Galleggiare nel mare a braccia aperte
guardando il cielo delle sette sopra
la testa e tutto quello che c’è uguale
si estende dovunque l’occhio volga
sentendo che quella postura l’uomo
solo la può tenere se è sorretto
da qualcosa che col servizio reso
non ricatti chiedendo in cambio ai corpi
di arrendersi – quando ogni cosa verso
il basso trascina: così ora l’acqua
ti è madre ti sorregge ti accarezza
ala fresca che ti s’avvolge intorno
senza stringere e libero lascia di
far qualcosa come volare il corpo
– come l’astronauta
dalla sua stazione spaziale stella
quaggiù fra tante che vedi a notte
magari proprio adesso si è staccato
e la croce delle braccia in quell’altro
mare infinito ha spalancato.