Il libro
Strumento di consultazione e di informazione, di memoria e di approfondimento, questo Dizionario della poesia italiana – curato da un gruppo di specialisti coordinato da Mario Fresa – presenta, al lettore, i nomi più significativi apparsi sulla scena della poesia italiana del secondo Novecento, offrendo un panorama aggiornato e una sintesi storico-critica che parte dagli anni del secondo dopoguerra per giungere fino ai giorni nostri. In circa duecentocinquanta schede (dalla voce “Accrocca” alla voce “Zeichen”), è qui presentato, con ampiezza di analisi critiche, di informazioni biografiche e di citazioni di versi, un esauriente quadro d’insieme e un’articolata rassegna delle figure, delle opere e delle correnti più significative della poesia italiana degli ultimi decenni. Il lettore vi troverà notizie e ragguagli critici non soltanto sui poeti più noti e conosciuti, ma anche su nomi e su libri di scarsa circolazione, spesso immeritatamente trascurati o sottovalutati. Una guida ricca e preziosa, realizzata da una équipe di oltre cinquanta collaboratori, che racconta le vivaci e complesse vicende della poesia italiana contemporanea, partendo dal 1945 per concludere con un’attenta ricognizione delle tendenze più attuali della nostra giovane poesia.
Tra i redattori dell’opera, oltre al curatore Mario Fresa, figurano Maurizio Cucchi, Plinio Perilli, Luigi Fontanella, Tiziano Rossi, Davide Rondoni, Eugenio Lucrezi. Alberto Bertoni, Cecilia Bello Minciacchi, Monia Gaita, Enzo Rega, Giuseppe Marchetti, Maria Borio, Marco Corsi, Sebastiano Aglieco, Matteo Zattoni, Mary Barbara Tolusso.
Il curatore
Mario Fresa (Salerno, 1973), critico e poeta, ha collaborato o collabora alle principali riviste letterarie: «Paragone», «Nuovi Argomenti», «Caffè Michelangiolo», «Almanacco dello Specchio», «Poesia», «il verri», «Nazione Indiana», «Semicerchio», «Gradiva». Esordisce in poesia con l’avallo di Maurizio Cucchi, sulle pagine di «Specchio della Stampa» e nella silloge mondadoriana Nuovissima poesia italiana (2004). Tra i suoi lavori, l’edizione critica del poema Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo di Gabriele Rossetti (2012) e l’edizione commentata e tradotta dell’Epistola mediolatina De cura rei familiaris di Bernardo di Chiaravalle (2012). Tra i suoi ultimi libri di poesia: Uno stupore quieto (2012); Svenimenti a distanza (2018); Bestia divina (2020). Ha ricevuto, di recente, il Premio Cumani-Quasimodo e, ad honorem, il Premio Internazionale Prata per la critica letteraria.
Di seguito, riportiamo la scheda dedicata a Dario Bellezza (a cura di Plinio Perilli).
Bellezza, Dario (Roma, 1944 – 1996).
Poeta e scrittore. Incoronato da Pasolini già al suo esordio (Invettive e licenze, 1971) come il miglior poeta della sua generazione, quella sfuggita alle maglie e agli equivoci della neoavanguardia, tenne sempre accesa in sé la fiamma di un autobiografismo lacerante e struggente, sensuale e drammatico, perfino autoironico, bruciatosi in nome di una disperata ed erotica “diversità”. Numerose le sue raccolte, sempre sul filo di un lirismo nudo e melanconico, maledetto e sarcastico, che persegue ma anche innova la lezione dei Penna e dei Pasolini, alle prese coi problemi e le ansie di una sterile, brumosa modernità; poeta puro – cioè a dire, poeta nato, creatura sublimata e tarata di poesia – B. è stato davvero l’unico della sua generazione (quella nata in piena guerra, negli atroci anni ’40) a godere e a soffrire i dolci, spinosi ossimori dell’essere poeta, prima ancora che il dionisiaco, esibito ardimento di sé stesso. Nessuno forse come lui ha patito e giocato con le stigmate di questo prezioso ma decaduto “status” emotivo, prima ancora che intellettuale, letterario. B., insomma, ha sopportato il peso del proprio piccolo, usuale dramma d’emarginazione, di “diversità” – nell’accezione più vasta, sia chiaro: perfino “storicistica” – con una verve autocritica, una sapienza leggera e scanzonata, degne d’un ritrovato, resuscitato autore latino: satirico ed esistenzialista, dall’elegia di miele fino all’agro dell’epigramma. Tormento ed estasi d’una dissociata, trasgressiva contemporaneità: «Di là ti masturbi senza lode / per la tua masturbazione. Poi / la luna mi sorride sprofondato / in un lupanare d’angoscia. // Non è tuo quel bianco corpo / diventato brunito per il sole. Non è / mio. Basta, pietà. Che tutta / questa caducità mi riempia / fino a scoppiare.». Dal «lupanare» della sua «angoscia», B. si confessa e ci parla – di poesia in poesia – attraverso un fitto, variato ma monotematico Libro d’Amore (un suo testo, appunto, dell’83), attraverso i cui sospiri, travagli, le palpitazioni stesse del denudarsi in lirica, ci affida un logorroico e consumato Super-Ego moderno, ben degno dell’aggettivo catulliano… Sempre ripiegata o tesa e vibrante in prima persona, l’esplicita, smaccata psicoanalisi di B. mai cessa d’interrogarsi, o, peggio, d’accusarsi del più intollerabile dei peccati, agli occhi d’una società occidentale mediamente meschina e ipocrita, seppur mascherata di democrazia: l’essere un individuo poeta. Ecco perché nei suoi versi sempre “pietà” faceva rima con “caducità”, e l’unico tarpato volo a disposizione è il rimpianto alato dell’angelo caduto, ribelle più per giovinezza che per scelta, luciferino ma in fondo autentico, sentìto esorcismo all’immenso Male del Mondo. La salvezza sempre è ritrovata e sempre l’amore c’induce a riperderla: «Ora alla fine della tregua / tutto s’è adempiuto; vecchiaia / chiama morte e so che gioventù / è un lontano ricordo. Così / senza speranza di sapere mai / cosa stato sarei più che poeta / se non m’avesse tanta morte / dentro occluso e divorato, da me / prendo infernale commiato.» Questi, gli accenti teatrali, monologati, del suo libro migliore, Morte segreta, Premio Viareggio nel 1976, l’anno dopo la scomparsa del suo grande scopritore e maestro ideale, Pier Paolo Pasolini. Piccolo Faust incarnato, ma al contempo perfetto “attore” recitante nel teatrino della pagina e della vita (B. giustamente non distingueva, come i veri poeti che vivono de-scrivendosi, e narrano di come la vita li deprivi), il giovane che nel ’71 proclamava, lanciava e invocava le sue amare, scandalose ma fiere Invettive e licenze («…O poeta spezzati. Travestiti / da insano. Vai dal nemico / a chiedergli perdono»…) – faceva a lungo e con commozione disquisire Pasolini, nella sua fervida presentazione, sul concetto medesimo di libertà gemellato e dissociato, insieme, alla pena e al rigoroso, arduo privilegio di fare il poeta: «…Himmler un po’ pretesco di se stesso, B. fa la spia della sua vita mal spesa, brancolando verso il futuro dove non lo attende nulla, se non la ripetizione del suo stato. Ma è questa la vera ‘carriera’ di un poeta. In una società razzista egli dovrà vivere per forza la libertà: ma non la cercherà (intuendo che la libertà non è desiderata dall’uomo, da nessun uomo)». Al di là della sottile, capziosa e specchiata analisi di Pasolini sull’«eccesso ostentato di coscienza» che «rivela da una parte in B. l’orrore conformista per la propria presunta colpa», mentre «dall’altra scopre in lui una capacità di illudersi che stringe il cuore», e dunque una purezza primigenia e incorrotta d’anima, una parodiata, finanche, ma intensa, lancinante adolescenza, cioè verità, emancipazione di giudizi, di gesti totalmente nudi, trasparenti d’impudicizia – B. cerca e anela una continua, soffocata preghiera a un fantasmatico ma pacificante «Dio di pietà», un Dio che sempre manca e sempre lo affama di Sé, lo cura, lo assiste. Come un rimorso laico, un nobile pensiero d’eterno – ben oltre gli oltraggi del Nulla, le felici condanne o maledizioni della carne, perfino i misticismi scritti, artificiosi e neoclassici della Poesia. La notte ora purtroppo mortalmente conchiusa della vita di B., il vetro stellare della sua luce – e poesia – senza speranza di vivere oltre i mondi e le età, ci lasciano così l’eredità cara e generosa del suo mondo, della sua età, semplice e libera nel desiderio, rivoluzionaria e sapiente d’intimismo: «Mi sveglio di soprassalto la mattina, / il cupo incubo vivo intatto risuscita e tutto, / tutto aggiunge dolore, mi strema; rinchiudo / allora nell’ulcerato cuore ogni calamità, o strazio / e svengo, deliro, canto, gemo, fingo, urlo, tremo / ma non apro gli occhi ciechi, li serro infiniti / al bacio del mattino, languido filtrando / la sua persa luce, sazia luce di Dio.»
La bibliografia poetica completa di B. comprende:
Invettive e licenze (1971); Morte segreta (1976); Libro d’amore (1982, 1992); Colosseo (1982); Io [1975-1982] (1983); Colosseo; Apologia di teatro (1985); Piccolo canzoniere per E. M. (1986); Undici erotiche (1986); Serpenta (1987); Libro di poesia (1990); Donna di paradiso (1992) [nuova edizione ampliata di Piccolo canzoniere per E.M.); Gatti e altro (1993); L’avversario (1994); Proclama sul fascino (1996).