Letteratura e covid19: narrazioni e contronarrazioni.
di Eleonora Rimolo
Atelier vi propone la lettura di un racconto di Antonio Tabucchi, dal titolo “Notte, mare o distanza”, incluso nella raccolta “L’angelo nero” (Feltrinelli, 1990). In questo racconto ci sono diversi personaggi, sostanzialmente divisi tra chi inquisisce, che pare sapere quello che fa e deve fare, e chi è inquisito – che appare come indifeso, goffo, ridicolo. La narrazione appare spietata, avviluppata tra le trame della memoria e dell’immaginazione, aperta al gioco beffardo della vittima e del carnefice, un gioco condotto a partire da una abituale riunione tra poeti che leggono versi, li commentano, brindano a quello che viene considerato “un buon viatico”, cioè la poesia. “In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?”: Indro Montanelli scriveva questo in altri tempi mentre oggi i quotidiani nazionali recitano “Colpo di tosse al supermercato: c’è chi urla Fatelo arrestare”. La paura potrebbe condurre ad una condizione semipermanente di terrore e di richiesta spasmodica di ipercontrollo a tutti i costi? D’altronde il metodo cinese affascina ed è fonte di invidia per alcuni, oltre che restare l’unico testato con notevoli risultati: probabilmente è anche per questo che, in preda al panico, il governo italiano ha deciso di condurre un esperimento sociale che in qualche modo porta alle estreme conseguenze l’impostazione metodologica cinese – che agiva in modo drastico ma comunque localizzato. Cosa sta accadendo nel paese reale? Analizzando in maniera asettica l’andamento della società negli ultimi dieci giorni (se è vero, come dice Gramsci, che studiare un qualsivoglia fenomeno “è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza“) – cioè da quando si è stati sottoposti a quarantena per un’emergenza sanitaria che di fatto è stata dichiarata pandemia dall’Oms, della quale solo a posteriori si potranno calcolare reali danni e conseguenze – non è possibile evitare alcune domande ed elaborare alcune riflessioni. Se c’è qualcosa che forse oggi deve fare l’intellettuale è, dopo aver ammesso il proprio fallimento come ipotetico fautore di una qualche coscienza di classe, osservare ciò che lo circonda, tentandone un’analisi, e offrendo strumenti di sincera umanità e opportunità morali di ricostruzione e di condivisione. Certo le macerie che questa storia lascerà dietro sé saranno tante, e non solo di natura “sanitaria”: le testimonianze raccolte in questi giorni parlano di un Paese in cui sicuramente risulta emblematico l’invito degli amministratori a “segnalare” i casi sospetti, in una folle, feroce caccia all’untore. Il popolo risponde, opponendo il proprio patriottismo nazionalistico a qualsiasi cosa: è pronto a denunciare il proprio vicino se questo mette il naso fuori di casa senza (in apparenza) un valido motivo in nome dello Stato italiano (di cui si canta l’inno ogni sera alle 18.00), affinché ci sia una ritrovata libertà, senza ulteriori ritardi (come se dipendessero soltanto da noi). Sassi, sputi, secchi d’acqua, invettive, lattine e uova sono stati lanciati dai balconi in questi ultimi tre giorni contro i passanti, in tutta la penisola, e non solo: diversi sono i filmati che girano in rete e che ritraggono spesso anche minori, in barba a qualsiasi legge di tutela della privacy, pur di mettere alla pubblica gogna un capro espiatorio. Episodi isolati? Non è dato sapere. Certo vanno registrati, e devono aiutarci a capire cosa sta accadendo: è giusto che le problematiche che purtroppo affliggono la sanità pubblica spingano il cittadino a schierarsi con ferocia contro il suo prossimo? È indicativo leggere di una maggioranza della popolazione che inneggia all’uso delle armi, dell’olio bollente, delle torture e della malattia mortale contro chi viene visto in strada (ripeto, senza appurarne il reale motivo: dopotutto lo Stato ha lasciato la possibilità al singolo cittadino di recarsi a fare la spesa, in farmacia, dal proprio medico, in banca, etc.) e invoca l’esercito armato, lo stato di guerra, lo Stato di polizia o quello militarizzato, che dir si voglia. In quale direzione si sta andando e, in questi giorni di frenetica angoscia che attanaglia i più, che ruolo dovrebbe avere l’intellettuale, specificamente? E chi penserà ai senzatetto, quelli che sono stati denunciati dalle autorità perché ciondolanti in strada, perché impossibilitati di fatto a tornare al proprio domicilio, perché esso non esiste, così come non esiste altro che l’ipotesi della strada per tanti che vivono alla giornata, elemosinando un lavoro, una carità, qualsiasi forma di sopravvivenza in nome di una pietà che in troppi hanno dimenticato? Ciò che deve spingere alla resistenza oggi è la fede cieca nel desiderio della vita: e se militare significa affiancare la realtà e cercare di intervistarla, senza inquisire ma con la volontà di scoprire, allora anche noi dobbiamo porci un obiettivo, dobbiamo adempiere ad un compito, lanciando un messaggio, provando a restituire la speranza di una perduta umanità e di una possibile ricostruzione a tutti quelli che in questo momento davanti a sé vedono solo macerie.
Clicca qui per leggere il racconto di Tabucchi tratto da L’angelo nero: https://docplayer.it/47235410-Antonio-tabucchi-l-angelo-nero.html.
Nell’immagine: Claudio Parmiggiani – Parla anche tu, 2005.