Michele de Virgilio, Tutte le luci accese – Poesie 2011-2017, Ladolfi 2018
Nota di lettura di Alfonso Guida
Qui non si tratta tanto di letteratura, ma di umanità. De Virgilio scompone le sue giornate, vi trova inevitabilmente tessere di realtà. Come sa essere concreto questo giovane poeta. A Michele però sembra non interessi la poesia nel suo status letterario, astratto. Qui la poesia è funzionale a una lunga esperienza biografica. Tutte le luci sono state accese da un io non invadente, ma grato, portatore del sorriso senza del quale, diceva Chopin, non sarebbe possibile vivere. Michele ordina le sue storie più intime, i suoi fiori di siepe, i suoi nascondimenti segreti e non li impasta ai resoconti simpatici e volutamente leggeri del suo lavoro in un centro di riabilitazione di malati psichiatrici. Michele rasserena quando passa in rassegna le città viste, intraviste, sognate, non importa. E rende la disperazione una nuvola di primavera quando affronta le giornate dei malati o li fa parlare in dialoghi serrati, stringati, succosi, dialoghi origliati nei padiglioni dove è sempre luce sorvegliante. Nei reparti psichiatrici, lungo i corridoi, luci azzurrine restano accese tutte le notti. È la regola del controllo. Michele parla di queste luci ma anche delle luci festose di un giorno di liberazione, quando si aprirono i cancelli, e molti matti si inginocchiarono davanti a Basaglia. Spicca la tenerezza fraterna per Paolino, che davvero voleva vivere e lì, tra le gabbie, si è lasciato morire. Certi uccelli migratori, in stato di cattività, cominciano a beccarsi a sangue il petto fino alla morte. Si sappia. Tra i regni e le vite non c’è poi tanta differenza. È questo dato primeggia nelle poesie di Michele. È un libro che si legge con piacere. Io devo molto alla capacità di leggerezza con un dramma così imponente di questo giovane poeta. Qui la malattia non è esaltata e l’io autobiografico è contento perché è educato e resta al suo posto.