiro
à luz quente deste candeeiro de palavras.
OFFICINA
Entro nel fumo dei grandi camini della macinazione
scuotendo gli insetti che si attaccano al carbone
delle pareti, squarciando la nebbia solforosa che mi conduce
ai serbatoi delle olive schiacciate. Sento di passaggio
i gemiti d’amore attraversarmi con il battito delle ali
delle cicogne adulte e i loro becchi battere nella mia
memoria. Navigo su una barca di cenere dentro
la nuvola di questo fumo, e guido con il timone
rubato a un distillatore di sogni, schiantando lo scafo
contro le barriere coralline che mi impediscono di entrare nell’acqua
trasparente della parola che sto cercando. “Il mio nome?”,
chiedi. Sì, ce l’ho dentro la testa, ma come
farlo uscire dall’armadio in cui l’ho tenuto, ora che
ho perso tutte le chiavi di casa? Ma ripeto tutti
i nomi il tuo nome raccoglie, e vedo uscire
il tuo volto di un distillato di sentimenti: il tuo volto
con gli occhi chiusi, in attesa che io ti chieda di aprirli
e possa vedere, fino in fondo, il tuo corpo tutto
nella luce calda di questa lampada di parole.
*
MOENDO O VERSO
Roubo a voz que me fala do espelho,
faço minha a sua entoação, cavalgo
o seu ritmo de veleiro a caminho
do estuário, recolho as suas pausas
no côncavo das mãos, e levo-as
ao ouvido para saber o que me diz
o seu silêncio, de que timbre é feita
a respiração que nasce da imagem
que o espelho projecta na minha
cabeça, e vejo as velas do moinho
rolarem nos meus olhos para que
neles se faça uma farinha de sons,
e eu as possa amassar como sílabas,
fazendo o pão luminoso do poema.
MACINARE IL VERSO
Rubo la voce che mi parla dallo specchio,
faccio mia la sua intonazione, cavalco
il ritmo del veliero sul cammino
verso l’estuario, raccolgo le loro pause
nel palmo delle mani, e le porto
al mio orecchio per sapere quello che mi dice
il tuo silenzio, di quale tono è fatto
il respiro che nasce dall’immagine
che lo specchio proietta nella mia
testa, e vedo le vele del mulino
rotolare nei miei occhi in modo che
in loro si crei una farina di suoni,
e possa impastarli come sillabe,
facendo il pane luminoso della poesia.
Fotografia di proprietà dell’autore.