Ida Travi ha scritto anche per la musica e il teatro. La sua poetica si inscrive nel rapporto tra scrittura e oralità. In prosa ha pubblicato L’aspetto orale della poesia, Selezione Premio Viareggio 2001, III° edizione Moretti&Vitali, 2007; Poetica del basso continuo: la voce, la scrittura, le immagini, Moretti&Vitali, 2007. Per lo stesso editore ha pubblicato le raccolte La corsa dei fuochi 2006; Neo/Alcesti 2009; e la sequenza poetica che comprende TA’ poesia dello spiraglio e della neve, Selezione Premio Viareggio 2011; Il mio nome è Inna, 2012; Katrin Saluti dalla casa di nessuno, 2013; Dora Pal, la terra, 2017. Suoi radiodrammi eseguiti dal vivo con musiche originali di compositori contemporanei. Per Baldini Castoldi Dalai ha pubblicato l’atto tragico Diotima e la suonatrice di flauto, nel 2004.
Ida Travi
Un testo di poetica (in prosa)
I Tolki, i parlanti
di Ida Travi
sequenza poetica in quattro libri
Sequel
Portare il tempo-sequel in poesia era per me, all’inizio, solo un’intuizione, ma poi si è trasformata in forma. Serie, o meglio, sequel. In che senso? Sequel indica nel linguaggio cinematografico o della letteratura, un’opera che presenta personaggi o eventi spostati nel tempo rispetto all’evento iniziale, o comunque già rintracciabili nella sequel stessa, all’interno della stessa unità concettuale. La sequenza poetica che a partire dal 2010 ho sviluppato attraverso quattro libri mostra le persone e gli angoli d’un mondo immaginario : i quattro libri sono Tà poesia dello spiraglio e della neve; Il mio nome è Inna; Katrin saluti dalla casa di nessuno; Dora Pal, la terra. Le persone sono i Tolki, i parlanti. Sono esseri umani, e vanno da un libro all’altro. Sono esseri comuni, non necessariamente posteriori, cambiano tratti ma restano immobili nel nome, come noi. Alessandra Pigliaru in postfazione parla di esistenze che disfano la nascita per rinnovarne l’imprevisto.
Il nome collettivo
I Tolki. La stranezza di questo nome collettivo si aggancia al verbo inglese to talk, verbo all’infinito, nella pronuncia corroso dal tempo. Attraverso uno slittamento sonoro e di senso, questo verbo pronunciato in maniera approssimativa qui si trasforma poeticamente in Tolki, e indica i parlanti. È una specie di omofonia brutale, popolare. Un meticciato. Si scrive Tolki e si legge Tolki, non c’è differenza tra scritto e parlato. La vecchia, la ragazza, l’uomo. Il bambino…. Parlêtre direbbe Lacan, parlesseri, esseri marchiati dal linguaggio. I Tolki parlano una lingua ridotta all’osso, usano la parola come fosse un rastrello, una vanga.
La dissolvenza fino al minimo
Dove ci sono i Tolki qualcosa continuamente dissolve nel linguaggio. Anche chi legge dissolve nel linguaggio, fino al minimo, fino alla consunzione in poesia. Nei luoghi abitati dai Tolki corre sempre il vento, a tratti cade la neve. Dal primo libro di tanti anni fa, questi esseri non fanno altro che star lì nel vento, non fanno che andare e venire sopra e sotto la neve. Inna, Katrin, Sunta, Olin , Sasa, Zet, Van, Usov, Attè, Dora Pal… Aspettano. Ma cosa?
La spoliazione in atto
La direzione del tempo è misteriosa e questi angoli di mondo – i luoghi – sono diversi e simili. Si tratta di luoghi guardati con ostinazione, miseri luoghi in cui è ancora possibile confessare l’ infanzia: qualunque sia il luogo, si dà come un magazzino semivuoto. Esseri e luoghi si somigliano: c’è una spoliazione in atto. C’è una corsa sfrenata all’interno di una miniatura. Sono luoghi crudeli come un orologio al muro. Si tratta di luoghi futuribili o pura archeologia, spazi dove per aderire al proprio nome, è necessario sdraiarsi per terra.
La confessione dell’infanzia
Un sottoscala, o lo scantinato di un teatro, un vecchio cotonificio. Un ammasso di grembiuli, una tettoia, un capanno dove stanno accatastati molti sacchi di farina. Dal primo spiraglio di Tà, con l’occhio incollato alla fessura tra le assi: tutto ciò coincide con il buio che circonda un lampo, coincide con la terra, coincide con ogni luogo contaminato dall’arte. Coincide con certe isbe desolate nei romanzi della grande letteratura russa, però spiate attraverso i tagli di Fontana. O coincide con la faccia della terra, sì, all’ingiù, come memoria dal sottosuolo, o il deposito di legna dei Ragazzi della Via Pal. Sempre prima o dopo la catastrofe. Siamo salvi o no? Luoghi dove tutto si fonde, si riduce al minimo per essere espulso con un colpo di tosse o una goccia di sudore, in cerca di dimenticanza, niente altro che dimenticanza. E invece…
L’orfanatrofio-mondo
I Tolki s’intravedono oltre il taglio nella tela, quando incolli l’occhio allo spiraglio. I Tolki inscenano una specie di famiglia, ma non sono una famiglia. Sono gli orfani del libero collegio- mondo. Il libero collegio-mondo è un campo, un luogo abbandonato. Dove sono i padri? Dove sono le madri? Un Tolki è quello che è, vive un essere abbandonato a se stesso, come un figlio, come un fratello, come una sorella, come un padre, come una madre. Ma non è un padre, non è un fratello, non è una sorella… Un Tolki, non è un bambino. È uno sradicato. È simile a un albero, sradicato. Esseri e cose vanno da un bivacco all’altro, nel tempo. Ogni giorno ci abbandona il padre, ogni giorno ci abbandona la madre… e tra padre e madre, tra un essere e un altro essere, la distanza non fa che crescere, fino alla lontananza, fino all’addio, più avanti, più avanti, fino al riconoscimento su questa terra.
Tolkien
Ho scritto la sequenza poetica sui Tolki in otto anni. L’ho scritta come se non fosse mai esistito un J.R.R. Tolkien. Mai più riletto Tolkien dai tempi della scuola! Eppure Tolki, Tolkien… Come ho potuto non sentire l’assonanza? Che succede là sotto, nella zona in cui si formano le idee, che accade là sotto, dove tutto s’intreccia a nostra insaputa? Come bambini malati. Guariremo da questa malattia mortale? Qui, su questa terra, bisogna inventarsi qualcosa. Forse è l’associazione delle idee, forse è l’invenzione la cura, e la cura è il contrario della dimenticanza. E la dimenticanza è il contrario dell’addio, il viaggio di ritorno verso qualcuno che potrebbe essere tuo padre, tua madre.
Il bambino malato
Certo. Il bambino malato guarirà: sarà un capovolgimento improvviso, un rapido mutare del male in bene. Cos’è questo mutare di segno? Cosa si aspetta qui, in questa poesia?
Eucatastrofe
In una lettera per il figlio Christopher, malato da tempo, Tolkien inventa una parola: “eucatastrofe”. Nella lettera Tolkien racconta d’un bambino malato da tempo che, improvvisamente e senza ragione, guarisce dalla sua malattia mortale: eccolo, è il capovolgimento improvviso del male in bene, e a questo capovolgimento dà un nome eucatastrofe. (Lettere 101).“…una grazia improvvisa e miracolosa, una grazia su cui mai una persona deve contare nei suoi piani. Non salva dall’esperienza del dolore e del fallimento ma nega la sconfitta come definitiva, universale.”
L’impeto di gioia
Sì, il corso negativo degli eventi a volte viene interrotto da un mutamento improvviso che porta con sé un impeto di gioia e trasforma il negativo in una specie di miracolo, o una fiaba. Ma certo! È la parola! È il racconto, è la poesia. Molte figure aspettano oltre lo spiraglio, su questa terra. Molti, dentro e fuori dalla letteratura, si mettono a parlare e a scrivere per testimoniare, con forza utopica, quella strana forma di redenzione che viene dal pericolo che suscita ogni storia.
Lo spiraglio di Tà
Da questa colossale forza utopica, tanti anni fa nasceva nel mio immaginario lo scenario di Tà: uno scenario senza tempo, eppure futuro, ancora di là da venire… “li vedi per un attimo, passano davanti allo spiraglio. S’affacciano allo spioncino. “… mi senti ancora, Olin? Tutto è così familiare, tutto è così misterioso…” (I.T.)
Tutti i libri in elenco sono editi da Moretti &Vitali dal 2011 al 2017
In poesia
Tà poesia dello spiraglio e della neve, 2011
Il mio nome è Inna, 2012
Katrin, saluti dalla casa di nessuno, 2013
Dora Pal, la terra, 2017
In prosa
L’aspetto orale della poesia, I° ediz. 2000, III° ediz. 2007
Poetica del basso continuo – la voce, la scrittura, le immagini 2015
Fotografia di proprietà di Dino Ignani.