Alberto Frigo
(inediti)
..
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Incantesimo
Qui vedi il cantiere coi muri a terra
e con gli scheletri delle gru
che svettano dalla palizzata.
Ma se cammini fino all’angolo e vai
a capo dello schermo di lamiere
la cosa si fa più complessa e confusa.
Aggiungi un’ombra grande quanto il cratere
che ti ricorda il palazzo (se n’è andato
con un crollo breve, due settimane fa):
si allunga sotto un muro roso,
una scacchiera di quadri a pastello
come un vecchio tappeto sdrucito.
Senza muovere nulla, aggiungi ancora
il cielo appena sopra il moncone di tetto
e degli scampoli di ponti e fiume
e, sulle sponde, altre case che guardano
dalle finestre fitte, tutte spalancate:
occhi che ricordano cosa c’era prima qui.
Dall’alto, il capo cantiere,
nascosto dove si vede quello che quaggiù non si vede
fulmina ordini con grida di falco.
Un uomo dai capelli crespi ubbidisce,
non ha capito, ma conosce il suo compito:
poco importa se resta all’oscuro del progetto.
Lo veglia un cane con l’occhio fiero e vuoto,
altri lo imitano, schivando piccoli laghi dai lembi di terra umida.
Hai guardato bene? Scantona,
e sei di nuovo a capo:
un’altra strada, un’altra staccionata, un altro cantiere.
E i veli legati alle impalcature
che si gonfiano come in mare aperto.
Ecco, così è per le cose viste, per quelle passate,
ed anche per quelle a lungo vissute.
*
Un poco di verde
È cresciuta una selva
appena oltre la soglia.
In principio si pensava a un giardino,
pieno di buon senso.
Poi mancò la dedizione,
più tardi perfino la voglia.
A quanto pare non ci resta
che l’amaro privilegio della replica
e la lotta – vana – contro l’ortica.
*
Ogni giorno,
ogni nuovo vizio è il peggiore.
Chiuso come sono tra quattro mura familiari,
corredate – quasi vera natura –
d’edere, pomodori, fichi e lucertole
non posso certo attendermi la visita
di un angelo di prima schiera.
Ma se anche un demone meno titolato
o un entusiasmo imprevisto dell’immaginazione
venisse e mi soffiasse all’orecchio
un nome onesto per le cose che vedo
certo non lo disdegnerei.
Mi basterebbe uno spirito semplice,
un furore di rimpiazzo
che m’indicasse, anche soltanto al dito,
dove osservare, cosa vedere e come
sentire.
E non soccombere,
per stanchezza e per generale disamore
a questa pagina calcinata.
Alberto Frigo (Sandrigo, 1982), vive a Lione e ha insegnato la filosofia all’Université di Caen Basse-Normandie e all’Università Sorbona di Parigi. Si occupa di storia del pensiero moderno e di storia della critica d’arte. E’ tra i poeti selezionati al Premio Rimini per la Poesia Giovani, 2014.
Fotografia di proprietà dell’autore