Nikola Madzirov, “Ciò che abbiamo detto ci perseguiterà” (Crocetti, 2025)

Nota di Silvia Patrizio

 

Più si avanza nella storia più ci si accorge che il dettaglio vanifica ogni pretesa di ‘sapere completo’.
Il suo cenno è arbitrario, le porte che spalanca infinite

 

Antonella Anedda, La vita dei dettagli
Donzelli Editore

 

 

Fin dalla prima lettura, fermandosi sulla superficie della stratificazione di significati che il testo rimanda, è l’attenzione al dettaglio a colpire di Ciò che abbiamo detto ci perseguiterà, raccolta edita da Crocetti del poeta, saggista e traduttore macedone Nikola Madzirov.

 

Un’attenzione sagace, uno sguardo che indugia sui particolari di una quotidianità «dove la nudità della condizione umana si rispecchia in un barattolo, un berretto, un taccuino», come osserva il traduttore dal macedone Piero Salabè nella sua Prefazione. «L’autore possiede una particolare maestria nel condensare la forte malinconia delle sue poesie in immagini semplici, limpide, in cui oggetti quotidiani come la ‘ciabatta di plastica / sulla battigia’ o una lampada che nessuno sostituisce, assurgono a metafora della provvisorietà esistenziale».

 

L’instabilità è cifra di un contesto storico come quello dell’ex Jugoslavia dove la caduta del comunismo alla fine del secolo scorso lascia spazio a un periodo storico di profondissime incertezze e a un destino individuale di perdita d’identità e forte precarietà: lo stesso Madzirov passa in pochi anni dalla nazionalità jugoslava a quella macedone e, infine, a quella di macedone del nord. «Pochi poeti hanno reso conto come lui», si legge sempre nella Prefazione, «della vita nuda dei rifugiati che non possiedono che il proprio corpo. Madzirov vede riflesso il loro destino nel suo proprio cognome, la cui radice araba ‘mujahir’ significa ‘senza patria’».

 

Lo sfondo, da cui il poeta non è mai veramente in fuga, è quello della guerra, riflessa nell’ambientazione desolata della periferia dell’Europa dove il paesaggio è solcato da edifici decadenti, cabine telefoniche, rovine e antenne paraboliche che discutono con gli angeli. Ma la guerra non è mai in primo piano, non invade mai lo spazio della riflessione personale e dell’interrogazione esistenziale:

 

Lontano è l’istante che mi chiede ogni giorno
‘è questa la finestra? È questa la vita? e io rispondo
‘sì’, ma in realtà ‘non so’, non so se
gli uccelli parleranno mai senza dire ‘Guerra’.

 

Sembra addirittura che questo sfondo conflittuale resti un dato innominabile, una semplice eco che giunge da lontano attraverso il filtro di un’altra lingua, come il cinguettio degli uccelli, o di una memoria recisa:

 

Siamo i resti di un’altra epoca.

Ecco perché non posso
parlare della casa o della morte
o di dolori prevedibili.

 

 

Lo sradicamento, l’impossibilità di abitare e abitarsi stabilmente, diviene cifra antropologica dello stare al mondo, condizione ontologica che, al di là del dato biografico personale, viene a caratterizzare l’essere umano come apolide: La mia assenza è una conseguenza / di tutte le storie raccontate e mancanze programmate.

 

Spesso è proprio il corpo con la sua gestualità a costruire case immaginarie dove cercare un rifugio, sebbene precario: Separo le mani e unisco le dita / per formare un tetto, o ancora: Tengo una casa nel palmo delle mani -/ una cappella per pregare nel cortile di un ospedale.

 

Nel saggio significativamente intitolato Casa, un luogo che si lascia, l’autore, incorporando in modo irrisolto il dramma della sua esistenza, racconta: «Non mi sono costruito una casa, per ciò non ho nulla da lasciare dietro, anche se sposto il mio corpo-casa da un luogo in un altro, da una verità geometrica in un’altra».

 

Forse la poesia può accogliere finalmente il corpo-casa nella geometria stabile della pagina?

La risposta del poeta sembra esplorare questa possibilità.
Ma soltanto se ogni singolo verso si rende capace di farsi plurale, condensare la memoria in un crocevia di voci: Con le nostre case in rovina si spostava il mondo, / la memoria, la memoria.

 

Tutti i fiori bianchi e neri sulla carta da parati
delle case che abbiamo abbandonato
germogliano fra storie senza viso
proprio quando le nostre parole
divengono un’eredità non trasferibile
e quanto vorremmo toccare
diviene la presenza di un’altra persona.

 

 

La letteratura come spazio corale – ora il mio sangue è un rifugiato che appartiene / a più anime e ferite aperte – diviene nel contempo testimonianza, attestazione di una verità provata dal ‘corpo a corpo’ con quell’invisibile e tenace interlocutore che è la storia: ciò che abbiamo detto senza testimoni / ci perseguiterà per molto tempo.

 

Testimonianza che può, al limite, trasformarsi in denuncia, seppur sempre delicatamente sfiorata attraverso lo sguardo penetrante della poesia:

 

Sono disperso tra eredità e giuramenti inflessibili
dietro le persiane di destini abbassati.
La storia è il primo confine che devo passare,
aspetto la voce liberata dall’unisono dell’ubbidienza
per rendere conto della mia distanza.

 

 

Così, i secchi sbilenchi, il quaderno di calligrafia, il sedile del bus, l’anguria, la barchetta di carta, i bottoni del pigiama, tutti gli oggetti inquadrati nel dettaglio dall’occhio del poeta cercano l’attenzione del lettore perché capaci di condensare enigmaticamente la potenza di un sentimento e insieme la violenza della storia:

 

Era tempo di pace quando me ne son andato:

il morso nella mela non si era ancora scurito,
sulla lettera c’era un francobollo con una vecchia casa abbandonata.

 

 

Nell’esemplarità di questi versi, che restituiscono l’assenza come fosse intrappolata in una natura morta, emerge la particolare traiettoria dello sguardo della poesia capace di parlare col “coraggio di una stella / spostata” di “Cose futili / che non faremmo mai / se non fossero state scritte”.

 

La custodia dei dettagli sembra l’unica soluzione allo sgretolarsi inesorabile del reale, per quanto radicalmente incapace di supplire a un sapere esaustivo, alla mancanza di un senso dell’insieme, come finemente osserva Antonella Anedda ne La vita dei dettagli:

«Lo sguardo non riunisce ma scompone, libera i dettagli dal quadro, lascia che diventino un altro quadro. La storia non viene raccontata, ma solo resa possibile. L’enigma del riconoscimento in fondo è quello di una realtà della quale dubitiamo, per questo può ferire, per questo può consolare».

 

 

Silvia Patrizio

 

 

 

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Casa

 

Un tempo vivevo ai bordi della città
come un lampione
a cui nessuno cambia la lampada.
I muri erano tenuti assieme dalle ragnatele
i nostri palmi invece dal sudore.
Ho nascosto il mio orsacchiotto
nelle fessure della muratura rimaneggiata
per salvarlo dai sogni.

Giorno e notte scuotevo la soglia
come un’ape che
torna sempre allo stesso fiore.
Era tempo di pace quando me ne sono andato:

il morso nella mela non si era ancora scurito,
sulla lettera c’era un francobollo con una vecchia casa abbandonata.

Da quando sono nato migro verso luoghi silenziosi.
Attaccato ai miei passi c’è un vuoto
come la neve incerto di appartenere alla terra
o all’aria.

 

 

 

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Ciò che abbiamo detto ci perseguiterà

 

Abbiamo dato un nome
alle piante selvatiche
che crescono dietro agli edifici in costruzione,
e a tutti i monumenti
dei nostri invasori.
Abbiamo battezzato i bambini
con i nomi affettuosi
trovati nelle lettere
lette una volta sola.

Abbiamo poi, di nascosto, decifrato le firme
in fondo alle ricette
per le malattie incurabili
e col binocolo abbiamo ravvicinato
le mani che ci salutavano
dalle finestre.

Abbiamo lasciato le parole
sotto le pietre assieme alle ombre sepolte,
sulla collina che conserva l’eco
di antenati che non compaiono
nell’albero genealogico.

Ciò che abbiamo detto senza testimoni
ci perseguiterà per molto tempo.

In noi si sono stipati molti inverni
che nessuno ha mai menzionato.

 

 

 

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Le città che non ci appartengono

 

Nelle città sconosciute
i pensieri vagano sereni come le tombe
di saltimbanchi dimenticati,
mentre i cani abbaiano ai cassonetti e
ai fiocchi di neve che cadono dentro.

Nessuno ci nota nelle città sconosciute
come un angelo di cristallo in una vetrina
mai aperta o come le scosse di assestamento
che spostano solo ciò che è già crollato.

 

 

 

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Il poeta, saggista e traduttore macedone Nikola Madzirov è nato nel 1973 a Strumica, vicino al confine con la Bulgaria e la Grecia, in una famiglia di esuli delle guerre balcaniche. E’ considerato  uno dei maggiori poeti contemporanei nella scena internazionale e della generazione post-sovietica. Le sue opere sono state tradotte in più di quaranta lingue e alcune sue poesie sono state musicate da noti artisti come il compositore jazz Oliver Lake, collaboratore di Björk e Lou Reed. Le sue raccolte poetiche gli sono valse importanti premi internazionali come: il premio internazionale di poesia Hubert Burda per gli scrittori nati nell’Europa dell’Est, il premio internazionale di poesia N.C. Kaser (2025) e il premio Xu Zhimo Silver Leaf per la poesia europea al King’s College di Cambridge nel Regno Unito (2016). Gli sono state concesse numerose borse di studio internazionali tra cui: International Writing Program (IWP) presso l’università dell’Iowa, DAAD a Berlino, Civitella Ranieri in Italia, Marguerite Yourcenar in Francia. E’ uno dei coordinatori del network internazionale di poesia Lyrikline, con sede a Berlino.

 

 

Silvia Patrizio nasce a Pavia nel 1981. Dopo il liceo classico si laurea in filosofia, specializzandosi successivamente in filosofie del subcontinente indiano e lingua sanscrita. ‘Smentire il bianco’ (Arcipelagoitaca, 2023), la sua prima raccolta poetica, con prefazione di Andrea De Alberti e postfazione di Davide Ferrari, vince la III edizione del premio nazionale Versante ripido (2024) e il primo premio assoluto alla XVI edizione del premio nazionale Sygla – Chiaramonte Gulfi (2024), classificandosi anche al primo posto nella sezione poesia edita del medesimo premio. La silloge ha ricevuto, inoltre, una segnalazione ai premi nazionali Lorenzo Montano 2023 e Bologna in Lettere 2023 ed è risultata tra i finalisti del premio Pagliarani 2024. Suoi testi compaiono su diversi lit-blog e riviste, sia cartacee che online, tra cui L’anello critico 2023 (Capire Edizioni, 2024); Metaphorica – Semestrale di poesia (Edizioni Efesto, 2024); GradivaInternational Journal of Italian Poetry (Olschki Edizioni, 2023); Officina Poesia Nuovi Argomenti (2023); Inverso – Giornale di poesia (2023); Universo PoesiaStrisciarossa (2023). Fa parte della redazione della rivista Atelier Online.
Tutte le sue passioni stanno nei dintorni della poesia.

 

 

 

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© Fotografia di Thomas Kierok.