Marco Colonna “Ho scritto questo salto” (Fara editore, 2019)
Lettura di Valerio Ragazzini
In tutto il volume di poesie, dietro al salto, alla libertà conquistata, c’è sempre un’ombra dolorosa che s’affaccia su di un abisso.
La prima parte del libro intitolata Della realtà si apre con il balzo di una ragazza da un parapetto. Colonna pone fin dalla prima poesia il punto in tutta la sua difficoltà: la ragazza fa un salto ed esce dal presente. La ragazza sembra entrare in contatto con il suo non-essere, con tutto ciò che non è stata, quasi che la vita e la morte insieme costituissero un unico frutto da dividere in due parti, quello che si è stati, e quello che non si è stati. Le parole della ragazza sono dure, scolpite nel cemento; il suo corpo si incunea proprio lì, tra la libertà e la morte. Colonna poi ci trascina sul ponte Morandi e poi sulle rive del fiume Milicia a contare le vittime dell’esondazione; ci porta dove la gente scompare, dove resta un vuoto accanto a noi.
Ecco allora aprirsi davanti ai nostri occhi la seconda parte Mise en abyme (Messa in abisso), l’autentica voragine dove è inevitabile perdersi:
Qui siamo siete carne / indistinguibile dal cielo / sarà di noi parola / brividi a fior di pelle / quando dei vivi gli animi / saranno pugni ed armi bianche / e il verbo di bocca in bocca / prenderà radici e diverrà / suono del risorgere perfetto.
In questo abisso i versi si fanno labirintici, prendono il via cantilene, aforismi, vortici di parole. Il poeta sprofonda e nelle correnti di buio riemerge di tanto in tanto, e il suo occhio coglie un accenno di resurrezione. Il bagliore lontano affiora nelle tenebre, si insinua in cerca della mano del poeta. In questa lunga notte la lotta è durissima.
In questo sterminato / microcosmo una voce / che ci avvolge vegetale / le raglio che si estingue / nell’umana parola morente / c’è l’immergersi più attenti / nel legarsi agli invisibili / alle madri alle radici / alle case degli assenti / luce che comprende / smarrimenti oscurità.
In questo abisso si ritrova il dolore concreto e tremendo, ricordi di cui disfarsi, porte che si aprono su ricerche vane; in questo abisso diventa necessario far ordine, cancellare, Disboscare le parole / tornare al deserto delle lettere, ad una realtà minima, purché vera. Soltanto così le macerie tornano bastioni. Cosa resta allora? Restano vuoti da colmare:
Di questa chiesa / restano le nuvole / che guardano attraverso, / mura crollate nell’abisso / della dimenticanza nostra.
Le tre parti che compongono il libro disegnano così un trittico che va dal dolore fino alla quiete del poeta, il quale ha imparato a vivere tra i ruderi dell’esistenza. Nel mezzo sta appunto l’abisso, la fossa entro cui si è inumati, la grotta buia dove giacciono le nostre membra in attesa di essere riscoperte, in attesa di resurrezione.
Ecco, io non vedo Colonna sospeso sul baratro, in bilico sulla corda, non lo vedo come un “leggiadro scalatore”; lo vedo nel fondo dell’abisso a togliere manciate di terra, aggrappato alle radici sporgenti. Qui, tra l’ubriacatura di alcuni aforismi e ‘taoismi’, tra soste e scoraggiamenti, si intravedono i sogni perduti e le occasioni mancate. Nella parte centrale, nel cuore del libro, dove i versi si fanno più difficili e ambigui, si risale verso la superficie un pugno di terra alla volta, fin dove il poeta potrà bagnarsi nuovamente nell’azzurro del cielo.