Cantare a cuore aperto [*1]
Stimato poeta italiano, noto uomo di cultura, fondatore e direttore della rivista di poesia, critica e letteratura “Atelier”, Giuliano Ladolfi (nato nel 1949), ispirandosi al suo poeta preferito Virgilio, scrive testi dalle forti vibrazioni emotive nel Diario di Didone (Le journal de Didon). Tra le sue creazioni più note ricordiamo La nuit obscure de Marie/ La notte oscura di Maria (2023), Attestato (2015), L′enigma dello specchio (1996) e il monumentale volume in cinque volumi La poesia del Novecento: dalla fuga alla ricerca della realtà, un′incursione nella storia della poesia italiana dall′inizio del XX secolo a oggi.
Virgilio (70-19 a.C.) continua a essere non solo la guida di Dante nell’Inferno della Divina Commedia e della letteratura medievale, ma anche la guida dei poeti nell'”inferno” del mondo e della letteratura di oggi. “Attraverso di esso, l’anima umana non cerca solo di sentire, ma di dire che sente, di essere orgogliosa del fatto che può sentire”2 (Nicolae Iorga). Sono proprio l’essenza lirica feconda e intensamente personale, la varietà espressiva, la plasticità e l’induzione degli echi del mare interiore a conferire al poeta e alla sua compiuta composizione la loro natura perenne.
Così il capolavoro della letteratura latina e universale, l’Eneide, è una sorgente permanente di creazione, la creazione stessa, al di là di ogni tentativo di oscurarla. Si vedano le attuali tendenze a mutilare o addirittura a confiscare i capolavori universali e a sostituirli in base alla “correttezza” e al “progressismo”. Recentemente, il poeta Adrian Popescu, nel libro E Dante può essere censurato, interviene a favore dell’originalità del capolavoro dantesco La Divina Commedia, dopo la traduzione tronca dell’olandese Lies Lavrijsen. È una buona occasione per riflettere sulla poesia che trascende le epoche e le tendenze letterarie, una poesia vitale ed eterna per il suo stesso valore.
Sotto l’incantesimo di Virgilio, Giuliano Ladolfi, nel Diario di Didone (Le journal de Didon), compie un’incursione lirica nelle sorgenti interiori del potente personaggio femminile dell’Eneide. Questa edizione bilingue in francese e rumeno, con l’attenta guida della poetessa e traduttrice Sonia Elvireanu, segue le precedenti pubblicazioni del 1993 (primo premio al concorso letterario “Città di Varzi”) e del 1995. Vale la pena sottolineare che in ogni occasione la critica letteraria italiana ha reagito positivamente all’opera di Ladolfi.
Lo scandaglio dell’animo e della psicologia femminile da parte del poeta è accattivante, tenero e pieno di compassione, perché sembra identificarsi fino a sovrapporsi alla protagonista del libro: un modo sottile di entrare in empatia con i lettori, all’ombra di un amore famoso, per avvicinarsi allo spirito e alla sensibilità moderna.
Il diario della regina cartaginese, l’infelix Dido, nasce dai versi di Virgilio in latino, che sono posti come esergo alle singole composizioni, contrassegnando il tumulto di un amore tragico. In ventiquattro momenti si amplificano i sentimenti della bella Didone, che nutre un amore intenso, incompatibile e distruttivo per Enea, il “fuggitivo di Troia” naufragato sulle coste cartaginesi. La tragedia nasce da un malum fatum concertato dalla volontà degli dèi e dalla condizione dei due protagonisti. Didone, figlia del re di Tiro, vedova di Sicheo, ucciso da Pigmalione, si rifugia con il suo popolo nel nord dell’Africa. Diventa la fondatrice della città di Cartagine, la sacerdotessa, assumendo il ruolo di leader di una nuova nazione. Enea, a sua volta, è spinto dagli dèi a trovare il luogo predestinato dove sorgerà la nazione romana.
Ladolfi canta e descrive il sentimento umano più intenso: l’amore. Egli penetra nel tumulto interiore del personaggio femminile, facendo emergere un turbine di sentimenti inestinguibili, inappagabili, sconcertanti. Questo tumulto è in qualche modo in linea con l’ode di Eminescu (in metro antico): “Quando all’improvviso irrompesti sul mio cammino, / Sofferente tu, dolorosamente dolce… / Ho bevuto la voluttà della morte / Indescrivibile fino in fondo. // Ardo di pietoso tormento vivente come Nesso, / O come l’Ercole avvelenato dal suo mantello; / Il mio fuoco non posso spegnere con tutte le acque del mare. // Il mio stesso sogno è consumato, mi compatisco, / Sulla mia stessa pira mi sciolgo in fiamme… / Posso ancora tornarne splendente come la Fenice? // Togli di mezzo i miei occhi turbati, / Vieni di nuovo nel mio petto, triste noncurante, / Affinché possa morire in pace, restituiscimi a me”. E, ovviamente, possiamo riconoscere con entusiasmo: che poeti, che grandezza! Come sgorga l’anima!
Giuliano Ladolfi riesce a cogliere tutta la valanga di sentimenti della storia d’amore in un totale crescendo emotivo: dall’ammirazione, alla simpatia, all’insorgere della passione divorante, alla condivisione dell’amore e all’illusione della felicità attraverso un possibile matrimonio. L’eroina finisce poi in un crollo psicologico di fronte all’abbandono da parte dell’amato e al rimpianto di non aver compiuto la sua missione per il futuro del suo popolo. A questo punto, l’opzione dell’autodistruzione diventa imminente.
La storia d’amore si svolge fin dall’inizio sotto il segno di un destino implacabile, che innesca la tensione morale della protagonista, incapace di superare i propri limiti umani. Ella diventa “vittima di un folle fuoco interiore” e finisce tragicamente, tentando vanamente di resistere alla volontà degli dèi e al suo stesso voto al marito Sicheo.
La piena complessità dell’animo umano traspare dalla voce di Didone. L’infelix Dido lamenta la sua condizione: “Vorrei strappare / dal cuore la tua luce abbagliante / e diventare notte ove dorme il raggio / della perla vicino alla pozzanghera / o lasciarmi costruire dal sogno, / quando il giorno non è che un bocciolo di rosa”. Le parole di Enea e la sua immagine inondano l’anima della donna: “Con orrore soffro / penetrare nel sangue la tua immagine / che dipinge il passato ed il futuro, / sogni avvinghiati a cupe delusioni. // Tutti i colori possiede il mio affetto, / tranne l’azzurro della felicità”.
Il conflitto interiore tra l’amore ardente e il voto di fedeltà alla memoria del marito perduto la consuma: “Sono strazio i pensieri che s’affollano / intorno al mio giaciglio angoscioso. / E l’ombra di Sicheo torna a dissolvere / la pace di un sonno consumato / dalle fiamme strazianti dell’amore. / […] / Sono sconvolta: non conosco / più né giorno né notte. / […] / […] Divinizzata / dal tuo amore potrei illuminare / l’esistenza di gloria, ma esecranda / la maledizione paralizza”.
La confessione ad Anna, sua sorella, è un pianto che attende una consolazione della mente: ” E questa tua dolcezza mi risveglia / la gioia e, pazza, io voglio soffrire / di te, divino fiore rampicante / che stai vestendo il muro della vita”. Invano, però… i turbini dell’amore lacerano il cuore della regina: “né le suppliche scalfiscono i decreti / crudeli dell’Amore, quando la colpa / seppellisce ogni felicità e solo la morte / respirare lascia questo spirito indomabile”.
Sempre più sopraffatta da questo amore, Didone non trova più il suo posto di fronte al suo popolo e lo scopo della sua vita: “Sono freddi gli altari, muti i canti, / squallide le ombre nel tempio di sera. / E di fronte al silenzio delle statue / sola ascolto il fragore del mio cuore / che brama un’altra vita ed annullarsi / per rinascere luce di speranza / […] / Nella sfera dei tuoi occhi io scruto / l’ansia del mio futuro senza attese / […] / […] Ma ora per me non c’è Cartagine, faro di vita”.
All’interno del racconto, la pioggia è un buon appannaggio per il rifugio degli amanti in una grotta, oltre che per l’appagamento erotico: “Distruggi, ti prego, il tempo / […] / Spacca la materia […] / Lasciami / diventare te stesso, respirare / col tuo bacio […] / […] / Calma, ti prego, l’ansia del mio spirito / con la trasparenza dei tuoi pensieri! / […] / […] Vorrei per me altre esistenze / […] / E io, ombra di donna, / senza passato né futuro, / dolente specchio dell’eternità, / vorrei smarrire identità e nome”.
L’eroina è autolesionista, spera in un matrimonio sul modello di una vicenda romanzesca: “In questa notte che rompe i confini / delle cose e transumanare lascia / nell’infinito l’essere, è il mio cuore, / sogno del cielo, l’astro più splendente”, ma “per me non c’è perdono né preghiera, / risponde il buio alla disperazione”. Il timore prende il sopravvento e lei non riesce ad affrontarlo: “E l’ansia mi sfinisce il cuore, / se penso a questo affetto disperato / celato nel silenzio di una stella. / Quando mi folgora il tuo raggio, / svanisco in un bagliore immenso. / Ora non vivo senza la Parola, / spio i tuoi occhi e temo alla follia / il ghiaccio del tuo sguardo”.
Ma il destino fa il suo corso ed Enea è costretto a partire, mentre Didone, distrutta e abbandonata, prepara la sua pira sacrificale. Ora si scatenano la disperazione della donna abbandonata e il vagabondaggio della regina “svestita di regale / autorità”: “E te ne vai lasciandomi soltanto / il pianto per purificare / dolore e solitudine. / […] / Forse già quando le parole / d’amore avevano varcato / le porte del mio cuore, io divenni / lo specchio del dolore eterno / […] / […] sento lacerata / in me stessa la vita universale”. “Ora che il cuore è un porto senza navi / affondo le mie mani nel ruscello / mio segreto a dissetarmi di silenzio / e di abbandono”. “Il pianto scorre su pietra e ristagna:/ io morii nell’istante quando il Cielo / non vibrò all’eco del mio amore infranto”.
Alla fine la regina, riconoscendo le conseguenze del suo errore, si sacrifica per il suo popolo e ripristina l’armonia interrotta. In questo triste epilogo si dibatte tutta l’infelicità del genere femminile, da Medea a Didone, a Francesca, come documenta Giuliano Ladolfi all’inizio del libro: il sublime tragico.
Piacevolmente sorprendente in questo libro-diario intimo è l’intreccio delle voci autoriali in un concerto lirico di grande vibrazione emotiva. L’arpa è la voce nel testo virgiliano, il pianoforte, in un piano nascosto, in quello dantesco, il violino si sente nel testo di Ladolfi, il flauto nella traduzione in rumeno di Sonia Elvireanu. Su tutto c’è la protagonista, il suo sperimentare un amore inestinguibile, la Didone priva di pace interiore. Segue, a un intervallo evanescente, la Francesca di Dante, colei che ha pagato con la sua innocenza un amore proibito da schemi oscuramente umani. In sottofondo si sente la cadenza del verso del poeta George Coșbuc nella versione dal latino al rumeno, operata dal più intenso traduttore dell’Eneide, che si diceva fosse in grado di “ricreare l’originale”.
L’amore, con tutte le sue sfaccettature, diventa palpabile attraverso la poesia, ringiovanisce le anime moderne raffreddate da cause diverse. Questo è il grande merito del poeta: far risorgere i sentimenti umani, farli rivivere, inscriverli nella gioia e nella permanenza.
Adriana Doina Nicolăiță
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Note
[*1] Giuliano Ladolfi, Le journal de Didon / Il diario di Didone, edizione bilingue francese-romeno, traduzione in francese di Giuliano Ladolfi, traduzione dal francese in romeno di Sonia Elvireanu, Iași, Ars Longa, 2024, pp. 108.
[*2] Nicolae Iorga, La vita e le opere del poeta Publio Virgilio Marone, Bucarest, Revista Clasică, 1930.
https://uniuneascriitorilorarad.ro/ARCA/2025/2_2025/06_cronica_doina__02_2025.html?sfnsn=mo
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Adriana Doina NICOLĂIȚĂ, poetessa, è nata nel 1961 a Salonta, nella contea di Bihor (Romania). Si è laureata all’Università occidentale di Timișoara in Filologia con specializzazione in Lingua e letteratura romena – Lingua e letteratura latina (1986) con la tesi su Vasile Voiculescu. Ha conseguito un master in gestione dell’istruzione, UAV Arad, 2006, e ha seguito un corso in psicopedagogia scolastica speciale, UVVG Arad, 2019. È membro dell’associazione “Scrittori di Romania”, sezione di Arad, dal 2023. Ha pubblicato raccolte di poesia e saggi critici assai apprezzati. Collabora con diverse riviste letterarie: Arca din Arad, Neuma, Cluj, Discobolul, Alba-Iulia, Luceafărul de dimineață, București, Irodalmi Jelen, Arad, România literară, București.
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