Gianluca Pavone, Esercizi di vuoto (L’Erudita, Giulio Perrone Editore 2018) – Lettura di Clery Celeste
Gianluca Pavone, Esercizi di vuoto (L’Erudita, Giulio Perrone Editore 2018)
Lettura di Clery Celeste
Esercizi di vuoto di Gianluca Pavone dimostra di essere un’ottima prima prova poetica. Un titolo che non lascia speranza, che apre tutte le possibilità della rappresentazione del vuoto, come fossero appunto esercizi eseguiti in una stanza vuota per abitare tutto lo spazio in una completa e affilata solitudine.
Il libro è composto da tanti testi in successione senza una suddivisione in sezioni; due invece sono i nuclei del libro, ben riconoscibili soprattutto nella forma e nella versificazione. La prima parte è formata da poesie con un andamento serrato e con una verticalità nella versificazione molto intensa e ripida, nella seconda parte invece la forma è più compatta, con un ritmo più lento e una maggiore liricità.
Gianluca sperimenta in forma privata e personale tutte le dimensioni del vuoto, della mancanza e della chiusura e ce le restituisce attraverso immagini seriali comuni, che appartengono a tutti. Ecco quindi che gli elementi più laterali e meno osservati che formano la casa prendono parte attiva a questi esercizi “Con lo spettro che ti attraversa nudo/ (certe sere senza pietà)/ da un foro aperto/ tra le piastrelle, sempre qui/ o tra le tempie/ e l’attaccatura dei capelli.” L’autore restituisce dignità a oggetti marginali come il particolare delle setole di uno spazzolino “Ogni giorno contato/ tra le setole di uno spazzolino.”: sono quindi una visione da vicino e un’analisi dal basso che attraversano tutti i testi di questo libro. Lo sguardo è orizzontale, ci si mette sullo stesso piano delle cose, non si è altro che carne e “Dall’interno/ con gli organi in scomparti da ipermercato/ si produce l’urlo locomotore”.
Gianluca ha la capacità di presentare in una sola poesia più immagini molto forti a cascata, come tanti frame fotografici che si susseguono, che si imprimono nella retina e non lasciano scampo. Il ritmo infatti è frenetico, la verticalità si presenta in tutte le poesie in forma più o meno estrema. Questo bisogno comunicativo è una slavina di immagini dense e disarmanti, il suono spesso è raschiante e il fiato si spezza più volte nella lettura.
È la prima prova poetica di questo autore, Gianluca è nato nel 1975, ma la poesia non è qualcosa che spunta in un suolo arido, la si cova dentro, cresce e mette radici profonde e a un certo punto ha bisogno di aria, di essere liberata e restituita alla luce. La sensazione che si ha leggendo questi testi è quella di una diga che si rompe, di acqua che sfalda tutti gli argini e bagna la terra arida dopo lunghe assenze di pioggia. È una poesia che parte da un istinto fortemente terapeutico e si trasforma in una richiesta di aiuto, di rottura di un silenzio comune che ci appartiene per cui “per me lascia un fiore,/ una parola nel mio vuoto.”
Consiglio quindi questo libro perché è un libro sincero, della fatica e del dolore, di una ferita verticale che scinde il corpo a metà e perché possiamo anche noi essere “scomparsi anche loro/ in un vuoto/ ma in modo diverso.”