Guglielmo Aprile, inediti

Rumore di fondo

La betoniera fa un rumore sordo,
un po’ un monito e un po’ una litania;

soffochi quella nota
nel chiacchiericcio o con vari rimedi
a carattere oppiaceo,

la stordisci nel verso
più ampio delle onde
o in quello, più delicato, dei merli,

o nelle giostre o nella frenesia
dei tanti giochi di società oggi in voga;

ma essa dal suo spartito non deroga,
e vince le stagioni
e fa scoppiare le orecchie alle stelle.

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La vendetta delle maree

Prendi l’omega tre
appena sveglio e conta fino a dieci
tenendo in bocca la balla di ferro,
tanto fra poco
cadrà l’asteroide;

le lenzuola
spiegazzate decifrano una data
che non ammette deroghe;

solo resta la polvere,
quoziente universale
di ogni materia che assomigli al fiume.

Vela gli specchi, chiudi bene a chiave,
ogni giorno potrebbe essere l’ultimo.

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Rimedi provvisori

Ci procuriamo i posti più avanti nella fila
quando distribuiscono agli incroci
a ciascuno un fiammifero;

ma tanto, da qui a poche ore,
dovremo evacuare questa città,
con la sua curiosa popolazione
che parla per palindromi
e cammina a testa in giù (città
amabile malgrado la sua pianta
dalla complessità a tratti scostante):

la donna dallo strano abito viola
e un becco di rapace come maschera
a coprirle la faccia
passa casa per casa,
sento già la campana
smorzata dal fondo dei vicoli
che si avvicina.

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Macchina insonne

La mitosi cellulare moltiplica
forchette di plastica senza numero
fatte in serie, uguali fra loro, e perpetra
la sua catena, quasi per inerzia.

Questa macchina insonne
ha una muscolatura efficientissima,
e a pieno regime produce
fazzoletti usa e getta, scale ad un braccio solo;

anaffettiva arbitra e garante
dei protocolli, è essa sola a gestire
tutte le mappe, e una volta azionata
non ha bisogno di interventi esterni:

procede con zelo fino a che ha assolto
l’ordine dato, e nemmeno si cura
dei nostri reclami formali
sul piano retorico inoppugnabili.

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Leva dei mondi

Venere ha golfi fertili, torniti
e regna sull’argilla
in cui tracciamo rotte navigabili,
quanto sugli avannotti nella torba.

Uomini e protozoi, cerchiamo tutti
una maniglia, un fulcro
alla sete delle onde,
alla corsa dei ballatoi.

Le strade scalze e sudate si inseguono
intorno ad un lampione
dalle orbite vuote: punto zero
della folla, non individuabile

centro dei cieli e madre delle ombre;
ma la commessa nei suoi leggings stretti
regge la leva
che muove la giostra delle galassie.

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Samsara

Il sesso funziona come anestetico,
ma le viti in titanio
si arrenderanno al bacio della ruggine
e il vino andato a male causa nausea;
l’erba che dava il sonno
alla lunga induce assuefazione,
la formula che ammansiva gli incendi
perde efficacia, a forza di ripeterla.

Il binario conclude la sua corsa
nel punto stesso in cui la ricomincia;
la cantilena ottusa delle onde
replica all’infinito un assassinio:
la catena se tenti di scrollartene
ti stringe più forte i polsi, li stritola.

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Fine dell’equivoco

Stereotipie diffuse
e cassetti pieni di frasi fatte
schermano dalle frane,
nastri rosa su un’ulcera;
i passi convenzionali di ballo
un fazzoletto sul vulcano,
a sventare una piovra;
ma il pozzo di fuoco della follia
preme di sotto, costante, discreto.

Poi l’inserviente, l’addetto alle luci
con i suoi modi spicci, ci comunica
che il locale chiuderà a breve al pubblico;

il mare mette fine ai vari equivoci:
allunga il suo braccio di piombo
e fa a tutte le strade
da monotono sfondo.

 

Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978 e vive a Verona. In poesia ha pubblicato: Il dio che vaga col vento (Puntoacapo Editrice, 2008), Nessun mattino sarà mai l’ultimo (Zone, 2008), L’assedio di Famagosta (Lietocolle, 2015); Il talento dell’equilibrista (Ladolfi, 2018); “Elleboro” (Terra d’ulivi, 2019); Il giardiniere cieco (Transeuropa, 2019); Teatro d’ombre (Nulla die, 2020). Per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio e Marino, oltre che sulla poesia del Novecento.