LETTURE: dicembre 2016

LETTURE CINQUANTA FOGLIE   LETTURE LORETO LETTURE: dicembre 2016
di Giuliano Ladolfi

 

Cinquanta foglie

Paolo Lagazzi mi manda un testo intitolato Cinquanta foglie. Tanka giapponesi e italiani in dialogo (Bergamo, Moretti & Vitali, 2016) da lui curato. Subito il titolo mi incuriosisce perché il tanka è una forma lirica molto antica, precedente il celebre haiku di soli tre versi. Il risvolto di copertina spiega che il ruolo di questa struttura poetica comincia nell’ottavo secolo d. C. e prevede una sola strofa di cinque versi privi di rime, così divisi: quinario, settenario, quinario, settenario, settenario. Nel passato era usato soprattutto come veicolo di messaggi amorosi o di scambi di pensieri tra amici.
Lo studioso con il consueto gusto ha scelto venticinque tanka giapponesi recenti e li ha proposti in traduzione italiana a venticinque poeti poeti italiani invitandoli a rispondere con lo stesso schema. Questi sono stati tradotti in giapponese e ne è uscito un lavoro di grande pregio.
Natura, affetti, contemplazioni, paesaggi rimbalzano da un cuore all’altro. Il tanka, presentando una configurazione strofica più estesa rispetto all’haiku, permette una più ampia libertà di ispirazione ed essendo di natura dedicato alla comunicazione, si serve di registri condivisi.
Bellissimi i due scambiati tra Yoshimi Kondo:

          Nel buio bosco
          sfuggendo alla rete
          aggrovigliata
          come fossi il fantasma
          d’una pantera nera.

e Giancarlo Pontiggia:

          Nel bosco della mente
          uve, mieli, ombre – orci
          di un tempo felice. Irrompe
          con stridi, con becchi
          l’istrice della notte.

 

Paola Loreto: una ricerca interiore

Testi brevi, quasi come singhiozzi, come schegge che penetrano nella mente del lettore, caratterizzano la raccolta di poesie di Paola Loreta, case spogliamenti (Torino, Aragno, 2016), al punto che ognuno di essi meriterebbe una riflessione appropriata e un particolare commento.
–“case”: continui approfondimenti a domande precedentemente affacciate alla mente;
–“spogliamenti”: estrema sinteticità (grande pregio) stilistica, alla quale non potresti sottrarre neppure una sillaba, espressione di un rigore interiore che si tramette alla scrittura.
Il problema del limite umano viene immediatamente posto innanzi al lettore:

          Il limite che entra nella vita
          come una lama non fa male.
          Separa chi sono da chi sarei
          potuta essere. Sventra il sogno
          di divenire. Come un occhio
          che vede solo di fronte,
          guarda l’inevitabile.

Da Omero in poi, per rimanere all’interno della nostra tradizione, sotto spoglie religiose, filosofiche, poetiche, ma soprattutto esistenziali, questo problema si ripropone a noi con urgenza quotidiana, producendo uno scontro incessante, talvolta evitato, talvolta devastante soprattutto quando irrompe lo scacco, la malattia, la morte. «Sventra il sogno»… forse il sogno, come l’arte, è la più completa realizzazione di un essere capace di superare ogni barriera; è il regno dell’onnipotenza. Non a caso costituisce la caratteristica principale dell’adolescenza.

          O natura, o natura,
          perché non rendi poi
          quel che prometti allor? perché di tanto
          inganni i figli tuoi?

esclama Giacomo Leopardi quando paragona i suoi sogni con la realtà, l’attesa con la realizzazione, l’onnipotenza con il limite.
Ma la Loreto non si chiude nella commiserazione e, come Sbarbaro, ha il coraggio di guardare l’inevitabile, riuscendo anche a superare l’umana disperazione: «La morte non danneggia la vita. / […] / Completa la corsa», anche perché potremmo essere «la causa / del nostro dolore». Al sogno di abitare mondi diversi, la poetessa obietta che «l’importante è averne uno / vicino al cuore», perché «una casa è dove / non fai rumore».
Nella terza parte troviamo un atteggiamento meno “introflesso”, rivolto cioè a un interlocutore cui rivolge continue domande: «Dove va il nulla? nel nulla? / e il bene, nel bene? / Ci deve essere un posto». Risuona in questi interrogativi l’eco di secoli di pensatori, filosofi, poeti, romanzieri, persone comuni di ogni razza e di ogni età: «Ci deve essere»…
Ecco le illusioni foscoliane, l’interrogativo leopardiano alla luna:

          Pur tu, solinga, eterna peregrina,
          Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
          Questo viver terreno,
          Il patir nostro, il sospirar, che sia;
          Che sia questo morir, questo supremo
          Scolorar del sembiante,
          E perir dalla terra, e venir meno
          Ad ogni usata, amante compagnia.

come pure la ricerca montaliana del miracolo «che non era necessario», gli uomini impagliati di Eliot, il Kant della Critica del Giudizio, Ludwig Wittengstein… e tutti gli spiriti più sensibili, i quali hanno compreso che, una volta rotta la sintesi classico-cristiana nel Seicento, la cultura occidentale non è più riuscita a costruire un sistema di interpretazione dell’esistenza in grado di rendere ragione dei quesiti esistenziali (cfr. La poesia del Novecento: dalla fuga alla ricerca della realtà, vol. I). Sarà un mio personale “Idealtypus” per interpretare la situazione del pensiero contemporaneo, ma trovo continue conferme.
La sezione IV prevede attraverso la conquista di un “noi” il recupero un atteggiamento “eroico” (per usare termini della critica leopardiana), che comporta uno spirito fiero e combattivo come quello della prima sezione, ora però arricchito dal piano “pratico” e non più soltanto speculativo: «Non esiste una vita / passiva» e «ci vuole una casa», «il limite»: «La pulisco / la guardo / la tocco». E poi «Può esserci una casa / senza la gioia?». No di certo, perché «La nostra capacità di infinito / è l’incapacità di immaginare / la misura del dolore».
La Loreto è una scrittrice che provoca, “impegna”, costringe a guardare in faccia alla realtà, a calarsi dentro di sé. Non dà tregua, incalza. I suoi versi sono “realistici” non nella misura in cui parlano del mondo esterno, ma nella misura in cui prendono per mano e conducono a confrontarci con quella “realtà” che prima o poi affiora nella vita di ogni uomo, con quelle domande che pulsano continuamente e che nessun divertissement può nascondere o superare. Haec pagina hominem sapit. (Cfr. anche la bellissima presentazione di Giancarlo Pontiggia pubblicata sul n. 79 di «Atelier», settembre 2015).

 


Ogni testo che giunge in redazione è un regalo che ricevo da chi intende confidarmi i suoi segreti. Per questo aspetto il momento favorevole per dedicarmi al più bell’esercizio che comporta la direzione della rivista: leggere le pubblicazioni di chi attende una risposta.
Raramente gli impegni mi permettono di essere tempestivo, per cui durante particolari momenti, come le vacanze al mare, mi ritaglio quell’angolino per dedicarmi al colloquio con coloro che tramite la poesia divengono amici.
Sarebbe interessante anche discutere direttamente con ciascuno di loro sul testo, ma proprio non è possibile.
Fin dal primo anno abbiamo sempre cercato il colloquio con i nostri lettori e con i poeti e questo obiettivo continua a collocarsi tra le priorità del nostro lavoro.
Purtroppo non è semplice rapportarsi quando non ci sono gli indirizzi personali. Anzi, colgo l’occasione per invitare coloro che inviano le pubblicazioni a inserire il loro indirizzo di posta elettronica. In questo modo il contatto diventa più semplice e immediato.

Grazie

G.L.